Hegemon – “The Hierarch” (2015)

Artist: Hegemon
Title: The Hierarch
Label: Season Of Mist Records
Year: 2015
Genre: Black Metal
Country: Francia

Tracklist:
1. “Hatred From The Core”

2. “Aruspicine”
3. “Elysean Expectations”
4. “Rays Of Lie”
5. “Atomos”
6. “Renovatio Imperii”
7. “Credo Quia Absurdum”
8. “Hierarch”

“I am what I say I am.”

Nati nel 1996 a Montpellier, nel Sud della Francia, debuttanti solo nel 2000 dopo due brevi demo su nastro nella seconda metà dei ‘90, giungono sul mercato discografico estremo sul finire di questo 2015 con un nuovo e quarto full-length rilasciato dalla connazionale Season Of Mist Records, ad aggiungersi alla scarna manciata di release (al netto di un’esperienza più che ventennale se si considera anche il periodo del batterista fondatore nelle fila dei Mütiilation fino al 1994).

Il logo della band

Il loro nome è Hegemon, un monicker che ben rispecchia (con un sostantivo così indissolubilmente legato a tematiche per forza di cose belliche, politiche e sanguigne, ma anche antiche, oscure e minacciose – a tratti monastiche) il freddo nichilismo e l’attitudine musicale ed estetica della band che, dalla sua fondazione, cerca di mantenersi anonima il più possibile grazie ad una serie di pseudonimi composti unicamente da iniziali quando non addirittura celanti la line-up nella sua totalità.
“The Hierarch” è quindi il quarto disco del combo linguadociano e si pone prepotentemente già dai primissimi ascolti come il lavoro più maturo, curato, ispirato ed in sostanza riuscito, di sempre per gli Hegemon, andando a migliorare (e anche notevolmente) la già abbastanza interessante proposta dell’ultimo “Contempus Mundi” del 2008 che, con i suoi ricami dai vaghi tratti melodici, medievali e folkloristici, aveva attirato l’attenzione del reparto Underground Activists della Season Of Mist.

La band

L’adeguata durata di 42 minuti, per otto variegatissime tracce, permette al disco di essere da subito facilmente assimilabile grazie ad una miscela sempre ben calibrata di ferale ed esoterico Black Metal dai tratti a volte più duri ed altre più melodici, retti da un retroterra sinfonico d’eccezione, sempre richiamante la tradizione medievale tipica della frangia francese (notevoli, a tal riguardo, sono le incursioni acustiche senza alcun preannuncio che colpiscono per ispirazione e la costruzione atipica, non adagiata sui soliti cliché di marchio Melodic Black svedese) che però non disdegna mai partiture ritmiche eclettiche nonché cambi di tempo vertiginosamente imprevedibili richiamanti la Scandinavia a cavallo tra il ’93 e il ’96 (i lavori più prossimi in questo senso sono sicuramente i celebri “Pure Holocaust” e “Opus Nocturne”, con un richiamo più che dovuto anche al meno noto “Far Away From The Sun”), tuttavia mantenendo sempre una personalità ben salda e relegando quindi i paragoni di cui sopra a dei meri tratti stilistici indicativi ed inevitabili in questa sede.
Esaurite le introduzioni più generali di contesto, è bene chiarire che anche i pochi che conoscessero già gli Hegemon per i passati lavori, oggi si troveranno davanti un disco nettamente più curato nel dettaglio e sviluppato nelle sue ottime intuizioni: gli inserti di stampo sinfonico non erano mai stati così presenti e ben arrangiati, garantendo il più delle volte una solida base per rinvigorire e sublimare il guitar-work eccellente di ogni pezzo, prendendo arrogantemente la scena in pochi, selezionati ed elegantissimi frangenti, come è davvero raro sentire quando si mescolano musica estrema e sinfonie orchestrali dai tratti tragici.
Non si spaventi chi non apprezza il Symphonic Black Metal: “The Hierarch”, infatti, è ben lungi dall’essere considerato tale e si mantiene crudo, annichilente ed estremo, nella pressoché totalità della durata; merito anche dell’ottima produzione curata in ogni minimo dettaglio da Victor Santura nei suoi Woodshed Studios (ex-Celtic Frost, Triptykon e Dark Fortress, tra gli altri) che presenta infatti non pochi punti in comune con il suono cupo e claustrofobico di “The Dead Of The World” dei tedeschi Ascension, non a caso sempre co-prodotto dalle sue mani.
Impossibile non citare anche l’ottima prestazione di ogni elemento della band con il suo strumento e la sapiente abilità di arrangiamento dimostrata negli otto pezzi, dove la tecnica palesemente rintracciabile è spesa nella creazione di un comparto solido ma al contempo sempre multiforme ed invitante, retto dalle partiture tentacolari di batteria ed i continui ed efficaci scambi col basso che gioca tra l’altro funzioni tutt’altro che marginali in molti frangenti del platter.
Il ritmo medio è decisamente sostenuto, e i pattern ritmici sono incalzanti ed incisivi, infatti gli up-tempo sono all’ordine del giorno e i momenti più rallentati ed evocativi sono pochi ed ottimamente calibrati, aventi il merito di donare freschezza e longevità ad ogni singola traccia.

Il grande gusto melodico già accennato, liriche intelligenti e profonde che trasudano occultismo, nichilismo e disprezzo (con finanche una vaga vena di denuncia tra le righe) contenute in un booklet ampio e curatissimo, sembrano essere la classica ciliegina sulla torta in un disco in cui è difficile -se non impossibile- selezionare e mettere in risalto qualche pezzo a discapito degli altri: ognuno di essi è una piccola gemma a sé stante, valorizzata ancor più nel complesso… Anche se le intuizioni melodiche di “Hatred From The Core: Tempus Incognito” e “Interpreting Signs For War: Aruspicine”, i più concitati e vorticosi momenti di “Renovatio Imperii” e “Credo Quia Absurdum”, o il finale drammatico della title-track “Hierarch: The Empire Of Zero” potrebbero -in particolare- lasciare un segno profondo su più di un ascoltatore.
In conclusione, con “The Hierarch” ci si trova davanti ad un notevole ed interessantissimo lavoro di altissima fattura, da non lasciarsi assolutamente sfuggire.

“We reject all this Heaven and Hell, I don’t believe in the ways of men.”

Matteo “Theo” Damiani

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