Gennaio 2018 – Abigor

 

Lo sentite questo enorme boato? Assordante, lascia posto ad un alito freddo dietro di sé. Ma non allarmatevi; è solo il modo impensabile in cui si è aperto l’anno dalle parti di ciò che trattiamo qui. Gennaio 2018 è uno di quei mesi in cui si fatica a scegliere solo qualche uscita come migliore, vista l’assurda qualità e conseguente enorme gradimento dello staff rispetto a molte release degli ultimi trenta giorni. Più di quelle citabili tra i runners-up in questo consueto recap mensile, a dire il vero. E quindi tra le nuove uscite di Abigor ed Arkona a contendersi lo scettro finale dell’articolo in uno spareggio sanguinoso che ha diviso praticamente a metà netta la redazione, contornate dalle pluri-nomination ai ritorni discografici di Summoning e Shining, qualche altro full-length che avrebbe secondo qualcuno di noi meritato la sua inclusione nell’articolo di oggi è stato invece (direttamente) escluso (pur trovando rapida ed indiretta inclusione nella chiosa finale, in quanto comunque troppo convincenti per chi li ha proposti).
Ma parole sono state vergate e doverose scelte sono state fatte, facendoci mangiare le mani al pensiero che ogni disco menzionato oggi avrebbe meritato in un altro mese la prima posizione, portando infine il riflettore principale su “Höllenzwang – Chronicles Of Perdition” del primo duo austriaco tra i due citati, uscito ufficialmente solo ieri per Avantgarde Music.

 

 

“Nero grandeur epico in nove magniloquenti madrigali di quella che per chiunque altro, dopo gli ultimi anni di lavori dalle coordinate altamente avanguardistiche, sarebbe inversione di tendenza. Per gli Abigor no, perché lo stile inconfondibile del duo, ancora una volta portato in “Höllenzwang” alle stelle dall’abilità canora, teatrale e recitativa del fenomenale Silenius, trova la sua perfetta espressione nel veicolare (sempre alle estreme conseguenze) il linguaggio più intransigentemente, personalmente acherontico ed infernale che si possa tradurre in note musicali, trasformando quello che sulla carta sarebbe un passo indietro in una vera e propria ri-voluzione estetica e poetica. Pronti per il Suo arrivo? In un aggettivo: maestoso.”

(Ascolta “Hymn To The Flaming Void” e leggi di più nella colonna ad essa dedicata, qui.)

Le chitarre secche e ronzanti, ben differenti dal suono saturo e riverberato del precedente capitolo, danno vita ad un incedere meno caotico e denso che in precedenza, ma non per questo privo di un fitto substrato di orchestrazioni e batteria estroso e pregevolmente curato. In primo piano, ad accompagnare il riffing imprevedibile, serpeggia fra i roboanti cori la maligna ugola di Silenius, la cui prova vocale raggelante lo elegge a vero e proprio cantore avernale, capace di teatrali invocazioni e perversi gorgoglii. Forti di uno stato di forma impareggiabile, che quasi pare frutto di un patto mefistofelico, la storica formazione ci artiglia nel sonno e ci accompagna in un nuovo e sempre più terrificante incubo demoniaco.”

Lezione di Black Metal da parte degli Abigor che in mezz’ora abbondante concentrano nove tracce di pura nobiltà nera. Tra un Lucifero e l’altro in “Höllenzwang” si resta impressionati dalla maniacalità e dalla pulizia della produzione, la quale rende l’ascolto pieno e soddisfacente.”

Gli Abigor non li ferma più nessuno”; con questa citazione di un mio collega si può riassumere benissimo l’attuale fase discografica degli austriaci, dati per spacciati anni fa ma ripresi alla grande con quel capolavoro di “Leytmotif Luzifer (The 7 Temptations Of Man)”, seguito poi da un’ottima nell’album collaborativo dell’anno scorso [“ANTM”, autoprodotto]. Ritornano alla carica con Höllenzwang (Chronicles Of Perdition)”, che mette da parte momentaneamente le sofisticate soluzioni diaboliche dei precedenti lavori, per un suono dal sapore molto old school (ma con una produzione moderna), dove chitarre, basso e batteria sono i protagonisti assoluti, e in cui lo scream di Silenius è ai massimi storici di malignità e ferocia. Ottimi come sempre.”

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L’anticipato e atteso “Khram” dei russi Arkona, per metà di noi addirittura l’effettivo disco del mese, anche se comunque per un irrisorio pelo. Ma lesinare dell’ammirazione per mera formalità, come nel caso di un’opera della caratura dell’ottavo full-length dei moscoviti uscito il 19 gennaio per Napalm Records (e via SoundAge in territorio nativo), è qualcosa di semplicemente insensato. E anche un po’ criminale.

“Non si ferma l’evoluzione inarrestabile degli Arkona, capaci di smuovere stilisticamente Folk, Black e lisergico Pagan Metal dell’Est con personalità unica, come praticamente nessun altro nel loro genere. “Khram” riprende esattamente da ciò che era stato ottenuto con lo splendore di “Yav”, progredendo, sperimentando e quadrando con un colpo il cerchio interno di “Slovo” e con l’altro allontanandosi da “Goi, Rode, Goi!”, estremizzandone ulteriormente il carattere più particolarmente cupo e Black -indurito dalla band col passare degli anni- e aumentando la difficoltà delle sempre più lunghe, ricche e progressive composizioni. “Khram” è il disco (stlisticamente e concettualmente) più estremo scritto dalla formazione, contiene diversi tra i pezzi più belli da Masha e co mai scritti, ed è con ogni probabilità l’album migliore dell’intera carriera dei nostri ad oggi. Nonché, in definitiva, lavoro di fino equilibrio. Perfezione a portata di dito.”

(Ascolta “Shtorm” e “V Pogonie Za Beloj Ten’Yu”, leggendo di più nelle due colonne ad esse dedicate, qui e qui.)

“Se “Yav” aveva dimostrato una volta per tutte l’incredibile abilità ed esperienza raggiunta dalla formazione moscovita, con “Khram” si consolida la voglia di sperimentare, di osare, di intessere pezzi densi e intricati. Le trame progressive permangono, ma vengono annerite da un guitarworking più ruvido e aggressivo che, con l’aiuto di una produzione impeccabile e dinamica, rende possibile la genesi di un disco oscuro, complesso e sciamanico, assemblato con strabiliante equilibrio: le tracce, dal timing spesso corposo, si susseguono con naturalezza nonostante la varietà strumentale e compositiva di ogni singola parte. Un altro disco di una maturità fuori dal comune, che li conferma fra i gruppi Black Metal a tinte folcloristiche più talentuosi in circolazione.”

Khram” riaccende la fiamma degli Arkona dopo due uscite che faticavano a distaccarsi dalla scia di “Goi, Rode, Goi!”. Il nuovo disco dei russi è incredibilmente coinvolgente, magistralmente suonato e composto e non soffre di nessun calo nonostante gli oltre 70 minuti di durata. In definitiva il miglior disco della band e caldamente consigliato a chi, come me, stava perdendo interesse in questa formazione.”

“Si può considerare questo ottavo album dei russi Arkona come la summa creativa sonora dei precedenti due album [“Yav” e “Slovo”, Napalm Records], al cui interno iniziò un certo tipo di cambiamento di sonorità. “Khram” è molto sciamanico nel suo procedere e la voce della bionda Masha è il perfetto veicolo per il rituale, sempre accompagnata da un ottimo riffing, una solida batteria e una parte folkloristica ben dosata.”

 

Gli svedesi Shining guidati dal notoriamente discusso Niklas Kvarforth, giunti all’inaspettato traguardo del decimo album, il secondo uscito per Season Of Mist Records, intitolato “X – Varg Utan Flock”. Il lupo senza un branco, insieme ai suoi gregari provocatoriamente e sfacciatamente “usati per l’occasione” (consultare il booklet del disco per capire ciò a cui ci si riferisce), ha duramente colpito la quasi totalità di noi con la sua freschezza ed ispirazione. Perché?

“Mai dare credito ad un artista che descrive il suo materiale. Al netto delle più stravaganti ed improponibili dichiarazioni susseguitesi negli anni da parte di chiunque, questo è ciò che ho sempre pensato. Quantomeno fino all’inizio del 2018. Il decimo disco degli svedesi Shining mi smentisce clamorosamente: “Varg Utan Flock” è descritto come il continuo spirituale del capolavoro della band, “Halmstad” (Osmose Productions), e in ben più di un senso l’affermazione si rivela non solo sensata ma grandemente descrittiva di ciò che troviamo. Lungi dall’essere considerabile una mera riproposizione degli stilemi degli Shining a.D. 2007, il decimo capitolo sviluppa proprio alcune di quelle caratteristiche successivamente rimaste in sospeso, interrompendo per certi versi quelle sperimentazioni più eterogeneamente tipiche dell’evoluzione degli ultimi anni e muovendole in un’altra, immediata quanto decisiva e riuscita, direzione. Sempre carica di groove e melodia, cristallina dote compositiva, produzione dall’alto valore, ma anche di grande aggressività e fosca dirompenza. Mai priva di sorprese.”

(Ascolta “Gyllene Portarnas Bro” e “Mot Aokigahara”, leggendo di più nelle due colonne ad esse dedicate, qui e qui.)

Dopo svariati anni di sperimentazioni e di non si sa bene cosa gli svedesi Shining ritornano a parlare (e suonare) come mangiano, confezionando con “Varg Utan Flock” un’uscita maggiormente accessibile al pubblico e allo stesso tempo di elevata qualità.”

“L’efferatezza del riffing potente e irresistibile, groove inconfondibile che richiama alla memoria quello dei capitoli centrali della loro carriera, si amalgama ad eleganti rallentamenti, non più dominati dai caldi arpeggi di chitarra acustica onnipresenti nel penultimo capitolo, bensì fondati su una ricercata commistione psichedelica magistralmente composta da strazianti chitarre in delay. Sicuramente il loro miglior disco da diversi anni, che nell’usuale spazio di sei atti incide nella nostra carne l’ennesima epitome dell’autodistruzione, il cui ultimo affondo è costituito da una traccia tragicamente drammatica e intensa, che quasi sembra farci tornare con amara ironia nella selva dei suicidi dantesca rappresentata sulla copertina di una formazione austriaca citata poco più su.”

 

I Summoning, tornati a far man bassa nel Black Metal meno Black Metal e più dilatatamente fantasy ed epico, e in questo caso sempre più Dark-Wave, che dopo venti e più anni di carriera in tal senso continuano a restarne incoronati non per paternalismo, bensì per merito di eleganza, credibilità, per l’intrinseca personalità e lo stile impeccabile proposto. “With Doom We Come” è il loro ottavo full-length ed è uscito ad inizio mese per Napalm Records e sarebbe stato inconcepibile non si fosse meritato una vagonata di nomination.

“Per la primissima volta, le novità sono profonde e muovono fin dall’approccio del precedente “Old Mornings Dawn”, da cui le composizioni di “With Doom We Come” partono per sviluppare le intuizioni etniche ed oggi preponderantemente cantautoriali del duo. Le tastiere perdono in ridondanza, scarne e più eleganti, rifuggendo il drone melodico e smaccatamente catchy, i Dead Can Dance sono un riferimento come criterio quanto mai, chitarre e voci sono condottiere in primo piano e guidano, quest’ultime ineditamente distinguibili, in gran parte persino intelligibili, impedendo in larga misura il facile ricorso alla melodia-tormentone. Così facendo, i Summoning compongono -per la prima volta- il disco che farà storcere il naso al loro fan più accanito, facendo invece guadagnare loro largo plauso per aver plasmato il loro album più difficile, coraggiosamente diverso ed artistico del loro lungo (e per la prima volta sorprendente) percorso.”

(Ascolta “With Doom I Come” e leggi di più nella colonna ad essa dedicata, qui.)

“L’imponente apparato acustico ci accompagna lungo l’epico e solenne scorrere del disco, in cui la componente Metal è sempre più rarefatta e disciolta nella plumbea e cavernosa atmosfera. Uno stile vocale più intelligibile e meno distorto di come ci avessero abituati in passato si sposa armoniosamente con gli intricati arabeschi di fiati, dando vita ad una mistica miscela alienante, resa possibile da un tappeto di percussioni programmato con particolare cura e dal tipico sound sporco e primordiale. Una maestosa release che dovrebbe accontentare ampiamente sia i fan più intransigenti, sia chi sperava in qualche innovazione nelle coordinate del duo.”

“A distanza di cinque anni dal precedente album, gli austriaci ritornano con questo nuovo ed ottavo full-length, le cui sonorità si discostano leggermente da “Old Mornings Dawn” (fatta eccezione per la conclusiva title-track), un album quasi essenziale, pur sempre nei loro toni epici, in cui spiccano i miglioramenti nella voce del duo (complice anche il loro contributo dello stesso Silenius proprio nelle ultime registrazioni dei conterranei Abigor).”

 

Le scelte ufficiali finiscono qui, ma il Nord sembra non aver colpito non solo grazie agli Shining. Nonostante quest’ultimi abbiano meritatamente riscosso consensi ben più ampi, Svezia e Finlandia rispettivamente hanno dato vita ad altri due buoni dischi che, pur non avendo meritato la posizione di tra i runners-up per via della concorrenza micidiale, potrebbero fare la gioia di molti di voi. Ad esempio, il lavoro conclusivo del progetto Panphage (“Jord”, per Nordvis, 12 gennaio) a detta del nostro Caldix vi regalerà diversi bei momenti essendo indubbiamente il migliore mai prodotto dalla band” per “merito di una serie tracce ben costruite ed interessanti” che, a differenza dei non esaltanti predecessori, ne garantiscono “una longevità accettabile”. Infine, per il nostro Feanor, “Netherstorm” dei finlandesi Vargrav (Werewolf Records, 26 gennaio) offre un ottimo Black Metal, di matrice sinfonica, adatto ai nostalgici di quel linguaggio così tipico della seconda metà degli anni ’90”.
Tutto il resto che potete esservi persi è, come sempre, consultabile al calendario delle uscite annuali.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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