Febbraio 2018 – Necrophobic

 

Mese corto per numero di giorni e numero di uscite, febbraio. Ma del resto va bene così, non è sempre natale e gennaio ci aveva lasciati anche fin troppo allibiti per qualità e quantità di grande musica, mentre il secondo mese del 2018 rallenta un po’ e ci porta poche ma mirate uscite comunque succose, specie sul suo concludersi. A questo giro siamo letteralmente unanimi: la nuova prova di un gruppo veterano come gli svedesi Necrophobic, con la sua esperienza e savoir-faire, ha spazzato la concorrenza convincendoci tutti e facendoci decretare “Mark Of The Necrogram” (ottavo disco della band, primo ad uscire il 23 per Century Media Records) il migliore di febbraio.
Non macano chiaramente i runners-up, con qualche menzione prevalentemente solitaria a cose come un debutto assoluto di un duo americano uscito per Debemur Morti, un secondo (doppio) disco che rimane in Svezia come chi è stato inconorato ma esce invece per casa Nordvis e persino una stramberia made in Fallen Empire. Chi sono? Proseguite la lettura…

 

 

“Mark Of The Necrogram” ci restituisce dei Necrophobic in splendida forma che, pur con tutti i personali limiti del caso, del loro marchio di fabbrica distintivo e del suo genere, consegnano un disco tirato ma orecchiabile e convincente sotto ogni aspetto; non ultimo un approccio iper-melodico decisamente più trascinante, ispirato ed incisivo, anche se a tratti bonariamente ruffiano, che tradisce per scelte un ritorno alla oscura Dissection-worship che tanto ha già caratterizzato alcune prime prove della band decenni or sono.”

(Ascolta “Tsar-Bomba” e leggi di più nella colonna ad essa dedicata, qui.)

Grazie al suo sound potente e caratterizzato da una vena melodica molto accentuata e dal classico flavour svedese, i Necrophobic intrattengono a dovere l’ascoltatore, nonostante una seconda metà di disco meno ispirata, sensazione forse accentuata dalla ridondanza di certe soluzioni. Fortemente ingiusto e riduttivo sarebbe tuttavia definire “Swedish Black Metal For Dummies” un disco ben curato e a tratti coinvolgente come “Mark Of The Necrogram”, altresì vero è che difficilmente ci ricorderemo di lui quando sarà il momento di tirare le somme per le migliori uscite dell’anno.”

Passano gli anni e i Necrophobic restano una certezza del metal estremo. Nel bene e nel male. “Mark Of The Necrogram” è un disco di buona fattura, semplice da assimilare e indubbiamente scorrevole, anche se nel corso di più ascolti risulta purtroppo evidente come l’album abbia una longevità non superiore ad un massimo di due settimane. Diciamo pure, infine, una (tsar) bomba sfortunatamente destinata a esplodere senza lasciare particolari tracce.”

A distanza di tanti anni, non si è mai placata in Svezia quella corsa al vertice per conquistare il trono dei mai troppo dimenticati Dissection. In attesa di sentire il ritorno di gruppi come Dawn o Unanimated, tocca ai veterani di Stoccolma Necrophobic rilanciare prepotentemente la propria candidatura per questo fantomatico trono con il loro nuovo e ottavo full-length “Mark Of The Necrogram”, che non solo segna il ritorno della band a distanza di cinque anni dal precedente “Womb Of Lilithu” ma anche un graditissimo rientro del cantante Anders Strokirk, già presente nel fondamentale “The Nocturnal Silence”, e del chitarrista Sebastian Ramstedt. La summa di tutto ciò si può facilmente ascoltare in questo nuovo album, che scorre dall’inizio alla fine senza intoppi e senza mai annoiare, in cui ogni singola canzone è molto convincente (title-track, “Tsar-Bomba” e “Pesta” su tutte), che mostra in tutto il suo nero splendore il classico Black/Death di matrice svedese suonato con maestria e prodotto alla perfezione.”

“Preceduto da un hype francamente esagerato, dovuto più a dei cambiamenti di line-up ammiccanti ai dischi storici della band, “Mark Of The Necrogram” non aggiunge nulla di particolarmente nuovo a quanto fatto dai Necrophobic nel corso della loro carriera. È però impossibile negare che, seppure il canovaccio musicale sia lo stesso di sempre, gli svedesi abbiano curato molto di più il songwriting rispetto ad altre prove del recente passato. I die-hard fan, ringalluzziti dal ritorno di Anders Strokirk dietro il microfono, apprezzeranno come sempre, mentre gli ascoltatori più casual potranno godere del nuovo solidissimo lascito di un gruppo davvero significativo per il Metal estremo.”

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Il debutto degli americani Cultus Profano, un giovanissimo duo di Los Angeles che fin qui tutto ci direbbe tranne che le parole “Black” e “Metal” in fila, riuscito invece a strappare il suo primo full-length con l’attenzione della francese e nostra adorata Debemur Morti Productions.
Fun fact: la label è come saprete discretamente nota per avere lo sguardo solitamente diretto in avanti per tendenze ed avanguardie in musica; i nostri statunitensi, al contrario, in avanti non guardano affatto. Anzi. Anche se l’etichetta ad onor di cronaca non risulta totalmente nuova a divagazioni di questo tipo, il connubio non potrebbe apparire più inusuale. Ci sarà un motivo?

“Qualche volta ci si può fermare e riflettere su ciò che negli anni è stato ottenuto. Ѐ una questione di approccio, ma pare evidente che a qualcuno non dispiaccia camminare su un sentiero già incendiato da altri. Per quanto chi scrive reputi altre weltanschauung ben più onorevoli, i Cultus Profano non sono i primi a pensarla così, e non saranno gli ultimi, ma sono di certo tra i pochissimi in tempi recenti ad averlo fatto in modo convincente e sincero sin dal debutto. “Sacramentum Obscurus” offre un pacchetto di inni Black Metal e nient’altro che Black Metal, ben costruiti e dal piglio occulto che nella loro aggressione tengono un piede musicalmente nei territori dei migliori Gorgoroth (e similia norvegese), e vocalmente in piacevoli circoscrizioni USBM. Non potete aspettarvi di più, ma non dovete nemmeno aspettarvi di meno.”

(Ascolta “Cultus Profano, Op. 9” e leggi di più nella colonna ad essa dedicata, qui.)

“Sacramentum Obscurus” segna il debutto su full-length del duo statunitense Cultus Profanum, il quale propone un buon Black Metal ferale e mistico in cui i riff di chitarra risultano sinistramente evocativi e la batteria martella ed infierisce senza alcuna pietà, facendo respirare per tutto il disco una certa dose di atmosfera oscura ed opprimente. Un buon inizio.”

 

Gli svedesi Bhleg che, a dispetto di un nome alquanto sfortunato per assonanze trans-linguistiche, compongono un doppio album decisamente più ambizioso dell’insignificante debutto (“Draumr Ást”, 2014) realizzando con il nuovo “Solarmegin”uscito il 23 febbraio di nuovo per Nordvis Produktion– un lung(hissim)o lavoro fatto di Black Metal caratteristicamente impreziosito da sciamaniche percussioni in legno, in ossa e in pelli, canti animali, meditazione per reiterazione e soluzioni acustiche leggere e baciate dal calore del sole. Forse troppo lungo? Il nostro Feanor ha voluto parlarcene lo stesso.

“Questo “Solarmegin” segna il ritorno a quattro anni di distanza dal precedente debut degli svedesi Bhleg, i quali oggi ci confezionano un ottimo Black Metal freddo ed evocativo per stile, dove non mancano però fondamentali inserti folkloristici e sciamanici che con il loro calore bilanciano perfettamente le tonalità del disco, in un dualismo caldo-freddo dal perfetto equilibrio. Stesso discorso dicasi per la dicotomia fra lo scream/growl e le parti in clean vocals, in un concept spalmato su doppio album che celebra, tra le altre cose, la figura del Sole quale fonte di vita spirituale e fisica degli antichi popoli pagani.”

 

Infine gli Arkhtinn, che rilasciano il 19 del mese la loro nuova ma ultima prova riservata all’uscita digitale e su cassetta (in pieno stile Fallen Empire Records) portando alle nostre orecchie un compendio dalle lande musicali del filone di Ambient Black Metal dalle cosmiche atmosfere opprimenti in cui si sono infilati. “VI” è l’ultima uscita di tale stampo prima del decisivo full-length che, a detta loro e della label, mescolerà le carte in tavola alla sua uscita – in arrivo entro la fine dell’anno sempre per l’etichetta di Portland.

“I fanatici di Darkspace e nerezze simili gioiranno non poco all’ascolto dell’ultimo lavoro affidato alla nomenclatura “demo” (non fatevi ingannare – solo perché stampato unicamente su nastro per presunta scelta concettuale) dei misteriosi e freddissimi Arkhtinn. Il progetto è migliorato giungendo con “VI” alla sua sesta ed ultima uscita su supporto orgogliosamente anacronistico, dividendo (ancora una volta) a metà lo stile della release in una prima facciata che contiene una lunghissima partitura di maestoso Black Metal astrale dai bpm schizzati, algidamente atmosferica e dalla durata di venti minuti in cui eseguono una solida sintesi dei caratteri principali sperimentati finora, seguita poi dalla seconda metà che si specchia in altrettanto timing di sforzo puramente Ambient chiaramente riservato ai cultori delle sonorità più impalpabili. Si tratta dell’ultimo lascito in cui le anime vengono suddivise (e da qui la fino ad ora testarda scelta del formato): in arrivo è un primo ufficiale full-length in cui i due volti del progetto saranno finalmente amalgamati. Nel frattempo…”

 

Fine del resoconto. Vi abbiamo convinti anche questo mese? Intanto marzo spinge alle porte e si definisce già da ora come minimo portatore di uscite attese e potenzialmente importanti. Avete già dato un’occhiata a cosa aspetta? Chi di voi ci segue più assiduamente e con più interesse sarà forse contento di sapere che il prossimo mese non porterà solo ritorni discografici bramati con ansia, ma anche la ripresa di una ormai vecchiotta serie di scritti che, su queste pagine virtuali, è giunta alla sua tredicesima stagione…

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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