Maggio 2018 – Urfaust

 

Sigillato ormai il primo quadrimestre una volta finito aprile, maggio ha aperto il secondo capitolo dell’anno sulla webzine. Com’è andata? Ci siamo riuniti e come di consueto abbiamo deliberato; scelte interessanti e non sempre concordanti sono state fatte, regalandovi la solita eterogenea selezione di ottimi dischi usciti negli ultimi trenutuno giorni – su cui hanno svettato per gran parte di noi gli sforzi incredibili del duo nederlandese più acclamato. Non che ci voglia tanto ad essere il duo nederlandese più acclamato. Ma a creare un disco simile sì e gli Urfaust hanno consegnato a parziale sorpresa ai loro ascoltatori l’ennesimo ottimo capitolo del loro viaggio discografico, probabilmente anche alzando ulteriormente l’asticella delle loro possibilità artistiche. “The Constellatory Practice”, già disco della settimana da martedì, ha visto la sua pubblicazione per Ván Records i primi giorni del mese e si è tenuto la corona fino alla fine, sostanzialmente incontrastato, ma non è decisamente stata l’unica sorpresa di maggio: un progetto finlandese da sempre amato su queste pagine aveva dichiarato la fine della sua attività alla fine dell’anno scorso, prevista con la pubblicazione del suo terzo full-length. Anche questo disco è uscito a metà del mese e fa la sua giusta apparizione nell’articolo, accompagnato da una piccola sorpresa polacca marchiata Debemur Morti (ma discretamente lontana dalle coordinate a cui il paese ci ha abituato negli ultimi anni, con l’eccezione di cose più recenti come gli Entropia) e da un disco bielorusso targato Non Serviam Records creato da una band che, pur non essendo esattamente veterana del genere, rilascia costantemente lavori di buona fattura da diverso tempo. Scoprite tutto proseguendo la lettura.

 

 

“Gli Urfaust proseguono con le loro più personali ambizioni, totalmente incuranti di pubblico, attese e successo, perseguendo nel modellare una formula sempre più unica e trasgressiva. Avvolgenti sfumature Drone-Black dal rumorismo onirico su tormentanti ma raramente tormentati paesaggi Ambient, sono culla di un Doom dall’eleganza epica e maestosamente rituale che affonda le sue radici fino ad una certa concezione Kosmische Musik. “The Constellatory Practice” sfrutta il minimalismo abrasivo per cui sono sempre stati noti creando un allucinato viaggio di redenzione dalla profondità e sfumature eccezionali. Appagare sé stessi è il primo ed irrinunciabile passo per appagare gli altri.”

(Leggi di più nella recensione che lo elegge anche disco della settimana corrente, qui.)

Il Black Metal del duo neerlandese svanisce in un vortice di fumoso incenso, in cui le numerose stratificazioni si sovrappongono e si inseguono in un crescendo di cacofonie sognanti di stampo Dark Ambient, avvolgendosi alle litanie tanto care alla band, sempre incisive nonostante l’esiguo numero di apparizioni all’interno della composizione. La suddivisione in tracce dell’opera non è che pura formalità, rappresentazione delle tappe di una via transmondana, unicuum inscindibile e coerente, nuova ed incredibile emanazione del sound Urfaust, mai così radicalmente stravolto alla base, mai così complesso da afferrare.”

Dopo solo due anni ritornano inaspettatamente i due pazzi olandesi con il loro nuovo e quinto full-length “The Constellatory Practice”, un album dove l’atmosfera e l’Ambient la fanno da padrone, coadiuvati anche da alcune parti Doom particolarmente azzeccate che rendono il tutto molto più estraniante ed astratto, contesto in cui la la voce multisfaccettata di IX funge da canalizzatore in questo vortice di sonorità impalpabili. Impossibile non segnalare, inoltre, la bellissima parte orchestrale in “Trail Of The Conscience Of The Dead”, che eleva il brano ad uno dei più belli del disco. Una nuova intossicazione sonora.”

“Partendo da quanto fatto due anni fa nel già bellissimo “Empty Space Meditation”, il duo olandese dilata ulteriormente i tempi e s’immerge ancora di più nelle profondità del Doom e della Dark Ambient. Il risultato è un rituale lisergico in cui diviene impossibile distinguere le parti suonate i chiave Rock da quelle puramente elettroniche, tanto esse sono bene amalgamate nel clima di cosmica oscurità che permea l’album. “The Constellatory Practice” è infatti un disco al quale chi ascolta deve approcciarsi cercando di percepirne l’atmosfera deviata e di abbandonarsi ad essa, piuttosto che analizzarne le singole componenti – rischiando così di non venirne mai a capo, perdendosi il fascino di quello che in tutta probabilità sarà uno dei maggiori highlights dell’anno.”

/

Il terzo ed ultimo album dei Cosmic Church, Täyttymys”, con cui il mastermind Luxixul Sumering Auter (questa volta in solitudine) ha deciso di mettere simbolicamente fine al prezioso progetto che negli ultimi anni aveva dimostrato di saper portare il verbo del Black Metal finlandese ad un nuovo e grandioso livello di atmosfere. Dopo il fenomenale “Ylistys” e la conferma delll’EP “Vigilia” le attese erano alte (forse troppo?), ma per un paio di noi Täyttymys” (fuori da metà mese, per Kuunpalvelus) sembra non averle tradite nella maniera più assoluta, risultando un meno cupo regalo di commiato imperdibile per gli appassionati del sempre particolare sound Cosmic Church.

A quanto pare il 2018 è l’anno degli addii in grande stile nella terra dei mille laghi, perché dopo gli Alghazanth a marzo, questa volta è il turno del progetto Cosmic Church per dire arrivederci alle scene con il terzo ed ultimo “Täyttymys”: un album assolutamente splendido, in cui il Black Metal proposto è pregno sia di una sorta di malinconia molto efficace (effetto dovuto all’addio?), per cui le tastiere giocano un ruolo decisivo, che una stupefacente aura di misticismo con una buona dose di atmosfera, resa soprattutto grazie agli effetti dell’impiego chitarristico. Un magnifico addio.”

“Chiusura di carriera decisamente positiva quella di Luxixul Sumering Auter. “Täyttymys” è infatti un’ottima prova che racchiude in sé tante idee, quando non originalissime usate con una padronanza invidiabile. Va detto che alcuni difetti ci sono, primo tra tutti una produzione abbastanza inadatta al tipo di musica proposto e che tende ad impastare eccessivamente il suono delle chitarre rendendolo in alcuni frangenti quasi incomprensibile. A posizionare “Täyttymys” in alto rispetto al mare magnum del Black atmosferico, ormai uno stile diffusissimo, si erge però l’ottimo uso del sintetizzatore, il quale riesce a tessere trame melodiche sempre incisive e a dare quel quid in più al canto del cigno del progetto finnico.”

(Ascolta “Armolahja” e “Täyttymys”, leggendo di più nelle colonne ad esse dedicate, qui e qui.)

 

Sicuramente tutta un’altra atmosfera, quella dei polacchi Hegemone (da non confondere con i pregevoli francesi che hanno una e in meno!). Il loro secondo album “We Disappear”, è uscito l’11 di maggio per Debemur Morti Productions e (graziato da un inconfondibile artwork del -al solito brillante- artista d’oltralpe Dehn Sora) ha colpito il nostro Caldix quel che basta per eleggerlo suo personale disco del mese, parlandoci del monocromatico e curato Black Metal dal taglio moderno del quartetto nei seguenti termini:

Il secondo disco degli Hegemone si destreggia tra Post-Black Metal e sporadici passaggi Doom/Sludge. L’influenza degli Altar Of Plagues è evidente durante l’evoluzione delle canzoni, anche se a volte la band polacca in questione tende a perdere il filo di ciò che stava sviluppando non riuscendo a dare particolare importanza ai propri momenti più lenti e riflessivi. A parte questo, il disco scorre senza problemi ed è dotato di un’atmosfera piuttosto ficcante, in grado nel corso dell’intero platter di regalarci una serie di ottimi momenti che non deluderanno gli appassionati di queste sonorità.”

 

Infine una nomination singola anche per i bielorussi Raven Throne, band inossidabile, attiva dal 2004, che dopo essersi messa in mostra con il buon “Šliacham Zabytych” nel 2016 continua a rilasciare album di buona fattura per gli amanti del Black Metal atmosferico tipico dell’Est (ma non troppo) Europa che non disdegna acuti risvolti Pagan. Tra vocals e riffing taglienti, gli amanti dei Drudkh e similie non tarderanno a farsi catturare da “I Miortvym Snicca Zołak”, il loro sesto full-length uscito per Non serviam Records lo scorso 2 maggio.

Buona prova per i Raven Throne, che realizzano cinque tracce monolitiche dal piglio deciso e dai suoni netti e cristallini. Le chitarre imbastiscono un fitto e poderoso muro del suono, con un riffing circolare e non privo di piacevoli intuizioni melodiche, con soluzioni acustiche ridotte all’osso e innestate in modo organico nel songwriting. Nonostante la non spiccata personalità della formazione bielorussa, con coordinate stilistiche facilmente ascrivibili al panorama territoriale di provenienza, “I Miortvym Snicca Zołak” si presenta come un disco maturo, solido e che difficilmente lascerà insoddisfatto l’ascoltatore.”

(Ascolta “Vietru” e leggi di più nella colonna ad essa dedicata, qui.)

 

In attesa del prossimo appuntamento di giugno, naturalmente con un altro articolo sul disco del mese, vi ricordiamo come sempre che ogni album ad oggi annunciato e previsto entro la fine del 2018 è presente nel nostro calendario in costante aggiornamento. Spulciatevelo. Il weekend è ormai prossimo, il caldo avanza e l’estate si fa più vicina, è vero, ma c’è ancora un po’ di tempo per la musica più oscura prima di sole e ombrellone… no?

 

Matteo “Theo” Damiani

 

Precedente Pagan Storm News: 01/06 - 07/06 Successivo Column N.21 - Progenie Terrestre Pura & Craft (2018)