Dicembre 2018 – Peste Noire

 

Il 2019 è appena incominciato, quindi siamo ancora in tempo per riprendere in mano qualche bomba finale del 2018 giusto appunto conclusosi, nella fattispecie un poker di disconi che in caso non fossero ancora passati nei vostri lettori non dovreste bypassare davvero per nessun motivo. Quale occasione migliore per fare dunque da tramite tra la morte di un anno e la nascita dell’altro se non, ovviamente, quella del riassunto sulle migliori uscite di dicembre per la redazione.
Iniziamo dicendo subito che l’ultimo mese del 2018 è stato clamoroso e ci ha regalato una pletora di dischi interessanti, su cui hanno però svettato -in particolar modo e senza la minima remora o dubbio- ben quattro album che hanno riunito (proprio tutti e quattro!) praticamente la totalità dello staff con convinzione. Con l’esclusione di marzo e gennaio non era infatti a nostra memoria mai capitato nell’intera storia della webzine che tutti e quattro i protagonisti di questo tipo di articoli fossero anche stati nominati, a loro tempo, ognuno, disco della settimana.
Il gradino più alto del podio se lo sono alla fine portati a casa i Peste Noire con il loro nuovo “Peste Noire Split Peste Noire” (fuori per La Mesnie Herlequin) giusto per una bazzecola chiamata preferenza complessiva totale ed incontrovertibile, ma seguono a quasi pari merito per numero di nomine (ovvero un’altra standing ovation di quasi tutti i redattori) alcuni islandesi che non amano mostrare il loro volto. L’altro indizio è che sono fuori con un secondo disco per Ván Records.
Se non li avete indovinati, avete come compito per il 2019 di seguire più attentamente queste nere pagine virtuali (!) e, perché no, di dare più di una chance anche ad un progetto austriaco con il suo terzo disco uscito per Debemur Morti Productions, che segue parimerito come terzo contendente qui sotto altrettante nomine, e da ultimo a dei russi (/ucraini) militanti che si prendono terribilmente sul serio e annunciano stampe (e ristampe, e ristampe…) di felpe made in Europe© ma si dimenticano di informare di quelle dei dischi. Succede. Noi ormai ci avevamo perso le speranze, ma figuratevi che il loro nuovo album alla fine dà loro ragione.
Andando con ordine si parte quindi in Francia…

 

 

“Follia è quel che ci si è sempre dovuti aspettare dai Peste Noire e follia è quel che “Peste Noire Split Peste Noire” offre fin dal titolo. Follia in un flow artistico di squisita finitura che, senza limiti – dalle fogne alle stelle, re-inventa, riconferma e firma l’operato della band quale una delle più geniali, distinguibili ed imprevedibili (di sempre?) in ambito estremo. Folkfuck folie!”

(Leggi di più nella recensione che nel penultimo appuntamento dell’anno scorso lo ha eletto disco della settimana, qui.)

La nuovissima opera dei Peste Noire è, in parole molto semplici, una coltellata in musica: una lama per le vostre orecchie e per il vostro spirito. All’interno del disco troviamo composizioni di matrice Black Metal tra i più impattanti (e graffianti) che il sottoscritto abbia sentito nel corso dell’intero anno, oltre ovviamente ai classici, inconfondibili momenti di dissonanza pura che simboleggiano il trademark della band francese. Minuto dopo minuto assistiamo ad impeti di ecletticità e sperimentazione che culminano in brani dalla singolare ritmicità ad integrarsi alla perfezione con il mood dell’intero album. Numeri uno assoluti.”

Quella che Famine dipinge, in ossimorico contrasto alla patina reazionaria che avvolge il proprio operato, come uno sberleffo alla musica tradizionalmente nera che risuona nelle banlieue, non è che un ironico e arguto pretesto per dare sfogo alla sua deriva più sperimentale che da qualche anno restava sopita e ottenebrata dal buon vino delle campagne transalpine. La semplicistica visione di un disco spezzato a metà non rende onore al percorso graduale ma non lineare, che lo porta ad accostare con spavalderia tracce composte a quasi venti anni di distanza, facendo coesistere con sbalorditiva naturalezza la tragica pomposità degli ottoni e l’inconsueto alternarsi fra il solito e devastante Ardraos ed un drumming elettronico tipicamente Hip Hop. Con un cipiglio forse più guerresco e meno spensierato, ma ancora pregni d’intensa e melancolica drammaticità, i Peste Noire si dimostrano per l’ennesima volta fra le creature più bizzarre, versatili, intriganti e geniali di tutto il panorama estremo.”

Di questi degenerati si può dire tutto, tranne che non sappiano come prendere in contropiede fan e detrattori. Dismessi (ma nemmeno troppo) i panni da luridi villici d’oltralpe e le partiture più caracollanti, il Kommando francese sembra stavolta rifarsi il look con composizioni maggiormente solide e non prive di momenti quasi epici, in cui la dicitura Hooligan Black Metal trova pieno significato. Che si tratti di fomentare con un ritornello da stadio (!) o sputare barre su di una base elettronica, poco cambia: Famine riesce benissimo a far convivere una cura strumentale praticamente inedita al potenziale deviante che ha reso i Peste Noire una delle migliori realtà della scena.”

“Stiamo parlando di uno di quei pochi gruppi dove avanguardia, progressione e degenerazione vanno di pari passo; dove gli elementi vengono amalgamati alla perfezione, creando un qualcosa di unico ad ogni nuovo album. Il nuovo full-length ne è la dimostrazione, anzi, una doppia dimostrazione: se la prima parte più classica dimostra il loro marchio di fabbrica in forma smagliante (con uno strepitoso Ardraos alla batteria), la parte che prosegue in degenerazione dimostra una voglia di osare (e anche di provocare) che non ha eguali, con del materiale che certamente dividerà i fan del gruppo. Come ad ogni nuovo album.”

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Gli Svartidauði con il loro anticipato “Revelations Of The Red Sword”, secondo full-length della band islandese giunto sugli scaffali ad inizio dicembre grazie all’operato della nuova partner Ván Records. I nostri sono cresciuti in maniera incredibile e, sia che vi sia piaciuto a suo tempo il monolitico debutto o meno, dovreste metterlo subito in lista acquisti. Visioni allucinate e un mondo di fiamme e morte pronto a rinascere vi lascerà a bocca aperta.

“Revelations Of The Red Sword” è quasi manifesto programmatico di come gli Svartidauði, snellendosi, abbiano saputo con la loro maturazione imprevista porsi al vertice del Black Metal islandese, persino distanziandolo in stile, nel gotha degli imperdibili. S’è vero che per qualcuno potevano esservi inclusi già prima della sua pubblicazione, è ora innegabile che il secondo full-length del gruppo sia quello della personalità assoluta che li allontana con inventiva -finalmente- dalle influenze esterne e che permette loro di ritagliarsi uno stile completamente proprio – senza rinunciare a nulla di ciò che li aveva resi interessanti, eppure affinando il risultato oltre ogni previsione. Una cannonata.”

(Leggi di più nella recensione che durante lo scorso mese lo ha eletto disco della settimana, qui.)

Il blocco ipnotico e asfissiante del riffing dissonante scivola come una densa colata di lava sul basamento tumultuoso e repentino della batteria, amalgamando e incastrando trame intricate e laceranti culminanti in una simbiosi catalitica in grado di restituirci melodie finanche immediate e convincenti fin dal primo ascolto. Seppur inquadrabili in quello spettro di sonorità di cui le band islandesi si stanno sempre più appropriando, gli Svartidauði si ritagliano una dimensione fortemente personale, provando tutto il proprio talento e allontanandosi definitivamente dai più confusionari e derivativi esordi.”

Netto miglioramento compositivo per gli islandesi Svartidauði che riescono finalmente a tradurre in musica tutto il gelo del loro territorio. In queste ultime settimane di ascolto di “Revelations Of The Red Sword” la longevità sembra essere uno dei punti di forza dell’album, dato che ripetizione dopo ripetizione si resta sempre più ingarbugliati nel muro sonoro e nelle atmosfere che si sviluppano durante lo scorrere delle canzoni; da apprezzare infine il comparto melodico, questa volta pungente e malsano al punto giusto.”

“In una scena nazionale alquanto sopravvalutata, in cui ci sono fin troppe brutte copie dei Deathspell Omega, gli Svartidauði hanno ben deciso di innalzarsi sopra la concorrenza di riferimento proponendo un album come “Revelations Of The Red Sword”, dove è sì presente quella tipica atmosfera annichilente e apocalittica made-in-Iceland, ma in cui non manca questa una dose di melodia sinistra e deviata che rende il tutto molto più interessante, sradicando le vecchie influenze. Una buona prova di maturazione.”

 

Il terzo capitolo discografico maggiore degli austriaci Rauhnåcht, che con “Unterm Gipfelthron” (fuori su Debemur Morti anche lui fin dalla prima settimana di dicembre) superano ogni ottima impressione lasciata con i primi due full-length andando a realizzare un album finalmente più incisivo e ambizioso che ha stregato i cuori della quasi totalità dello staff. Lasciatevi trasportare dalla solitudine malinconica di miti e leggende lassù, sussurrati tra pini e abeti sui monti delle Alpi…

Grandioso connubio di folklore alpino e Black Metal, “Unterm Gipfelthron” ripresenta il progetto austriaco quasi sotto una luce nuova tale risulta essere la maturazione in arrangiamenti e sostanza che risiede nei suoi solchi. Il calore a tratti commovente nei frangenti acustici viene spazzato via dalle bombastiche tormente di neve che attendono dietro l’angolo in un susseguirsi di visioni romantiche, ma anche mistiche e perturbanti, ricche d’ispirazione creativa; se amate le migliori commistioni di tradizionalismo folkloristico e popolare in musica estrema, i cinque brani di “Unterm Gipfelthron”, scritti magnificamente e prodotti pure meglio, saranno una perla da non lasciarsi sfuggire per nessun motivo al mondo.”

(Leggi di più nella recensione che durante lo scorso mese lo ha eletto disco della settimana, qui.)

Dimostrazione dell’avvenuta maturazione di un artista a tutto tondo: i sei brani pennellano un quadro variopinto e dalle numerose sfumature, costituito da una prima metà più luminosa e avvolgente, in cui gli strumenti acustici la fanno da padrone nella quasi totalità e una seconda parte in cui lo scorcio di sole che prima faceva risplendere le aspre vette viene adombrato dai nembi: le tracce si fanno più sanguigne e riff-oriented, culminando in un finale dalla rara intensità. La varietà strumentistica adoperata, l’ampiezza dello spettro emozionale e l’elegante songwriting partorito da Stefan Traunmüller fanno sì che i 40 minuti di “Unterm Gipfelthron” volino letteralmente in un batter di ciglia.”

Era da tempo che un’uscita Folk Metal non riusciva a suonare così fresca e piacente come l’ultima fatica della one-man band tedesca Rauhnåcht. Il disco è aiutato anche da un minutaggio leggero che consente a pochi ma ben organizzati elementi di incastrarsi alla perfezione: troverete infatti una base Black Metal sul quale si adagiano parti Folk con qualche lieve citazione stilistica storica a Windir e Falkenbach. Semplice e dritto al punto, decisamente da ascoltare.”

“Passato un po’ in sordina, forse per la sua uscita a 2018 ormai quasi conclusosi, “Unterm Gipfelthron” è in realtà una gran bella sorpresa per chiunque ami le atmosfere vicine alla natura e alla sua contemplazione. Celato dietro la bella copertina troviamo infatti un compendio di sognanti passaggi Folk e cori da brividi, grazie a cui il disco guadagna notevolmente in immediatezza. Il tuttofare Traunmüller però non si ferma qui e (specialmente nella seconda metà del lavoro) inserisce queste sonorità in un contesto inaspettatamente più aggressivo, scelta però azzeccata per garantire maggiore varietà e voglia di ripremere il tasto play. E state pure tranquilli: con i suoi quaranta minuti contati e la sua omogeneità “Unterm Gipfelthron” è un disco che si presta benissimo agli ascolti ripetuti.”

 

La sorpresa discografica (in ogni senso!) che risponde al nome di “Reconquista” dei russi M8l8th, giunto senza il minimo preavviso in occasione dell’Asgardsrei Festival e che amplia notevolmente la palette compositiva e di cromatismi della band dopo il già ottimo “The Black March Saga” del 2013. Migliorata ormai in tutto e per tutto, la formazione (che vede partecipe come non trascurabile ospite Famine dei Peste Noire in più di un brano) non farà prigionieri.

Si sono fatti attendere ma ne è valsa la pena. Anche se sono stati un po’ ruffiani nei modi, i M8l8th hanno consegnato alle stampe con “Reconquista” il loro miglior disco di sempre; risultato non così scontato dopo la riuscita del precedente album. Tuttavia, nonostante la natura un po’ compilatoria e anticipata di parte dell’album, fatto è che ci si ritrovi tra le mani quasi quaranta minuti di musica che procedono spediti oltre ogni aspettativa nei loro confronti: ricchezza compositiva, ottimi arrangiamenti, chitarrismo di spessore che non disdegna gusti catchy, prestazione ospite di un Famine sbalorditivo e, in sintesi, la varietà e le sorprese che si richiedono ad un grande disco.”

(Leggi di più nella recensione che nell’ultimo appuntamento dello scorso anno lo ha eletto disco della settimana, qui.)

L’evoluzione compositiva dei M8l8th continua la piega presa in “The Black March Saga”, aggiungendo corpo, pienezza e varietà ad un chitarrismo prima molto più scarno e ora ben inquadrato in una produzione meglio calibrata e più pulita, in grado di restituirci un migliore impatto generale e di conservare quella carica coinvolgente, trascinante e viscerale che li contraddistingue. La sguaiata e selvaggia ugola di Alexey è nuovamente supportata da un comparto vocale imponente e tonante, costituito da inni, cori ed esortazioni che si susseguono e che fieramente scandiscono e amministrano l’incedere del disco, rappresentando uno dei più marcati trademark del progetto nonché uno dei maggiori punti di forza della release. I russi si dimostrano più in forma che mai, con un nuovo album che ha come unica pecca una disomogeneità data dall’uscita frammentaria delle diverse parti del platter, ma che non influisce sull’ottima riuscita di “Reconquista”.”

Dopo cinque anni, ritorna uno dei gruppi più importanti per quella che è una certa frangia musicale radicalizzata: “Reconquista” è il quarto full-length dei russi M8l8th e mostra la band in ottima forma, con il loro Black Metal violento e forsennato in cui non mancano momenti epici e avvincenti. Potremmo essere al cospetto dell’album di maturazione per la formazione, sotto ogni aspetto, sia tecnico che di produzione, in cui le varie influenze musicali vengono incastrate molto bene all’interno del sound. Unica pecca: non aver incluso la bella “Luciferian Aesthetics Of Herrschaft” nel disco.”

 

Non ci rimane altro da dire per oggi, e con questo chiudiamo ufficialmente la serie di articoli dedicati al meglio 2018 – anno musicalmente ottimo come già detto in più occasioni e da più voci un po’ ovunque, le cui sorprese e conferme non possiamo fare altro sperare si ripetano con lo stesso vigore nei prossimi dodici mesi.
A tal proposito, avete già dato un’occhiata al calendario del 2019? C’è già diversa carne al fuoco…
Appuntamento qui fissato per quando gennaio sarà ormai concluso.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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