Goatmoon – “Finnish Steel Storm” (2007)

Artist: Goatmoon
Title: Finnish Steel Storm
Label: Werewolf Records
Year: 2007
Genre: Folk/Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Eclipsed By Raven Wings”
2. “Alone”
3. “Bitter Winter Of Depression”
4. “Der Sieg Des Ziegenmondes”
5. “Finnish Steel Storm”
6. “Immortal’s Winter”
7. “Murder, Murder Glorious”
8. “Mythical Story”
9. “Nyt Ei Kristus Auta”
10. “Forest Of My Native Soil”

Limitato entro lo stretto recinto di tutte quelle fragilità tecniche ed esecutive ravvisabili in un’opera prima, tanto per il musicista che lo ha composto quanto per l’etichetta che lo ha prodotto, “Death Before Dishonour” presenta al mondo nel 2004 dei Goatmoon al loro stato larvale, primitivo, presi dall’evidente esaltazione data dalla prima release ufficiale piuttosto che dall’ambizione verso un prodotto seriamente rispecchiante tutto il talento e l’intuito del balordo BlackGoat Gravedesecrator per delle composizioni davvero memorabili, ironicamente anticipate proprio nel celebre colpo di coda del disco intitolato “Kunnia, Armageddon!”. Una volta invasa la nicchia di mercato alla portata di un prodotto simile a metà anni ’00, l’intero biennio 2005-2006 vede le due entità da esso battezzate imboccare cammini opposti in un bivio conducente però verso la stessa destinazione, quella di cui entrambe avevano impellente necessità; mentre Werewolf Records ed il suo eponimo patron si fanno le ossa con alcune uscite secondarie che ne fanno girare il nome soprattutto nelle frange politicizzate della scena (vedono infatti la luce esplicite compilation al da sempre ambiguo marchio Satanic Warmaster e soprattutto ristampe su vinile del self-titled debut dei russi Forest), l’altro polistrumentista emerso dalla Lappeenranta ormai epicentro delle efferatezze finlandesi d’inizio millennio si immerge al contrario nella completa stasi creativa, un ritiro dal quale, come in un episodio degno delle grandi saghe nordiche, il guerriero trova la forza non tanto fisica quanto spirituale di mutare le sue fattezze ed elevare le proprie capacità ad un livello di coscienza ben superiore. Vede così la luce “Finnish Steel Storm”, ad oggi sia brillante stella polare per un intero sottobosco interno all’affollato scenario locale, sia -e più di ogni altro merito- incontrovertibile prova di un istinto autoriale assai troppo forte per essere imbrigliato nelle precedenti ristrettezze realizzative.

Il logo della band

Oltrepassati quindi il mixing indecentemente sbilanciato verso la batteria e l’impostazione minimale dei tredici brani contenuti nell’esordio, al mastermind non resta che ripercorrere in avanti la cronologia della nera tradizione nazionale e buttare su foglio una propria rilettura personale di ciò che seguì alle prime registrazioni dei Beherit, fino ad allora principale riferimento sfregiato dalla follia degli altrettanto embrionali Impaled Nazarene: la ricerca di eroici antenati a cui appellarsi nell’impresa di difendere la via finnica al Black Metal porta dunque BlackGoat Gravedesecrator al cospetto dei Thy Serpent e delle numerose altre formazioni di culto dominanti le foreste locali durante il precedente decennio, assorbendo da muschio e corteccia tanto le ispirazioni folkloristiche importate dal resto dell’adiacente area scandinava quanto la malinconia per un mondo perduto che è conditio sine qua non all’impianto artistico ed ideologico dei Goatmoon. Lontano in ogni caso dal proverbiale passo più lungo della gamba, il pittato direttore d’orchestra, ora affiancato dalle prime reclute ammesse nei ranghi tra i quali spicca evidentemente lo Skratt addetto agli inserti dei fiati (e da qui in avanti presente in tutte le prove maggiori del monicker), non sfiora nemmeno con un dito l’idea di rinnegare le radici ben salde nella galassia militante; a renderlo palese ci sono da una parte le liriche della celebre traccia omonima (roba che avrebbe fatto la felicità di chi l’anno precedente si affrettò a scandalizzarsi di fronte ad un Pro Patria Finlandia” qualsiasi), e soprattutto dall’altra l’approccio ancora pienamente debitore verso la fiera povertà compositiva dell’etica Punk, in un disegno dove il classicissimo metallo nero riportato in auge nella sua forma più scarna proprio dai complici Werwolf e Shatraug negli anni immediatamente precedenti viene sbattuto su di una batteria dalle partiture elementari, e punteggiato da melodie trascinanti che decuplicano l’immediatezza del disco rendendolo merce appetibile a qualsivoglia orecchio, anche per merito di una produzione in cui sono stati fatti gli autentici e più proverbiali passi da gigante rispetto al recente passato.

BlackGoat Gravedesecrator

Le lingue di fuoco sputate dal vocalist sulla copertina in onore di Quorthon ed Abbath (in posa speculare a quella tenuta dall’icona norvegese ai tempi di Diabolical Fullmoon Mysticism” per un omaggio alquanto paradossale, se consideriamo l’upgrade a tutto tondo da parte del discendente finlandese adesso giunto per qualità più che altro al suo personale Pure Holocaust”), chiamano a raccolta gli antichi protagonisti di epopee confinate nel 2007 alla sola memoria dei custodi del culto dimenticato, e promettono il ritorno del vecchio spirito aristocratico in un contesto di massificazione del prodotto estremo avviata ormai da una decade. Ciò che però farà la fortuna di “Finnish Steel Storm” come dell’intera discografia della creatura Goatmoon è la scelta di un suono per cui deve forzatamente essere scomodata la pressoché totale perfezione, filtrato com’è dalle volute sbavature dei predecessori tematici incisi da Sargeist e Satanic Warmaster ma, nonostante la maggiore pulizia, seghettato e pungente alla stessa deliziosa maniera. L’affascinante controsenso in seno al genere tra intenti elitari e mezzi sofisticati pervade ognuno dei dieci strepitosi capitoli di questa tempesta di urla disperate ed onnipresente tremolo-picking, sicché scegliere tra i magnetici riff che decorano “Bitter Winter Of Depression”, l’afflato pagano ancora in affinamento (eppure già fiorente nei solchi dell’inarrestabile title-track) e l’andamento spavaldo con tanto di sgangherato assolo su “Murder, Murder Glorious” diventa questione di mera soggettività.
Non parliamo d’altronde di un album puramente passatista né, tantomeno, del tutto uguale a sé stesso in fatto di scrittura; ed è vincente in tal senso il poker di contrappesi articolato tra impennate punkeggianti da centro sociale e rallentamenti ardui ma decisi come il passo tra le nevi dei boschi artici: i power chord sui quali furoreggia “Nyt Ei Kristus Auta” e la girandola impazzita di chitarra e tastiere che ha reso “Alone” forse il pezzo più celebre dei Goatmoon in assoluto hanno il fondamentale compito di tenere il discorso allacciato ad una base concreta, pratica e se vogliamo anche politica (intesa qui come valore e riferimento artistico anziché modalità testuale di propaganda). E mentre quindi la rivisitazione di “Mythical Story” in salsa quasi bathoryana sfoga di nuovo l’urgenza di un confronto diretto coi propri trascorsi, trattandosi di un brano registrato a fine secolo dai misconosciuti Draco e destinato ad uno split postumo (2010) con gli Usva dell’allora giovanissimo BlackGoat Gravedesecrator, “Forests Of My Native Soil” scorre sul letto di un fiume montano dal percorso mutevole, insieme epico e furioso come soltanto questo esercito d’un solo uomo, qui in un altro dei suoi lucenti trionfi, sarà mai in grado di suonare.

“Finnish Steel Storm” è pertanto il classico album di mezzo, di quelli che, a seconda delle circostanze ed inclinazioni personali, possono venir ritenuti un episodio di scarso interesse oppure l’apice di un’intera carriera. Nel caso di chi nei momenti morti va sotto il nome di Jaakko Lähde lo sviluppo in termini di production values, la completa ma per nulla castrante adesione ai canoni del genere e l’intenzione sin dal titolo di consegnare al mondo un’opera-manifesto dell’ambiente di appartenenza hanno però garantito al suo sophomore-record la seconda opzione, almeno tra le masse amorfe e bovine irretite sull’onda dei due ben superiori capolavori successivi, o magari a dirla tutta grazie al fascino proibito di quel NSBM ai tempi coccolato dai lassisti media del settore ed oggi gettato via al pari di un calzino sporco, con tanti saluti a chi (sotto un qualsivoglia stendardo, poca importanza) ha alleviato le pene su questa terra a coloro fortunati abbastanza da ascoltare; e vista appunto la considerazione data ultimamente a certi progetti, in confronto, avere la seconda fatica dei Goatmoon in cima alla propria classifica di gradimento non è di certo il peggiore dei crimini.
In fondo, se c’è un pregio che nessuno potrà negare a quei dischi transitori è precisamente l’importanza rivestita nel cammino evolutivo dei loro autori: lo stesso che, in futuro, avrebbe condotto un teppista come tanti altri a comporre Varjot” e “Voitto Tai Valhalla”. Ebbene, quella medesima strada era invero iniziata quindici anni fa alla scrittura di questo articolo, aperta dal gracchiare malaugurante dei corvi e non esente da pericolose false piste dal sentore Dungeon Synth; ma forse proprio per la sua aria funesta imboccata con tanta risolutezza ed un briciolo di sana arroganza da un artista che, in soli due full-length, si era già permesso di (ri)scrivere gran parte della storia dell’acciaio finnico.

Michele “Ordog” Finelli

https://www.youtube.com/watch?v=KwImO7y0-x8

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