Urfaust – “Empty Space Meditation” (2016)

Artist: Urfaust
Title: Empty Space Meditation
Label: Ván Records
Year: 2016
Genre: Avantgarde Black/Doom Metal
Country: Paesi Bassi

Tracklist:
1. “Meditatum I”
2. “Meditatum II”
3. “Meditatum III”
4. “Meditatum IV”
5. “Meditatum V”
6. “Meditatum VI”

“Nella vaga nebbia di suoni antichi appare un punto di luce: si comincia a udire il discorso dell’anima.” (James Joyce)

Una flebile ed indistinta luce si fa sempre più insistentemente largo tra le arcaiche ombre del subconscio. Il citato bagliore in intensificazione giunge dai Paesi Bassi e prende forma nel pentagramma intessuto dai due edònici trovadori che esplicito pegno pagano alla più giovanile e prosastica retorica di Goethe.

Il logo della band

Chi scrive si riferisce ai meditativi e sui-generis Urfaust, giunti nel 2016 al traguardo del quarto full-length: “Empty Space Meditation” esce alla bellezza di sei anni di distanza dall’ultima prova maggiore (il fantastico “Der Freiwillige Bettler”) ed è il secondo album licenziato dall’ormai partner assodata Ván Records.
Nonostante siano stati inframmezzati da una quantità considerevole di uscite minori (inquantificabili Split-Album e un leggermente più corposo EP, intitolato “Apparitions”, dell’anno scorso), sei anni di attesa non sono certo pochi. Se a ciò aggiungiamo il paradigma, ormai assodato, per il quale il nostro duo nelle uscite minori sperimenta lasciando vaga -quando non assente- traccia dello stile inconfondibile che li ha resi così interessanti e peculiari al loro pubblico, si può ben intuire che questa uscita era ed è giustamente attesissima.

La band

“Empty Space Meditation” è composto, ideato, realizzato e visivamente espletato come un viaggio. Non vi è la minima assenza di certezza al riguardo e nemmeno le apparenze riescono a non tradire la voglia (molto più ardente che in passato) di creare un solido edificio narrativo mediante sei audaci rituali d’intossicazione sonora e interiore, ciascuno denominato “Meditatum” e successivamente numerato ordinalmente.
I cinque minuti di spirituale raccoglimento introduttivo lasciano spazio ad un’apertura inaspettata per i fan della band: blast-beats.
Non solo.
Pattern ritmici estremamente ipnotici si intrecciano ai disperati lamenti di catarsi estrinseca, lasciando l’ascoltatore ad affogare in un cupo mare di layer, letteralmente attonito di fronte alla bravura dimostrata dal duo nel creare -con pochissimi elementi- una stratificazione sonora che non tralascia psichedelìa e abbondanti pennellate Dark-Wave, per varietà ed impiego dei sintetizzatori e degli importanti riverberi, trovando un equilibrio sorprendente tra abbandono e calore. L’effetto è accentuato dalla cura e dalla profonda indagine sonora francamente inedita nei precedenti lavori degli Urfaust, nonché da suoni squisitamente analogici ma al contempo assolutamente ricercati.
Se questo, preso singolarmente, potrebbe far tremare al timore di una standardizzazione del sound a discapito della personalità del progetto, la maligna considerazione non può in realtà portare più fuori strada: la stabilità si conferma maestosa e la sorpresa lascia presto spazio ad un più classico rallentamento Urfaust con le parti vocali di IX (voce e chitarra) dal vezzo più crooner che mai.
L’introspezione che permea l’album è confermata dalle ritmiche Doom che sorreggono gran parte dell’opera e delle sue intuizioni sperimentali di ardua se non improbabile classificazione. La composizione è strabiliante, con un riffing tanto scarno quanto pesante (ipnotizzante come reinterpretata gemma sottratta dal diadema di concezione Arvo Pärt) a reggere brani di matrice tendenzialmente Trance rivestiti di originale Black/Doom Metal, slegando l’attuale operato della band da praticamente qualunque possibile paragone stilistico.
I capitoli, nonostante siano mediamente lunghi, si susseguono senza il minimo intoppo (risultando persino sorprendentemente immediati) e i due apocalittici cantori ripescano dal recente passato solo per un più breve episodio (il quinto), fornendo ritmiche più macabramente danzanti e sostenute (con tanto di batterismo dalla tetra vena Post-Punk), in vista dell’ulteriore sperimentazione atmosferica del pezzo finale. Qui, tra chitarre effettate e l’impiego del sitar, il tutto si chiude in un mood oppiaceo, elegante e squisitamente quanto inaspettatamente orientale.

Concludendo, nonostante l’assoluta bravura ampiamente dimostrata in ogni precedente uscita, l’originalità ormai confermata ed un sound stilisticamente affermato, gli Urfaust riescono, realizzando “Empty Space Meditation”, in una doppia impresa apparentemente impossibile: non solo creare un ricchissimo e sorprendente nuovo tassello discografico finanche migliore dei precedenti, ma alzare l’asticella (per loro stessi e per gli altri, v’è da esserne certi) di svariate ed imprevedibili tacche.
Il loro album definitivo ad oggi, il più estroso, nonché uno dei migliori dischi dell’anno.

Matteo “Theo” Damiani

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