Dicembre 2020 – Abigor

 

Il bilancio di fine anno è stato già fatto, le somme complessive forse ampiamente tirate, ma non proprio tutto è stato in verità doverosamente detto – e in quello che sarà l’ultimo (o per l’esattezza il penultimo) articolo della Webzine dedicato al 2020 andiamo oggi a setacciare al meglio un dicembre all’insegna dello scarlatto e del virulento: dalle fiamme spaventose e velenose in ogni lingua sibilanti degli Abigor, con “Totschläger – A Saintslayer’s Songbook” (fuori senza troppi inutili preamboli per World Terror Committee) imperituri ed inevitabili capolista della dodicesima rassegna di sangue in un anno ormai melodrammaticamente tramontato ma difficilmente dimenticabile, al gelo ardente le carni con non meno pietà degli Hate Forest che (altrettanto sorprendentemente, ma per Osmose Productions) hanno rilasciato un nuovo disco dopo tre lustri buoni di silenzio tombale che pareva irremovibile, finendo con il cremisi romanticismo crepuscolare, gretto ma sinfonico dei Mooncitadel dimostratisi forti alla prova di debutto, ed -a cerchio il cui viaggio è realmente compiuto- il fuoco primordiale, quello di un portatore Lucifero che anche in “Kuoleman Kirjo” dell’istituzione connazionale Horna sembra essersi fatto sentire dolorosamente palpabile e non poco calorosamente.
Si aprano dunque con quel disco incredibile di “Totschläger” ad opera del trio austriaco più prepotente, arrogante, nobiliare e geniale di sempre i passi di un’ultima danza d’anime dicembrine tra urla agghiaccianti ed inquiete note di pianoforte, che con il totale assoluto di zero compromessi si portano via l’intero anno così come segue. Perché quando ogni sacramento è stato officiato, quando ogni candela si è spenta ed ogni cosa è ormai detta e fatta, è tempo di passare a spade e pugnali: che sia dunque vittoria, o morte!

 

 

[…] Così gli Abigor -sacerdoti assassini del predecessore nel Bosco di Nemi- pubblicano il loro album più perfetto ed alto di sempre; così l’avanguardia è sinarchia di tradizione e la tradizione innovazione: la carne escatologica che comprende lo scheletro di una maestà infernale, un’enorme rimbombante risata ad erompere ed irrompere col peso di un’uscita cruciale ed illustre come “Totschläger”. Una dal potenziale tanto assurdo quanto perfettamente sfruttato e catalizzato, incanalato tramite energia e dedicazione da lasciare attoniti; le parole di elogio rivoltegli che non possono davvero rendere giustizia quanto invece l’eloquente immagine di cherubini costretti a tapparsi le orecchie per lo spavento innanzi al marchio d’ossa dentate dell’élite di veri diavoli in terra, tenenti alti gli stendardi del massacro in musica quanto nella riflessione concettuale umana a tutto tondo, ogni volta di più contribuenti -ormai nemmeno più tanto umilmente- al tempio metafisico del Black Metal: nell’ombra più fitta delle corna, in vittoria o in morte, nobiliare, superba arte totalitaria.”

[Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana, qui.]

Con l’imprevedibilità ed il fascino di una fiamma viva e pulsante che si ritorce su se stessa divampando su arzigogolate e rasoianti corde, infuocando di sfumature auree le gloriose orchestrazioni e avvolgendo un batterismo sfolgorante e luttuoso, gli Abigor fondono l’estro mostrato in altra veste nell’album collaborativo del 2017 con le soffocanti e geometriche trame di “Leytmotif Luzifer”, temprandolo infine nel drammatico pathos di “Höllenzwang”. Il marchio di Caino risplende cangiante e vivido sulle fronti di TT, PK e Silenius come non mai, che in “Totschläger” suonano l’autentico stato dell’arte nel Black Metal A.D. 2020, sospeso ed innalzato fra primigenia coerenza, grandiosità compositiva e sconvolgente manifestazione artistica: un accecante vessillo scarlatto che quantomeno ogni seguace di questa webzine dovrebbe al minimo scoprire, conoscere e adorare.”

Nuova espressione di magnificenza degli austriaci Abigor che con il loro breviario “Totschläger” raggiungono un amalgama imbattibile a colpi di Black Metal atipicamente tradizionale mischiato agli aspettici più eclettici e vorticosi dei loro ultimi lavori. Un album che va veramente a soddisfare qualunque possibile appassionato del genere portando un concept ed un’immaginario affascinanti, il tutto sorretto da un sound regale ed impettito in grado di generare tratti di pura sinfonia senza l’ausilio esplicito dei sintetizzatori; ed è proprio questa sensazione di vivere in un costante tripudio orchestrale generato dall’intera strumentazione che rende l’atmosfera turbinosa e a tratti orrorifica, con il lacerante cantato di Silenius che va a scandire ogni nostro passo nel vuoto e nell’oscurità più totali. Un disco fuori dal comune che solamente un’entità artistica marchiata Abigor sarebbe stata in grado di produrre.”

Con quindici minuti aggiunti ed una scrittura in realtà ancor più elaborata, questo disco suona comunque dieci volte più coinvolgente del pur ottimo predecessore: tanto azzardata quanto apparentemente illogica, tale frase riflette in verità l’essenza stessa degli Abigor anno 2020. Come già riuscito ai sodali Ondskapt, gli austriaci danno vita ad un’opera in cui siamo costretti ad unire tra loro singoli snodi anziché fruire di un corpus definito; eppure, nonostante tale ermetico modus operandi, l’album è un continuo bombardamento di lead, orchestrazioni e melodie che prima lascia intontiti e poi seduce anche i meno avvezzi ai barocchismi intessendo atmosfere tra il rituale e l’anthemico. Deleterio e forse impossibile sarebbe dunque enumerarne gli episodi più intensi, mentre doveroso è levarsi ancora una volta il cappello di fronte a un Silenius da Oscar alla carriera per espressività ed immedesimazione nel particolare mood di “Totschläger”: non solo uno dei migliori lavori a tinte operistiche degli ultimi anni, ma un monumento all’elitarietà che tutt’oggi alberga nel genere.”

Un ritorno tanto atteso quanto inaspettato, quello delle leggende austriache Abigor, che con “Totschläger” arrivano in un soffio infernale al dodicesimo full-length della loro ormai quasi trentennale carrier; un disco che, che per chi scrive, si può collocare facilmente come perfetta unione dei loro due ultimi album “Leytmotif Luzifer” ed “Höllenzwang”, dove dunque le cervellotiche chitarre del primo incontrano la furia sulfurea e diabolica del secondo. A ciò si aggiunge un qualcosa del loro magnifico apporto al collaborativo con Nightbringer, Mortuus e Thy Darkened Shade per via dell’uso di cori di voci maschili, su cui si staglia fondamentale il contributo vocale di Silenius, capace di spaziare letteralmente fra qualunque cosa gli capiti in mente; scream evocativi e acidi, voci roche alla Attila Csihar dei vecchi tempi e semi clean-vocals dal sapore mistico, a riconferma di essere il vocalist primo, ultimo e perfetto per la musica degli Abigor. Non si può poi non menzionare un certo sentore di vecchie radici, perché in tutto il disco aleggiano, di tanto in tanto, sentori musicali vicini ai primi album degli austriaci; un’unione di mood ed espressioni rielaborate che rende il disco semplicemente e diabolicamente sublime – nel senso più vero del termine. Un gruppo che, in sostanza, non smette davvero mai di sorprendere.”

Gli Hate Forest che pubblicano nel giorno del Dies Natalis Solis Invicti e dopo soli quindici inverni di silenzio impenetrabile un nuovo full-length, il quinto numerale in carriera, intitolato “Hour Of The Centaur” sotto l’egida di Osmose Productions. Nessun rimorso, nessuna pietà e nessun pentimento. Solo una foresta intera di odio glaciale eternamente setacciata da centauri assetati di morte e bellezza. La caccia, qui, non ha mai fine.

Tutto quel che ci si poteva (e doveva) aspettare dagli Hate Forest d’imprevisto ritorno – e fortunatamente anche qualcosa in più. “Hour Of The Centaur”, seppur riproponendo immediatamente distingubile l’invero inconfondibile suono algido e sprezzante del più estremo output compositivo del Saenko maggiormente misantropo, è una vera e propria sberla di album in pieno volto che tuttavia offre una tutta nuova varietà di soluzioni estremamente coerenti con concetti, sviluppi, atmosfere e radici di un mondo in monocromo della sua opera omnia tra rallentamenti gustosissimi, ipnoticità selvaggia, tensione oltre il limite oggi corroborata ed aumentata da grandiose melodie feroci nell’imprimersi tra le sfibrate membra all’ascolto di una prova tanto ostica quanto compatta, soddisfacente e perfettamente riuscita. Perché, in fondo, per essere memorabili dopo quindici anni di sonno silenzioso ed una pubblicazione sputata fuori il 25 dicembre occorre giusto, quanto assolutamente non così banalmente, avere tra le mani un grande disco.”

“L’impatto massiccio e dal sapore terroso con il muro di suono Hate Forest non solo si ripresenta con rinnovato vigore e violenza, ma con una struttura ancora più impenetrabile ed esplosiva su tutto il range di frequenze. Tuttavia questa barriera soverchiante si erige con accuratezza e razionalità, fertile nell’accogliere quella componente melodica tanto raffinata, gloriosa ed inaspettatamente orecchiabile che si conficca come una lancia acuminata fra le fitte partiture dei sei brani così come nella mente dell’ascoltatore, che quasi stupito segue con attenzione e sorprendente rapimento un platter stilisticamente e metricamente così solido e monolitico. I 37 minuti di “Hour Of The Centaur” concedono infatti poche tregue, ma includono appena occultato un filo tagliente e seghettato di variazioni e cambi di tono dal fiero gusto squisitamente est europeo.”

“Se con i Drudkh Roman Saenko ha sempre messo in evidenza la sua vena più poetica e romantica, con gli Hate Forest ha sempre dato sfogo ad un certo livore ben manifestato nei suoi intenti attraverso una musica incredibilmente ostile, sprovvista di qualunque fronzolo, che si può ritrovare anche nel sorprendente e inatteso ritorno, questo “Hour Of The Centaur” che senza troppe celebrazioni o stratagemmi di marketing di sorta (tanto all’ordine del giorno altrove quanto disprezzati con orgoglio da un progetto come quello in analisi) trova il musicista ucraino a scaglia un nuovo monolite di nerissimo astio contro l’umanità intera tra tempi perversamente serrati, blast-beat inumani e growl che traboccano veleno; in un complesso che lascia trasudare anche una certa atmosfera nuova, come nel caso della quinta traccia “Anxiously They Sleep In Tumuli” – probabile miglior traccia del disco, nonché manifesto di quel che sono gli Hate Forest nel 2020 con il suo concentrato di rabbia e fierezza epica.”

Rampante opera di debutto invece per i finlandesi Mooncitadel che, dopo l’attenzione attirata con una prova di dimostrazione fatta girare in vari formati e titoli tra il 2016 ed il 2018, giungono per Werewolf Records al debutto “Night’s Scarlet Symphonies” – uno che, tra le sue atmosfere medievali e notturne, farà l’assoluta gioia dei maggiori amanti del panorama finlandese al contempo totalmente avversi a qualunque modernità che non rimi con personalità.

Dopo l’infausto rilascio degli Ymir proprio durante il fin troppo critico mese di novembre, il pacioccone Lauri Penttilä ne combina un’altra delle sue dando alle stampe quasi in gran segreto (almeno al di fuori dei confini finlandesi) l’opus primum dell’ennesima sensazione locale sotto le vesti dei Mooncitadel. Il progetto guidato da Stormheit dimostra in ogni caso di essere molto più che un mero oggetto da collezione / ricettazione per feticisti del vinile o di flipper senza vergogna, schierando otto pezzi di classico Black Metal decorato con passaggi per gusto tendenti al sinfonico, animati da una sinergia tra ascia e tastiere sapientemente tenuta in secondo piano: non ci si aspetti nulla di impegnativo, oltremodo originale, innovativo nel modo più assoluto o anche solo distante dal comunque pregevole passatismo da sempre caro all’etichetta salvo rarissime eccezioni, bensì tre quarti d’ora ben scorrevoli in attesa quantomeno di sentire cosa tireranno fuori i cugini Goatmoon nel corso del 2021.”

Giunge al suo debutto su full-length il progetto finlandese Mooncitadel, che propone un ottimo Black Metal dalle tinte atmosferiche e con alcuni inserti associabili al Pagan: un repertorio di influenze che possono sicuramente già essere ricondotte proprio ai paralleli lavori del mastermind Stormheit (e della sua omonima band, in particolare di “Pohjanmaa” e “Chronicon Finlandiae”), soprattutto in alcuni riff qui particolarmente azzeccati. Sebbene sia indubbio comunque come tutto il disco sia pervarso da una certa aura di nostalgia fatta Black Metal, con quel tipo di atmosfera che ha reso letteralmente immortali gran parte delle band scandinave novantiane che tutti noi conosciamo ed in larga misura amiamo (e che ultimamente sembra attecchire molto in progetti e manifestazioni recenti del panorama finlandese, dai Vargrav a pressoché qualunque altro progetto del suo compositore V-Khaoz), “Night’s Scarlet Symphonies” non è il semplice copia-incolla dei cosiddetti vecchi tempi, bensì qualcosa di realizzato già con sostanziosa personalità, merito in partcolare proprio delle influenze a tratti folkloristiche nella melodia portante e relativi ricami che potrebbero rendere il progetto, oggi decisamente una valida promessa per i più incalliti del sound descritto, ancor più interessante in tempi futuri.”

Nomina singola poi per i connazionali Horna che della Finlandia tinta di nero hanno ormai fatto un vero trademark pesante come catrame solidificato. “Kuoleman Kirjo”, decimo album in una carriera che spegne le proverbiali ventisette candeline, chiudendo l’articolo a busta, è rilasciato sempre da W.T.C. Productions nello stesso giorno del nuovo Abigor. Tra alti e bassi, we are Horna and we play Finnish Black Metal. Exclusively!

Non si può certo dire che il 2020 sia stato avaro per la produzione di musica estrema finlandese, anzi, tutt’altro in un’annata costellata di uscite discografiche dalla nazione di medio-alto livello qualitativo ed interesse a tutto tondo; e l’uscita da ultimo di un nuovo lavoro degli Horna stampa a chiari contorni di Finlandia la suola di uno stivale in faccia all’anno, proprio dal gruppo a conti fatti più rappresentativo per sound della Terra dei Mille Laghi in ambito Black Metal. Con “Kuoleman Kirjo”, senza reiventarsi inutilmente, questo ribadisce, attraverso le note sulfuree che trasudano, tutta l’attitudine nera e marcia dei suoi creatori in ben tredici tracce in cui il marchio di fabbrica è autentico ed inconfondibile al 100%: tra momenti dal gusto forsennato e mid-tempo invasati con quella tipica atmosfera vittoriosa finnica, nell’elevato numero di brani e nell’alto minutaggio complessivo (che, escludendo Sanojesi Äärelle, lo rendono insieme il più lungo mai rilasciato in formato singolo dagli Horna), vi si potrebbe trovare ad un primo impatto un nemico ostico; ma superato questo iniziale scoglio, che è soltanto quantitativo, l’album si rivela piacevolmente scorrevole e longevo durante i vari ascolti. Una riconferma.”

Impossibile questa volta aggiungere altro, in chiusura, che non sia stato già detto in guisa di riassunto personale di quel massacro che inevitabilmente è un anno complessivo – scrivendolo in un articolo che, per di più, non mira affatto a farlo per obiettivi. È per di più già il 2021 mentre ne parliamo e, non sorprenderà di certo i maggiormente affezionati, noi lo sappiamo bene. La prima dimostrazione ufficiale, insieme a chi ne merita i succulenti frutti, è nondimeno fissata tra mezzo mese su per giù. Ma, nel mentre, non vorremo mica considerare “vecchi” (o ancor di peggio) dischi usciti sugli scaffali meno di trenta giorni fa? Perché -apparentemente in tempi simili occorre forse ricordarlo ai più intelligenti, ai tristissimi analisti di mercato e ai maggiormente dotati di sagacia e spirito critico in generale- la musica e quel che questa può donare a chi sa riceverlo vanno ben oltre un numero a quattro cifre digitato nella data di pubblicazione su Metal Archives e, soprattutto, non hanno data di scadenza. Qualunque cosa dicano. Non nel 2020, non nel 2021 – né mai.

 

Matteo “Theo” Damiani

Precedente Pagan Storm News: 01/01 - 07/01 Successivo Weekly Playlist N.01 (2021)