Ottobre 2020 – Enslaved

 

Il viaggio all’interno del cuore di più sensibilmente pulsante, vasta ed impenetrabile tenebra del 2020 prosegue e mette oggi un punto fermo alla sua tappa di ottobre celebrando il nuovo, quindicesimo album in studio  dei norvegesi Enslaved (identificarlo con il corrispettivo numero ordinale ormai suona alla lettura quasi un errore di conto, ascoltati i risultati) grazie ad una totale standing ovation che gli piomba addosso senza la minima e singola remora da parte dello staff.
“Utgard” è infatti fuori sugli scaffali (al momento della stesura di questo articolo, e presumibilmente per qualche tempo ancora, nuovamente confinati al solo reame dell’online) dal secondo giorno dello scorso mese -e in sempre più goduto ascolto in redazione da altrettanto tempo- tramite il colosso Nuclear Blast Records: il che giustifica, o se non altro spiega in parte, il successo anche mediatico di un disco tanto ostico quanto affascinantemente artistico e riuscito in un mondo la cui disattenzione gli è inversamente proporzionale. Nella rassegna di oggi è al solito seguito da altri tre album particolarmente diversi tra loro a fargli da gloriosa cornice d’ascolto, questa volta riassumibile in un compendio totalmente nordico a cui manca solo la presenza della Danimarca – scalzata da una doppia presenza svedese (in sé ai due antipodi di ciò che siamo soliti identificare come Black Metal stilisticamente proveniente dalla nazione) e dalla minimale, straziante capacità acustica inimitabile della bellissima Finlandia.
Partiamo dunque senza ulteriori indugi verso l’inesplorato altro, l’utreise, la celebrazione dell’inconscio e dell’inaspettato, il trionfo dell’incontrollato e del subliminale nonché paradiso dell’intrepido e inferno dell’abitudinario; ciò che insomma che risponde al quanto mai adatto titolo di “Utgard”.

 

 

[…] Nell’interpretazione criptica dell’intreccio tra musica e testi che continuamente sfidano all’unisono le capacità ermeneutiche dell’ascoltatore, nel quotidiano benvenuto senza asservimento dell’abbraccio alchemico nel risveglio di un Miðgarðsormr avvolgente, si tratta di trovare e vedere quella fiamma, quel fuoco e quella luce che guidino nell’oscurità per poter guardare al dimenticato, al se ipotetico privo di distanza con un passato che mai è stato scritto per fonderlo alle possibilità presenti e creare conseguentemente il futuro: così gli Enslaved, come ombre a caccia di vita nell’Utgardr, generano con istinto tanto viscerale ed umano da essere quasi paterno musica eterna, sospesa e liquida nel tempo che resta assoluta priorità e vanità cosmica, attraverso la psicologia del mito, con il linguaggio dell’antico di quel creato con cui tuttavia sono in così estrema ed immensa comunione d’intenti, e proprio per questa ragione dalle potenzialità creative e di ricerca infinite, e dall’anima immortale che risplende in un’alba inesauribilmente senza fine.”

[Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana, qui.]

Se lodare ogni volta la capacità degli Enslaved nel ricreare una nuova dimensione sembra quasi un obbligo morale da ormai alcune decadi, è in questo caso ancora più dovuto menzionare la grandiosa eterogeneità che si incontra durante lo scorrere di “Utgard”: un terreno aurale sempre più psichedelico, ricco di aperture spacey ipersature e impreziosito da layer elettronici, componenti passate via via dal ruolo di ibridazione sui generis fino ad assumere le redini di motore compositivo e struttura portante del fluire Enslaved. Se vere rivoluzioni ad un ascolto poco attento sembrano quasi non sentirsi, la particolarità di “Utgard” risiede proprio nella stupefacente abilità di curare ogni snodo e di impiegarlo nel far amalgamare il ricco e vario pantheon di brani che lo compongono, con chitarre che pur senza mancare frangenti frantumanti lasciano il ricordo di un riverbero sfumato e luminoso, sciogliendosi nel tappeto di sintetizzatori. Ancora una volta unici e in gara solamente con loro stessi.”

L’estro artistico degli Enslaved sembra non avere limiti e “Utgard” è una dimostrazione lampante di superiorità compositiva ed ampissimo gusto musicale. Il quindicesimo disco della band norvegese è difatti un ulteriore affinamento di un sound che già -ma solo in parte- conosciamo, e che diventa ancora più fluido e rotondo, raggiungendo in alcuni momenti affascinanti picchi di pathos ed epicità. La vena Black Metal resta sempre intatta in questo mare di progressione e sperimentazione mantenendoci saldamente ancorati a quelle che sono le radici degli Enslaved: si ha sempre e comunque quella tagliente sensazione di gelo arricchita da liriche pregne di mitologia e spiritualità. L’album non è particolarmente immediato e richiede qualche ascolto prima di poter essere compreso nel suo insieme, ma una cosa invece splendidamente chiara fin da subito è che questa band non sembra avere la minima intenzione di fermarsi – e noi non possiamo che goderne.”

Non c’è vergogna per il sottoscritto ad ammettere una passione ai limiti del fideistico verso gli Enslaved dell’ultimo decennio, fattore che senza dubbio ha aiutato parecchio durante il primo approccio ad uno dei lavori di più difficile digestione mai tirati fuori dalle penne di Kjellson e Bjørnson. La tracklist, sfilacciata e disomogenea persino per i loro standard, traccia un accidentato percorso che collega l’introduzione dal feeling pagano all’intima, perfetta conclusione di un racconto che sa di autobiografia. Nel mezzo, una sequenza incantevole di dèi e mostri; l’opaco Progressive nordico si tinge dei colori fluorescenti dell’elettronica, si irrigidisce nei passaggi d’indiscutibile anima Metal e si sublima nelle inconfondibili aperture melodiche. L’ulteriore distaccamento dal background estremo di “In Times” trova infine la propria ragion d’essere proprio negli intrecci vocali ultraterreni, saggiamente mai usati come banali ritornelli ma bensì come fugaci manifestazioni da parte di luminose entità metafisiche.”

Mantenere qualità e standard elevati, nel corso di una carriera quasi trentennale, non deve essere un compito facile. Ancor meno se si parla di pilastri e autentici veterani di una scena musicale nazionale che di eccellente non ha quasi più nulla. Ma gli Enslaved, che con il loro nuovo “Utgard” mettono in atto probabilmente il loro disco più variegato di sempre (il che è al contempo sorprendente e del tutto comprensibile visto che parliamo del loro quindicesimo album in studio), plasmano un lavoro in cui è possibile sentire tutta la loro carriera trentennale riassunta fra novità e riff Black Metal, passaggi Viking, anima Progressive e momenti di psichedelia; l’insieme è permeato e concettualmente sorretto dall’interpretazione di concetti ed immagini scaturite dalla mitologia norrena, un must ormai assiomatico che nel gruppo è rimasto invariato quanto tale è l’alchimia fra Ivar e Grutle, le due anime, i due cuori pulsanti di gruppo e musica nonostante qualunque cambio di formazione quasi accessorio: motore primo ed ultimo dei risultati eccelsi che noi tutti possiamo ascoltare.”

Quelle suggestioni irrimediabilmente finlandesi regalate dagli October Falls, nel 2020 apparentemente al culmine dell’ispirazione produttiva dato che a distanza di soltanto sei mesi da “A Fall Of An Epoch” (che già ci ha rubato il cuore) rilasciano un altro disco tramite Purity Through Fire – questa volta di Dark Neo-Folk acustico, intitolato “Syys”, e totale esplorazione dell’altra anima costitutiva, speculare e gemella dell’autore Mikko Lehto.

“La malinconia autunnale raramente viene convogliata e distillata in musica altrettanto palpabilmente ed all’inconfondibile maniera di “Syys”, elegia con tanto di titolo parlante spesa e ricamata dal teorico finlandese numero uno della più salutare mestizia e dello splenico, spazio-tempo sospeso tra un lago circondato di alberi che toccano un cielo grigio, e l’abbraccio caldo di una chitarra acustica con lo scoppiettare del fuoco acceso ormai da ore nel buio. Che scelga di parare sul suo modo di intendere la materia Black Metal più naturalistica ed intimista, o di lasciare invece che sia l’all-enveloping volto Neo-Folk degli October Falls prendere il sopravvento sulla furia delle distorsioni, di poco la qualità e semantica del risultato finale cambia – e ancor meno l’estrema sensibilità di composizioni tanto squisite ed eleganti.”

[Leggi di più nell’articolo monografico riservato ad “A Fall Of An Epoch”, qui.]

“La tensione che con i crescendo ventosi di “A Fall Of An Epoch” portava inevitabilmente a trattenere il fiato per la loro forte carica drammatica, qui si distende in una confortevole e struggente malinconia crepuscolare. Un minimalismo mai così estremo neanche nei precedenti lavori acustici di Mikko Lehto, che con la monocorde circolarità dei giri di chitarra esalta e amplifica emozionalmente le calde e raminghe intrusioni di viola, così come i rumori naturalistici del field-recording che gli fa da sfondo, costante integrata e straordinariamente immersiva. La classe e l’eleganza degli October Falls dimostra una volta di più come questa possa esprimersi in qualsiasi uscita e soprattutto con qualsiasi veicolo strumentale.”

“La quiete dopo la tempesta: potremo definire in questo modo il nuovo album acustico del progetto finlandese October Falls, perché la brevissima distanza dallo splendido e malinconicamente ferale “A Fall Of An Epoch” tende ad accoppiarli, e perché mister Lehto ci delizia qui con uno splendido disco acustico (a sua volta soltanto il secondo unico episodio Neo-Folk del nome dopo quindici anni dal debutto “Marras”) che, come suggerisce il titolo, è un chiaro omaggio all’autunno e alla potenza catartica delle sue immagini brune. Le otto tracce al solito interconnesse che compongono il lavoro non solo ben si addicono infatti alla bellezza peculiare della terza stagione dell’anno, ma tramite le loro note trasudano proprio quella piacevole dolcezza malinconica che ha il sapore tipico del momento dell’anno che fa da ponte verso l’inverno.”

Mai un momento di pausa riflessiva nemmeno per gli svedesi Necrophobic, che con “Dawn Of The Damned” macinano fuori il loro nono full-length a soli due anni di distanza dal già apprezzato “Mark Of The Necrogram”: neanche a dirlo, con nemmeno una virgola di novità sono sconsigliatissimi a chi si aspetta qualcosa in più del loro inossidabile stile, almeno tanto quanto verranno amati da chiunque li ha apprezzati negli ultimi trent’anni di attività.

Anche a questo giro, nessuno rifà i veterani meglio dei veterani stessi: borchie e face-painting ormai non saranno di moda quanto tuniche e volti incappucciati, ma agli svedesi ciò che più preme è darci dentro alla grande con dei suoni sfacciatamente pompati, un invidiabile gusto nelle armonie di chitarra e ciononostante una lodevole predisposizione alle mazzate sulle ginocchia. Sebbene non manchi qualche evitabile e ridimensionabile volo pindarico (i pezzi da oltre sette minuti riuscivano molto meglio ai Dissection) i Necrophobic dimostrano di meritarsi tutta l’attenzione ad oggi loro concessa, oltre che di essere tra i pochi nomi storici a potersi permettere qualche episodio piacevolmente retrò e sopra le righe (vedasi il divertito cameo di Schmier dei Destruction) senza sforare nel ridicolo involontario sentito proprio questo mese da un loro coetaneo della vecchia guardia.”

“Da quando è ritornato nei ranghi Anders Strokirk, storico cantante del primo ed indimenticabile “The Nocturnal Silence”, i Necrophobic sembrano davvero vivere una seconda giovinezza, iniziata due anni fa con “Mark Of The Necrogram” e riconfermata oggi con “Dawn Of The Damned”, che in un solo colpo rimette a sua volta in mostra anche tutte le ottime qualità degli svedesi: senza mai stravolgere le carte in tavola, è vero, ma con una chiara e decisa personalità per cui il tipico compendio di furibonda melodia svedese riesce ad accompagnare l’ascoltatore in questa sorta di viaggio attraverso una rinascita diabolica. Lo scream abrasivo di Anders in sinergia con le chitarre del duo Sebastian Ramstedt & Johan Bergebäck ben si presta come cantore in questo sentiero tortuoso e oscuro – e senz’altro dimenticato non va l’imprescindibile contributo visivo del sempre ottimo Necrolord per l’artwork evocativo. Insomma: gruppo che è sinonimo di garanzia.”

Una nomina infine anche per il ritorno inatteso degli svedesi Leviathan: one-man band di Roger Markström che a quasi due decadi di silenzio dal debutto “Far Beyond The Light” rilascia tramite France D’Oïl Productions il suo seguito spirituale e stilistico intitolato “Förmörkelse”, elasticizzando tutte le soluzioni precedentemente impiegate ma sostanzialmente facendo sembrare la Svezia dell’inizio degli anni 2000 vicina come se fosse il 2003.

“Ritornare dopo ben diciotto anni di assenza ed oblio non è scontato, specialmente nel caso di progetti musicali conosciuti principalmente da una ristretta cerchia di ascoltatori, come in quello del leviatano svedese; quel Leviathan che insomma è progetto personale del batterista ex-Armagedda e che proprio con i suoi vecchi compagni di band d’inizio secolo condivide quest’anno un ritorno sulla lunghissima distanza. Dal momento che il precedente ed unico lascito viene considerato ancora oggi una piccola perla nera all’interno del panorama Black Metal svedese la curiosità per l’uscita a ciel sereno di “Förmörkelse” deve aver giocato a favore della one-man band in fatto di risonanza, ma va detto che si tratta di un ritorno molto convincente e foriero di un Black Metal altrettanto variegato internamente tra rallentamenti mid-tempo (proprio di quella scuola svedese nata sul morire degli anni ’90 come contrapposizione a quella Melodic Black) e la costante certezza di una presenza sulfurea di traccia in traccia (retaggio del resto rivisto proprio dal passato negli Armagedda, palese all’ascolto) che non dimentica comunque movimenti più tirati con un occhio di riguardo a soluzioni raffinate ed atmosferiche. Una produzione abbastanza buona e bilanciata che gioca un ruolo chiave nell’economia del disco chiude il cerchio di una lunga attesa inconsapevole che ciononostante ha ripagato.”

E se novembre sembrava essersi effettivamente aperto con poca carne tra quella in quel momento annunciata al fuoco, esclusi quantomeno dei Beltez già in crescente apprezzamento da ben prima, occorre già fare le dovute correzioni del caso: tra deliranti promesse Urfaust ed interessanti rivelazioni Ignis Gehenna già in rotazione, con altre fantasticherie assortite il calendario è in riempimento e l’appuntamento con la prossima selezione mensile previsto per i primi di dicembre, per riassumere il penultimo mese del 2020 godendoci insieme ciò che avremo da proporvi spassionatamente. Oscurità e malefici non mancheranno…

 

Matteo “Theo” Damiani

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