Abigor – “Totschläger – A Saintslayer’s Songbook” (2020)

Artist: Abigor
Title: Totschläger – A Saintslayer’s Songbook
Label: World Terror Committee
Year: 2020
Genre: Avantgarde Black Metal
Country: Austria

Tracklist:
1. “Gomorrha Rising – Nightside Rebellion”
2. “Silent Towers, Screaming Tombs”
3. “Orkblut (Sieg Oder Tod)”
4. “The Saint Of Murder”
5. “Scarlet Suite For The Devil”
6. “La Plus Longue Nuit Du Diable – Guiding The Nameless”
7. “Tartaros Tides”
8. “Flood Of Wrath”
9. “Terrorkommando Eligos”

“Their throat is an open grave, to speak evil, cursing a malediction. An open grave stinking, a rotting body putting out its staggering and unbearable stench. The grave is open and it stays open. Putrid, rotten, corrupt: reality. So, with their tongues they keep deceiving – like a sharp razor is the mouth working deceitfully. And so the dead is trespassing in sin, and the putrid, decaying corpse emits a foul and filthy smell through the throat in the form of words, resolving in extreme wickedness, vile speech against God and men. Men are murderers, killers from cannibalism to crime; their teeth are spears and arrows – the poison of the asps is under their lips, their feet are swift to shed blood. It’s just a part of life that men massacre each other. This is true of man: he is, by nature, a murderer because he is following his father, the Devil, who Jesus said was a murderer from the beginning. The history of murder, slaughter throughout the story of man’s life is well-known to us…”

Un flagello chiodato inghiottitore di vite si abbatte sull’immacolata concezione della purezza celebrandone l’antitetico antagonista con l’evidenza di tre gocce di un rosso porpora fresco e intenso su un lenzuolo dal bianco candore, macchiato dal primo crimine commesso nella storia dell’umanità – il primo imperdonabile omicidio, la prima cruciale storia di ribellione al miracolo di colui che deciso non avrebbe mai più baciato terra per un dio né d’altro pari i passi seguito. Tre gocce di sangue che mutano in rubini dallo splendore retto ed abbacinante, sprezzante vulnerabilità romantica dotata della forza disperata e cieca del non ritorno: è la violenza primordiale, non dello smarrito bensì di capo e mento metaforicamente protesi verso l’alto, quella che gli Abigor celebrano, raccontano con anarchico fanatismo enfatico in nome di un Signore Creatore che ha generato l’uomo da grumi di sangue, di zolfo nelle vene del santo martire dell’omicidio come granelli di sabbia nella clessidra del tempo.

Il logo della band

Le tentazioni, la perdizione, la Genesi del male novello come incipit in nero e la crociata intrapresa oggi da una band restituita ad un ambiente perfettamente ostile, tornata stoica per uccidere senza rimorso ogni nemico del caos: “Totschläger – A Saintslayer’s Songbook” è autentica nona sinfonia del demonio, più che un rerum vulgarium fragmenta, un canzoniere dedicato al proibito rifiuto e frutto cainesco, è l’esclamazione dossologica nello squillar di trombe all’alata, marziale discesa in gioco del Gran Duca Eligos per la scoperta di segreti nascosti di una storia messa per iscritto in tomi ormai perduti e la gnosi del futuro esito di guerre e battaglie; in questo caso la chiaroveggenza compositiva di chi sa realmente capovolgere l’ordine e perpetrare la sovversione più pandemoniaca in musica maestosa e spaventosa come un boato terribile da profondità remote, devastando eserciti interi nel contrasto all’ultimo zampillo di vitale flutto cremisi tra il fronteggiarsi delle forze della Misericordia e quelle del Re dei Re, nella ridefinizione del lemma Black Metal sempre ancorato alla sua più profonda essenza in ogni uscita discografica con fiammeggiante forza progressiva e visionaria, nel clangore mortale di lame: nel vortex che avvolge e deturpa il campo di battaglia di Megiddo in una baraonda infernale da cui fuoriesce meschina solo un’umanità sotto processo d’accusa, i resti del Giardino dell’Eden ormai dati alle fiamme, in balia delle lingue del rogo e dell’acre fetore di sangue d’orco in cui questa giace immersa in eterno.

La band

Il contenuto dell’album detta dunque non sorprendentemente tirannico la forma, come da praxis in scranno Abigor, il filo d’oro elicoidale per cui tutto ha un significato ed ogni minuziosa scelta un compito precisissimo da assolvere – la sua cecità in tal senso è difatti piuttosto la selezione meticolosa di un genio testardo e non la maledizione inevitabile della sua impareggiabile follia, quella con cui ciononostante fervida viene ricamata una sequela di titoli uno più strabiliante dell’altro, plasmati di una antichità splendente nel presente e protesa verso l’avanguardia più imprevedibile, talmente abnorme da mordere e strappare ad ogni angolo, artigliare pugnale e spada per sfidare e vincere qualsiasi imperfezione formale e banalmente emotiva verso altezze forse impensabili persino per la stessa band, già autrice proprio nelle ultime due opere su full-length dei suoi migliori capitoli discografici in assoluto nel complesso di quasi trent’anni di ricerca, sofisticazione e sperimentazione, sorpresa e meraviglia anticonformista.
“Totschläger” diventa così una visione unica che semplicemente esige di essere raccontata: quella della cruda, lacerante complessità di “Höllenzwang” piegata e reinterpretata perfino più esiziale in favore dello spettacolare, opulento, intensissimo refe sinfonico straripante di raffinatissima tensione orchestrale senza regole, che guarda con pienezza all’atmosfera di fine anni ‘90 tuttavia senza avervi a conti fatti nulla a cui spartire, per realizzazione, puntualmente ricalcolata ed innalzata infatti dal supremo e già immortale tocco ricolmo di sontuosa oscurità accecante degli ultimi lavori, tra il risuonar d’ottoni, timpani e strali d’olio bollente di perdizione in magistrali defibrillazioni tecniche e bombastiche cacofonie che proclamano con voce lugubre la cattura dell’essenza ultima, della profondità tutta di un linguaggio e suono oggi portato alle sue estreme condizioni per dinamica ed atrocità, dove ogni elemento finisce per colorarsi di trascendentale, d’insano precisamente nella grandezza d’incastro delle sue forze irragionevoli e quadridimensionali combinate nella calca mortale senza nostalgia.
Un’orda alata di mostri nero pece dal ghigno orripilante segue quindi infestante l’arco strutturale dell’album, mai nella compilazione di canzoni (allo stesso tempo così ricolme in sé da scoppiare) ed idee bensì nella persecuzione dell’unica ed infrangibile idea anelata con devozione; dall’afflato assolutamente cinematografico della prima pietra “Nightside Rebellion”, dell’esultanza da vertigine di “Tartaros Tides” e soprattutto dell’eccezionale marcia in suspence e tripudio d’evoluzioni in mirabolanti progressioni di “Orkblut (Sieg Oder Tod)”, o dello spannung narratologico di “Scarlet Suite For The Devil”, nidiate psicopatiche di lingue di drago (gli alienanti fraseggi in minore sono sempre costellati di contrappunti che rimbalzano inconfondibili) fuoriescono creando le atmosfere medievali di “Silent Towers, Screaming Tombs” (con le sue chitarre pizzicate piuttosto che strimpellate) che si mischiano al modernista nella caoticità apparente, tra tesissimi archi e misteriosi fiati incastonati come ignari diamanti nella dissonanza avvizzita, grandiosa, magniloquente. Dalla distensione gentilizia in “La Plus Longue Nuit De Diable” , la gloria riff-centrica conduce il senza-nome verso un finale strabiliante come vignetta surrettizia, agli infarti ritmici di “Flood Of Wrath”, collassi di tempo e sospensioni cardiache nelle strutture altamente mutevoli che permettono la naturalezza d’iperboliche acrobazie ritmico-melodiche da medley, all’eccellenza tecnica e compositiva di venir esplicitata in songwriting dai tratti allucinanti con la pertinacia di un chitarrismo che è fanatico, furibondo, che snocciola discorsi e ricorsi magici, guarniti rami aurei e di singhiozzi ritmici che perforano buchi interiori poi intasati d’odio: esantemi e dardi piovono nell’accoppiata di “Guiding The Nameless” e “Tartaros Tides”, enigmi nervosi d’ispirazione divina, una barbarie di chitarre tramutata in bagno di sangue, orgia di perforanti stridori grattanti nell’incalzante e turbinoso movimento di vittoriosa eccitazione (“Nightside Rebellion” è invero ingresso d’un mondo intero), maremoto di plasma oscuro, rabbia e aristocratico disprezzo dal carattere esaltato (“The Saint Of Murder” esemplare su tutte). Il gusto melodico distorto che fuoriesce altro persino nei momenti di tensione e furor dannato massimo (tirato oltre misura nella conclusiva, sloga-mandibola “Terrorkommando Eligos”) è sicuramente quello per merito primo delle sei corde suonate dal duo, cinghie di cuoio che schioccano, ma anche della verbosità di una legione di voci dalla singola identità (un Silenius, interprete da autentico capogiro, raggelante quanto mai) urlate senza cerimonie e con spregevole crudeltà, in pari col criterio polifonico su cui si basano tutte le composizioni; manifesti morituri che vengono sbraitati con dirompente foga al suono assordante e sgraziato di un migliaio di orrori giubilanti in un fiume di versi satanici nell’assenza del Redentore che -quaggiù- non viene nemmeno nominato. Così la carica batteristica di un TT il cui stile non può mancare di strappare sperticate lodi, verso ed oltre le stelle dalle malsane viscere, conduce in marcia tanto serrata quanto preziosa, travolgente nella furia omicida calcolata di Teseo e Clitemnestra, Salomone, Simeone e Levi al pari, il commando del terrore e dell’oscurità scarlatta allo scontro finale narrato in modo selvaggio più che mai – apodittico in cui la pressione creativa esplode nella combinazione dai tratti leggendari di pulsione ferina e precisione maniacale per l’intensità massima possibile da catturare al contempo.

Tradizionale proprio nel senso più ampiamente significativo del termine, nel principio precettuale estetico: cosciente di difficoltà e responsabilità nell’ineccepibilmente altissimo grado di assoluta individualità ed intaccabile prestigio, nella percezione di far parte immortale della storia, nella sconfitta del temporale conseguente – non nell’imitazione ma nella convivenza, esistenza simultanea di presente e passato a dialogare costantemente per creare sorpresa e, da ultimo, effettiva novità ed impeccabile ordine nello scontro tra l’impalpabile vecchio e l’inafferrabile nuovo; esattamente ciò che rende un artista il più acutamente conscio possibile del proprio posto nel proprio tempo e della sua funzione ultima nella contemporaneità, finendo per segnarla e -viceversa- per rivoluzionare il passato la cui grandezza viene rivista e messa in crisi di sopravvivenza alla sua introduzione in scena. Poiché conformarsi, qualora anche a parti invertite, ovvero rinunciando a combinazioni che creino la singolarità che infine osserviamo come novità ed inaspettato, sarebbe inammissibile e non creare arte affatto; così gli Abigor -sacerdoti assassini del predecessore nel Bosco di Nemi- pubblicano il loro album più perfetto ed alto di sempre – così l’avanguardia è sinarchia di tradizione e la tradizione innovazione: la carne escatologica che comprende lo scheletro di una maestà infernale, un’enorme rimbombante risata ad erompere ed irrompere col peso di un’uscita cruciale ed illustre come “Totschläger”, dal potenziale tanto assurdo quanto perfettamente sfruttato e catalizzato, incanalato tramite energia e dedicazione da lasciare attoniti, le cui parole non possono rendere giustizia quanto l’immagine di cherubini costretti a tapparsi le orecchie per lo spavento innanzi al marchio d’ossa dentate dell’élite di veri diavoli in terra, che tengono alti gli stendardi del massacro in musica quanto nella riflessione concettuale umana a tutto tondo, ogni volta di più contribuenti -ormai nemmeno più tanto umilmente- al tempio metafisico del Black Metal: nell’ombra più fitta delle corna, in vittoria o in morte, nobiliare, superba arte totalitaria.

Matteo “Theo” Damiani

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