Lunar Aurora – “Elixir Of Sorrow” (2004)

Artist: Lunar Aurora
Title: Elixir Of Sorrow
Label: The Oath Records
Year: 2004
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Einsamkeit Und Dunkelheit (Intro)”
2. “Zorn Aus Äonen”
3. “Augenblick”
4. “Geister”
5. “Kerkerseele”
6. “Freiheit”
7. “Hier Und Jetzt”
8. “A Wandering Winterdream Beneath The Cold Moon”
9. “The Unknown Dead”
10. “Irrlichter (Outro)”

Chi, nella vita, non si è mai chiesto quale brivido si senta nel calpestare il cranio di un neonato, quale orrore si provi nel massacrare un gentiluomo, quale senso di sollievo nel commettere crimini ripugnanti dopo aver sentito così tanto quell’insopportabile senso di dubbio e ciononostante attrazione? In effetti, l’ultima volta che ho provato una simile pulsione è stato quando, giusto qualche anno fa, rubavo le caramelle alle erbe nella casa dei nonni – ovviamente diabetici. Nel mio pur piccolo, mi sembrava in verità di commettere chissà quale reato. Il suo peso insostenibile aumentava di pari passo con la gravosità che tali nefaste gesta avrebbero avuto sulla mia coscienza: più passava il tempo, più avevo dubbi, più mi convincevo che non andava fatto; e che senso di liberazione quando alla fine mi decidevo invece a farlo; e che altruismo dimostravo a me stessa quando, con cuore aperto, mi dicevo: ma sì, a loro fanno pure male.

Il logo della band

Nella distorsione morale insita nel processo logico della mente di chi ‘danneggia’ fisicamente qualcun altro, magari, non succede qualcosa di troppo dissimile. L’odio verso il tutto porta a comportamenti davvero strani, anche a credere che togliere la vita in un mondo come questo che viviamo sia addirittura un dono: un regalo alla malcapitata vittima. Il paragone con la mia fedina penale macchiata, tuttavia, attacca fino ad un certo punto: spesso chi si prodiga in tali nefandezze ha bisogno di uno stimolo, di uno strumento o di un mezzo attraverso cui forzare la mano sulla propria coscienza – io, criminale dissoluta, non avevo certo bisogno di drogarmi per fregare caramelle. Ma Stevenson ci ha insegnato proprio questo, che in noi coesistono due nature opposte e tuttavia complementari solo quando perfettamente bilanciate e non polarizzate: una rispettabile e l’altra orrenda, una dualità nella quale la prima prevale il più del tempo sull’altra solo perché l’educazione sociale è direttamente volta a castrare la seconda al punto che diventa quasi impossibile sfidare il proprio super io. Lo scrittore aveva proposto come soluzione dell’enigma il ricorso a quella che anche negli studi letterari e d’interpretazione critica è conosciuta come la cosiddetta pozione magica: al liquido, in questo caso, sintetizzato in laboratorio (vale la pena ricordare che all’epoca del tardo ottocentesco autore, più assurda dell’omicidio era forse solo la chimica) il quale consente di annebbiare la moralità per lasciarsi andare all’altra sfera di realtà mentale, quella più nebulosa, maledetta ed insondabile del nostro comportamento.
Che il rispettabilissimo scrittore scozzese la biasimasse, è poi un tutt’altro discorso; che il tema abbia dato altresì via ad un vero e proprio topos letterario, è un ben più interessante e sensibile altro discorrere. L’elisir che provoca dolore, anzitutto a sé stessi e solo in seguito d’azione o reazione agli altri, il barbiturico che consente insomma di esplorare gli abissi dell’animo umano nei suoi anfratti più oscuri e ripugnanti, è del resto e non casualmente anche l’argomento pulsante del disco che ricordiamo oggi nel suo ventesimo anniversario: “Elixir Of Sorrow” dei Lunar Aurora.

La band

L’attrazione verso tematiche mortifere e gotiche pulsioni primordiali, dopo un disco come “Ars Moriendi” (2001), non è sicuramente novità, ma il duo bavarese dà nel giovane 2004 vita ad un primo album che ha effettivamente e forse davvero inauditamente un odore pungente, riconoscibile, persino un verdastro colore definito e tutto suo. Che si tratti infatti del primo lavoro dell’ai tempi trio a manifestare una pienissima, completa ed inconfondibile, non più travisabile o ancora discutibile maturazione stilistica in atto è inconfutabile. La chiarezza nel suono ora impossibile da attribuire ad altri, l’uso anche più compatto e per così dire atmosferico delle chitarre e la definizione più netta della strumentazione è cosa oltre il tangibile nonostante il minutaggio complessivo sia pressocché uguale a quello di un già ambizioso e diversificato (benché caotico e sicuramente novantiano) “Of Stargates And Bloodstained Celestial Spheres” – entrambi, non appaiati per caso dopotutto, segnano uno stacco dagli altri lavori precedenti di un buon brano. Che nella fattispecie del 2004 vale tuttavia a dire: per la prima volta, nonché in controtendenza con le uscite immediatamente precedenti, i bavaresi si lanciano nell’elaborazione di ben due pezzi da più di dieci minuti inclusi in un solo lavoro, ovvero “Augenblick” ed “Hier Und Jetzt” (in un certo senso successori in raffinatezza atmosferica delle ormai già antiche “Kerker Aus Zeit” e “Conqueror Of The Ember Moon”), mentre dietro alle quinte nel medesimo periodo si preparano con perizia e dedizione gli ellittici venti minuti abbondanti de l’“A Haudiga Fluag”; traccia anch’essa prossima al rilascio in tandem con gli affini Paysage D’Hiver (per inciso sintomo di una sensibilità, nel cuore della band, che proprio dal 1999 -anno in cui iniziano tutte le composizioni che finiranno in tutte le uscite rimandate fino al famigerato 2004- sta mutandosi di forma verso le tensioni che segneranno il sottogenere un buon lustro più tardi).
Una migliore produzione, dunque, una maggiore coesione interna e una distribuzione più omogenea tra intermezzi (tali e propri anche infra-track) ed effettivi brani fanno sì che l’uso delle importantissime tastiere si misceli meglio che mai con le chitarre, che pure rimangono uno strazio di grezza e fredda distorsione – in fondo, forse è proprio per questo che “Ars Moriendi” non lo ricordiamo altrettanto bene, la differenza ultima tra due pur grandissimi dischi ognuno a suo modo. Ma più che pro-porre “Elixir Of Sorrow” in un’ottica comparativa con quanto prodotto prima, ha veramente e molto più senso lodarne il grandissimo valore come visionario apripista non soltanto ideale ed intuitivo a quella meraviglia di “Andacht” -per aggressività, velocità, immaginazione ambientale ricreata ed un ritmo spezzato e imprevedibile che si fondono finalmente con un fortissimo, quasi teutonico criterio, seppur apparentemente senza possibilità di previsione- bensì proprio e storicamente con tutto il filone di Black Metal atmosferico e dilatato che farà nuova e se vogliamo moderna fortuna dell’intero genere dopo gli exploit 2002-2005 dall’Est Europa di Negură Bunget o Drudkh, il cui naturalismo (invero qui avvicinato nella sua coraggiosa e criptica declinazione intima e mistica à la “Măiastru Sfetnic” e “’N Crugu Bradului”, che non nel romantico, reiterante e contemplativo stile ucraino) viene dai tedeschi ripensato in chiave sinfonica non dimentica del passaggio 1996-2001- purché avvicinata alle asperità dei novelli Darkspace del 2003 e del parente progetto svizzero del solo Wroth. L’effetto nell’ascoltatore non è così quello di un lento cammino di riflessione su quelle pulsioni che come infuso malefico abbruttiscono lo spirito, ma è simile a quello provocato da un trauma; dagli incubi coevi dei The Ruins Of Beverast di “Unlock The Shrine”, da una presa di coscienza che è rapida e violenta come l’incedere degli appena sciolti Nagelfar, simile appunto all’istantaneo e radicale cambiamento fisico che provoca l’intruglio messo a punto dal celeberrimo Dottor Jekyll.
Il tema stesso richiede nel 2001 (anno in cui è finalizzato e pronto il disco) una realizzazione quanto mai precisa, più accurata, in un certo senso scientificamente attenta al dettaglio nella sua potenza speculare, soprattutto in luce del nuovo cattivissimo approccio anche pregno di un’anima Dark Ambient, di layer di sintetizzatori caleidoscopici e dettagliatissimi (“Zorn Aus Äonen”) più che solamente faux-orchestrali, di tetri campionamenti in soundscape d’inquietanti dettagli (“Kerkerseele”). E tutto ciò è ancora più strabiliante se si considera che il lavoro era già in attesa di rilascio sul finire del secondo anno allo scavalcare del millennio, ma che a causa della débâcle di Ars Metalli prima e dei ritardi con la neonata The Oath dopo venne pubblicato solo tre lunghissimi anni più tardi. È solamente qualche mese dopo la pubblicazione del cruciale “Ars Moriendi”, infatti, che terminano tutte le registrazioni di “Elixir Of Sorrow”.
Caso sfortunato quello dei Lunar Aurora, come non mi stancherò mai di dire, se lo stacco dai lavori del periodo appare così sensibile ai più soltanto, in fondo, per ragioni produttive. Per fortuna, ad inizio millennio la band si trova tuttavia nel suo periodo creativamente più florido di sempre. Già alla fine del 2002 ha pronto anche “Zyklus”, uscito proprio con l’allo scopo neonata etichetta Cold Dimensions dello stesso Andreas Bauer. Una grandissima creatività in quegli anni che, forse, oscurò però un poco i due album scritti nel 2001, accumulatisi e già condannati all’oblio per colpa dell’infelice rapporto con le etichette discografiche; due gioielli di dischi che in altre circostanze avrebbero meritato alla band lo status tra gli assoluti precursori di quella ondata di Black atmosferico dilatato e reiterato che tanto avrebbe avuto successo e sbocco in seguito alla prima decade ’00, e che invece si dovette accontentare di un generale ma mai troppo ampio rispetto riservato dai più attenti in materia. Che il deplorevole ritardo a cui furono costretti i lavori dei Lunar Aurora sia stato -in genere e qui più che in altri casi- un insormontabile ostacolo alla naturale ricezione di “Elixir Of Sorrow” col suo reale merito anche storico lo dimostra proprio come, isolandolo dal pessimo tempismo della sua uscita, appaia un lavoro perfettamente coerente benché ampio; in anticipo sui tempi eppure splendidamente coeso e pronto nella sua Eisamkeit-und-Dunkelheit che, come fossero gemelle pietre miliari e programma in due sostantivi, descrivono perfettamente la sua essenza sonora.

“Elixir Of Sorrow” può dunque, a ragion veduta, essere considerato il disco più importante nell’intera discografia di quella che fu la creatura artistica dei fratelli König. Quello che, se non cambia tutto, cambia molto. Benché non sia a proprio tutti gli effetti un caposaldo o manifesto in fatto di poetica per la band (dall’ultraviolento “Mond” in avanti si cristallizzerà anche quella, partendo nondimeno da qui), i germi dell’indurimento ed incupimento progressivo, nonché dell’irradiamento atmosferico ottenuto -anche- con l’allontanamento dagli stilemi più barocchi, medievali e sinfonici nel caos del materiale targato Lunar Aurora che precede l’inizio del nuovo secolo, ancora presenti ma finalmente bilanciati nel precedente “Ars Moriendi”, vengono incanalati all’assoluta perfezione ed originalità dalla malinconia feroce e pesantissima che ricopre di oscurità opprimente l’intero scorrere del quinto nato, rendendolo l’effettivo punto zero nella sferzata verso uno stile che, seppure reinventato, segnerà l’operato più maturo del gruppo sino al già citato e per molti versi gemellare picco intitolato “Andacht” del 2011. Non solo: più fattualmente, “Elixir Of Sorrow” con tutto il suo culmine di sfortune segna un altro non-ritorno essendo motivo in sé della creazione di Cold Dimensions, proprio per l’uscita di lì a qualche mese dell’altro fenomenale viaggio “Zyklus”, nel tentativo di recuperare l’enorme ritardo accumulato dalle mancanze della nuova e già abbandonata label.
Insomma: l’attenta riflessione sul tema della violenza più primordiale e oscura, recondita, ben si concilia con il solo apparente paradosso di una produzione più limpida e definita per scandirne e sondarne gli aspetti in ombra, seppur basata su sonorità che comunque restano grezze e all’insegna della velocità. Il tema del doppio, già proposto nel diretto predecessore, ritorna in auge nel quinto full-length sotto una lente più scientificamente attenta agli effetti imprevedibili che un agente esterno come il dolore può avere sulla psiche e l’attitudine di un individuo. A fine disco, d’altro canto, non rimane che un messaggio di buon augurio a stare alla larga da queste sibilline sostanze stupefacenti emotive riassunte nella potentissima figura dell’elisir d’angustia: l’effetto dell’intruglio, della pulsione ad esplorare e analizzare gli strati più reconditi della violenza causata da e causante male, è irreversibile e disumanizzante. Tenersi distanti da simili coordinate e metaforicamente da ‘kallocainosi’ sieri che ci mostrino con verità ciò che farebbe scoppiare in lacrime al solo pensiero, fa sì che la propria umanità resti al sicuro; che i nostri istinti più ferini permangano ma non massacrino la nostra disciplina in moti autodistruttivi, e che il senso di colpa non ci torturi fino alla fine quando ci prendiamo una pausa dal nostro essere bestie – e forse in fondo è questo il vero discrimine che fa sì che anch’io, a distanza di anni, non abbia alcun senso di colpa di fronte ai miei crimini.

Sara “Vesperhypnos” Cönt

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