Agosto 2019 – Tenebrae In Perpetuum

 

Giunti ormai alla fine dell’ottavo mese dell’anno, sembra non avere poi più così tanto senso continuare a ripetere indefessi quanto il 2019 stia regalando soddisfazioni tramite il panorama che siamo soliti scandagliare su queste pagine. Agosto è nondimeno, solitamente, il culmine dei mesi poveri di uscite per eccellenza: quelli caldi. Vuoi perché d’estate la gente non ha voglia di fare niente e le label lo sanno e si adeguano di conseguenza (o vuoi perché i proprietari delle etichette discografiche, in quanto umani e non alieni, non si sottraggano loro volta alla regola non scritta), o magari perché per via del caldo ce la si prende semplicemente un po’ più comoda tra momenti di vacanza e tutto il resto; rimane tuttavia cosa nota che la quantità (e per la mera legge dei grandi numeri, qualità) degli album rilasciati da giugno ad agosto inclusi sia mediamente (e nettamente) inferiore rispetto al resto dell’anno. Evidentemente, quasi sempre.
Perché ce lo siamo detti in occasione di un tutto tranne che sfornito giugno, lo abbiamo ripetuto in un davvero inedito luglio e quindi non possiamo fare finta di niente o dare per scontato un simile agosto; un mese che, nel 2019, riesce a splendere quanto altri mesi autunnali e invernali ben più quotati – se non di più. Ben tre sono infatti i dischi che hanno ricevuto un largo e condiviso apprezzamento in redazione (tra cui un paio di standing ovation) e li segue un quarto che ha convinto particolarmente solo uno di noi ma non meno degli altri. Insomma, un risultato decisamente insolito per un mese che sulla carta dovrebbe essere sguarnito, anche senza calcolare l’elevatissima qualità (e varietà) dei magici quattro di cui stiamo per parlare oggi: protagonisti di prim’ordine in un viaggio che ci ha portati all’esplorazione di deviate, perpetue tenebre cerebrali, di magia e folklore ammantati dalle nevi e temperature rigide del più profondo Est Europa, di filosofia occulta e brucianti sentimenti iconoclasti, nonché di rifulgente, pura adorazione per gli anni ’90 e quella second wave che apparentemente non smette mai di ispirare qualche devoto -tuttavia capace- epigono.
Ma si parte in casa questa volta, nell’Italia a cui ritorneremo anche con il terzo disco in scaletta, e in entrambi i casi con qualcosa di profondamente diverso dalla massa grazie, innanzitutto, al comeback dei Tenebrae In Perpetuum uscito ufficialmente meno di una settimana fa tramite Debemur Morti Productions. Dieci anni sono trascorsi come in un accesso d’isteria dall’uscita di “L’Eterno Maligno Silenzio” e il rinnovato duo triestino è drammaticamente pronto a tagliuzzarvi le sinapsi con l’oscurità lacerante e nevrastenica del suo quarto, eccellente full-length.

 

 

Nei recessi più profondi e insondabili di una mente clinicamente folle le reazioni delle terminazioni nervose in macera putrefazione generano asimmetriche oscillazioni impazzite che loro volta dettano l’andamento dissonante, infermo, inumano ma perfettamente controllato degli sterilizzati rasoi chitarristici dei Tenebrae In Perpetuum, che tagliano, sminuzzano e aprono con personalità all’indagine e all’orrore più acuto; accompagnato da passaggi elettronici tanto basilari e malati quanto imprescindibili all’economia del rinnovato sound, il Black Metal squilibrato e perforante (ma non caotico) del duo triestino evolve senza perdere un briciolo della causticità occulta de “L’Eterno Maligno Silenzio” e rende il suo personale strumento di purificazione oggi ancora più gelido e letale. Atratus e Chimsicrin affilano le fredde lame e confezionano in “Anorexia Obscura” uno dei ritorni più sorprendenti e riusciti degli ultimi anni. La caduta celeste è a portata d’orecchio.”

(Leggi di più nelle due colonne dedicate ad altrettanti brani dal disco, qui e qui.)

I freddi e asettici rintocchi dei macchinari di una sala operatoria fanno eco agli impulsi sinaptici del paziente, che elettrici e incontrollati arrivano a una mente deviata ormai preda di neri deliri. I Tenebrae In Perpetuum tornano dopo dieci anni con un’ispiratissima e radicale reinterpretazione del proprio sound, questa volta sporcato da un’inedita cacofonia ‪metallica‬ che, duettando con le sinistre e scarne linee di chitarra, riesce a delineare atmosfere terrificanti e suggestive sia nei momenti concitati che in quelli più dilatati e lenti. A chiudere il cerchio e a donarci la release italiana ad oggi più interessante e raggelante dell’anno, vi è l’interpretazione magistrale di Atratus, in grado di riversare nell’opera tutto il proprio sconforto e la propria intima disperazione.”

Opera più che mai distopica quella presentatatici dai Tenebrae in Perpetuum, capaci di coniugare con successo il Black Metal come entità musicale e un’ansia da antiutopia come entità sensoriale. La band riesce nell’impresa di non risultare forzatamente fuori dagli schemi, infatti la costante base dissonante sulla quale si struttura il disco progredisce e fa progredire sia la mera musica che l’atmosfera e non risulta affatto fine a sé stessa. Il risultato è sicuramente di eccellenza e, considerando anche i lavori precedenti, dimostra quanta personalità e creatività il gruppo è in grado di offrire – e (speriamo) riuscirà ad offrire anche in lavori futuri.”

“Desta sempre grande curiosità il ritorno di un progetto di nicchia; specie dopo ben dieci anni, specie se si tratta dei trentini Tenebrae in Perpetuum fautori di un Black Metal particolarmente gelido e oscuro. Dopo una decade sembra ovvio domandarsi se la proposta possa suonare ancora maligna e genuina come se il tempo si fosse fermato, ma la risposta è totalmente affermativa perché il duo torna con un grandioso album, un lavoro malvagio, nero, dissonante e malato che strazierà (in senso buono!) le orecchie degli ascoltatori tra passaggi esiziali e parti d’ipnotica pazzia, in un caleidoscopico vortice di emozioni negative.”

 

 

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I russi Grima con il loro terzo full-length, “Will Of The Primordial”, piombato sugli scaffali di inizio agosto come una tormenta gelida a rinfrancare dal torrido – con molti ringraziamenti anche a Naturmacht Productions. I due gemelli provenienti dalle fredde steppe della Siberia sembrano aver confezionato il disco che ha tutte le carte in regola per farli amare dagli appassionati del genere, nonché ricevere una standing ovation totale dallo staff.

“I paesaggi innevati che il Black Metal dei Grima disegna con estrema abilità e nitidezza visiva sono riscaldati da massicce dosi di folklore a cui i russi fanno ricorso come primigenia arte espressiva: una capacità che, già abbozzata nell’interessante “Tales Of The Enchanted Woods”, fiorisce con forza e vitalità in “Will Of The Primordial” – senza ombra di dubbio il lavoro della maturazione del duo, ricco di magia e scevro di luoghi comuni o stereotipi di genere. Non serve praticare cesure o rotture col passato, perché ai Grima basta portare ogni elemento fondante della proposta al proverbiale livello successivo (specialmente nella cura di chitarre, tastiere e per la bontà dell’utilizzo dell’organetto locale), creando un amalgama ricco e decisamente più ricercato che in precedenza, staccandosi con personalità dalla concorrenza delle frange più atmosferiche del Black Metal e anche di quelle più vicine alle sensazioni folkloristiche: assolutamente preziosi quando sofisticati, capaci quando violenti e persino eleganti e fragili quando acustici.”

(Leggi di più nelle due colonne dedicate ad altrettanti brani dal disco, qui e qui.)

Le atmosfere create dai gemelli Sysoev non sembrano filtrate attraverso il folklore umano, ma appaiono come squarci violenti di una natura tiranna e austera: dal primo ascolto i padroni della scena sono un riffing aggressivo e impenetrabile e delle vocals affilate come rasoi, che spezzano e scuotono il manto freddo e più dimesso delle tastiere, squisitamente composto e in grado di sprigionare tutto il suo grande valore solo dopo alcuni ascolti. In un anno certamente non avaro di Black Metal atmosferico, la personalità nel saper sfruttare a proprio piacimento alcuni elementi tipici del Black Metal est europeo, l’uso atipico e mirato dell’organetto e una maturazione ormai definitiva del duo fanno di “Will Of The Primordial” una delle release più affascinanti e riuscite dell’intero sottogenere.”

Black Metal atmosferisco carico di folklore ed Est Europa possono risultare gli ingredienti di un binomio complicato perché riconducibile ai soliti due o tre nomi di punta che ne hanno stabilito le coordinate da diversi anni, oppure ad una banda di simil zingari a caso con la fisarmonica. Con grande sorpresa, invece, i russi Grima riescono a costruirsi un sound di vera qualità e privo di scopiazzature, pregno di atmosfera e in grado di portare un po’ di gelo siberiano nei nostri cuori.”

“Will Of The Primordial”, sentito tributo dei suoi autori ad una terra beffardamente devastata dalle fiamme proprio in contemporanea con la pubblicazione del disco, dimostra quanto si sia sviluppata, a soli cinque anni dalla fondazione, la sua abilità nell’evocazione e narrazione dei paesaggi natii. Assi nella manica dei russi per questo scopo sono una produzione ottimamente calibrata e l’uso ben ragionato degli stacchi melodici, i quali solo raramente vengono innalzati al di sopra del resto formando invece un insieme unico con la sezione ritmica; esempio lampante sono dettagli come lo sfuggente organetto e i suoi eleganti fraseggi una decorazione gradita e mai invasiva. E s’è vero che il minutaggio può apparire a tratti troppo esteso o l’ispirazione chitarristica non sempre punto focale o al suo apice, la loro strada i Grima sembrano averla individuata ed il terzo full-length brilla per feeling e intensità specialmente quando vira sul versante più sinfonico della proposta.”

“Si può tranquillamente ritenere il terzo lavoro dei gemelli russi quello della definitiva maturazione: l’anima selvaggia e naturalistica del loro Black Metal si amalgama finalmente alla perfezione alla magia e alla dolcezza delle parti atmosferiche e folkloristiche, queste ultime forse meno sfruttate rispetto ai precedenti album, ma che apportano sempre quel qualcosa in più che non manca di rendere l’album meraviglioso. Anche le voci pulite sono utilizzate meno del solito, ma sono ad esempio ancor più decisive nel penultimo pezzo “Howl At Night” alternate allo scream nell’enfatizzare il ritornello della canzone in un bel mix di rabbia e malinconia; sentimenti che si rincorrono per tutta la durata dell’album, creando così un bel gioco di contrasti che trasporta senza remore l’ascoltatore nel cuore delle foreste siberiane in gelide notti d’inverno.”

 

 

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Due decenni e tre singoli anni messi insieme possono portare a molte cose: a nascite di vite, a sviluppi imperdibili e anche a morti – ma se si è pazienti abbastanza, a quanto pare, anche a resurrezioni. I Funeral Oration (piccolo ma indimenticato orgoglio nostrano della seconda metà dei ’90) ha replicato con testarda diversità a “Sursum Luna” del 1996 ufficialmente il 16 agosto; perché chi non muore si rivede e lo fa nuovamente tramite Avantgarde Music.

Il mefitico e perpetuo narrare che ci accompagna nella mezz’ora abbondante di “Eliphas Love” evoca scenari grotteschi e arcani; con il suo tono enfatico incarna al meglio quella teatralità che già permeava (in maniera drammaticamente minore) le trame dello storico debutto e che qui si ripresenta affinata, perfezionata e gonfiata. Il piglio ammaliante degli organi sintetizzati, costantemente integrato nella composizione e spesso motore primo di essa, e il sound secco (ampio ma dai pochi fronzoli) donano all’uscita un fascino rétro, pur senza cadere in sterili nostalgie né tantomeno in produzioni innecessariamente old school. I Funeral Oration del 2019 riescono nel difficilissimo intento di forgiare uno stile in grado di essere debitore del proprio passato e al contempo nuovo, attuale e soprattutto fortemente distinguibile.”

Qualsiasi corrente artistica che scavi nel lato più disturbante dell’animo umano ha trovato in Italia terreno fertile per i propri frutti rancidi; dalla letteratura al cinema, fino alla musica – così il comeback dei pugliesi Funeral Oration funge da ponte tra un paese ancora in preda agli incubi del passato e l’orrore che solo apparentemente si è lasciato alle spalle. Chitarra e batteria suonano adeguatamente freschi, mentre le tastiere in assoluto stato di grazia avvolgono la modernità elettrica calandovi sopra una cappa di Occult Rock proveniente direttamente dall’Italia oscura degli anni ’70; sono proprio i tocchi malefici dei tasti bianchi e neri la punta di lancia di un lavoro che, grazie a loro, acquisisce grande longevità e si srotola in partiture davvero coinvolgenti, anche e soprattutto dopo numerosi ascolti. Ognuno avrà poi opinione diversa sul cantato; lodare la brillante prova di The Old Nick, eccellente in quanto a pathos e chiarezza nella dizione delle parole, o storcere il naso per liriche tanto interessanti in alcune (possibili) metafore quanto penalizzate da scelte lessicali non sempre brillanti? Propensione all’uno o all’altro avviso, peserà inevitabilmente il fatto di sentire tanto raramente testi del genere esposti in un idioma così comprensibile.”

Ventitre anni per consegnare alle stampe un secondo lavoro, quasi fosse il risveglio delle creature diaboliche tanto care a Lovecraft: i Funeral Oration ritornano dalla tomba per colpire senza pietà le nostre orecchie con il loro Black Metal mistico e occulto, pregno di filosofia e di un furente anticristianesimo iconoclasta ben sentenziato al vetriolo dal cantante The Old Nick tramite uno screaming declamato, secco e piacevolmente teatrale, capace di donare pathos decisivo a tutte le canzoni, in realtà rese già di elevata fattura dai riff di chitarra e dalle tastiere; queste ultime in particolare fantastiche nel creare una perfetta atmosfera orrorifica.”

 

 

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Un po’ di early Gorgoroth worship, un pizzico di Darkthrone, qualcosa anche dalla Svezia dei Throne Of Ahaz e i tedeschi Total Hate, ancorati ad un sound che sembra non passare realmente mai di moda o morire per troppo tempo, finiscono per prendersi la loro meritata nomina singola grazie a “Throne Behind A Black Veil”; una lama sguainata dalle sapienti mani di Eisenwald Tonschmiede e battuta da veterani che centrano l’obiettivo.

Purtroppo coi tempi che corrono risulta sempre più difficile imbattersi in figuri armati di corpse-painting e croci rovesciate al collo, almeno senza poi sorbirsi cinquanta minuti di casino spacciato per musica estrema. Ogni tanto però succede il piccolo miracolo, e l’esperienza maturata in quasi vent’anni di militanza ha reso i bavaresi Total Hate un gruppo capace di sfornare un platter estremamente soddisfacente per chiunque ami questo genere. Fetido e reazionario come vuole lo stile, il disco sfoggia comunque un sound ben congegnato nella sua classicità, un vocalist di tutto rispetto e una scioltezza nei cambi di tempo che icone come i Darkthrone, sicure guide spirituali dei ragazzi di Norimberga, sembrano aver perso da qualche anno a questa parte; ne è manifesto il tris posto in chiusura dove la band, dopo la parte centrale leggermente sottotono, rialza l’adrenalina alternando i blast beat nordici a spruzzate acide di Thrash/Punk, il tutto incorniciato da sezioni rallentate in cui il groove fa scattare istantaneamente il movimento compiaciuto della cervicale.”

 

 

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Chiudendo e dandoci appuntamento al prossimo mese come al solito, non solo vi invitiamo scontatamente a fare vostri questi quattro ma consigliamo di farlo il prima possibile (P.S.: quello dei Grima è apparentemente limitato a 300 copie) perché settembre spinge discretamente forte e promette un conto bello salato. Se volete trovarvi preparati alla cassa, dopo aver dato le dovute possibilità ai protagonisti dell’appuntamento di oggi, il rendez vous è qui.
Ah, e in caso avanzasse tempo o inclinazione per un po’ di attacco frontale melodico ma granitico alla tedesca prodotto da un certo Trollhorn… Date una chance ai Totenwache, che si sono autoprodotti il loro debut “Der Schwarze Hort” giusto a metà di questo ultimo mese.
Sipario.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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