Vreid – “Sólverv” (2015)

Artist: Vreid
Title: Sólverv
Label: Indie Recordings
Year: 2015
Genre: Black Metal
Country: Norvegia

Tracklist:
1. “Haust”

2. “Sólverv”
3. “Geitaskadl”
4. “Ætti Sitt Fjedl”
5. “Når Byane Brenn”
6. “Storm Frå Vest”
7. “Fridom Med Daudens Lang”

Alla distanza canonica di due anni, alla quale i Vreid non sembrano voler sgarrare minimamente, giunge un nuovo tassello discografico nella carriera del quartetto norvegese sotto questo monicker.
Dopo una genesi tanto triste e travagliata (i Nostri si formano dalle ceneri dei Windir, dopo la prematura scomparsa di Valfar) quanto fruttuosa fin dal suo principio nel 2004, un percorso artistico costellato da veri e propri successi culminati in quel “V” del 2011, che mostrava la band aver raggiunto un livello probabilmente insuperabile all’interno delle stesse coordinate stilistiche, ed un sesto capitolo intitolato “Welcome Farewell” del 2013 che portava il fardello fin troppo grande di seguire un disco come il sopracitato ma, invero, con una quanto mai spiccata vena progressiva e a tratti sperimentale che -fortunatamente- poneva difficili basi di confronto con il passato del combo, arriva questo settimo disco intitolato “Sólverv” sempre rilasciato dalla connazionale Indie Recordings.

Il logo della band
Il logo della band

Chi era rimasto a tratti deluso dal precedente “Welcome Farewell” per le sue anomalie a livello di songwriting e stile, che allontanavano in parte la band dai loro tratti caratteristici a favore di un’atmosfera pur sempre oscura ma in alcuni frangenti troppo varia e dispersiva (nonostante le ottime ed azzeccate contaminazioni Rock settantiane progressivo/psichedeliche e la virata del riffing sempre più preponderantemente Thrash), potrà tirare un sospiro di sollievo: i quattro musicisti di Sogndal sono tornati a fare del Black Metal la base su cui costruire tutto l’ampio universo sonoro presente nelle loro menti.
In un certo senso Hvàll e soci si sono dimostrati determinati e decisi sulla direzione da intraprendere fin dai primi vagiti di scrittura dei pezzi, come testimoniano anche le risposte alla nostra intervista dello scorso anno che già metteva bene in luce alcuni aspetti riscontrabili oggi all’ascolto del disco ultimato nelle sua interezza.
Troviamo infatti i testi di tutte le sette tracce di medio-lunga durata in norvegese, o meglio in dialetto sognamål, come già anticipato ai nostri microfoni un anno fa e un approccio più estremo e radicalmente Black Metal, anche a discapito delle novità che presentava il precedente “Welcome Farewell” ora accantonate, che avevano tanto giocato a suo favore togliendolo dal confronto col magnifico disco precedente.

La band

L’inizio di “Sólverv” è affidato ai due singoli già rilasciati dalla Indie Recordings, che ben mettevano in guardia l’ascoltatore sugli elementi che avrebbe ritrovato nel disco: infatti il caratteristico Black ‘N’ Roll della band è più assopito del solito e sbuca fuori predominante solo in circoscritte ed azzeccate occasioni, lasciando i musicisti per il resto del tempo sfogare la loro vena più estrema.
Sia “Haust” (pezzo dedicato alla stagione autunnale) che la title-track rappresentano una partenza feroce, con ritmiche tirate ed intricati passaggi strumentali, ma la sensazione generale è quella di una malinconica rassegnazione prima d’ora rara nei solchi dei platter della band.
Ed è proprio parlando dell’aspetto malinconico e triste delle melodie che vengono in mente i mai dimenticati Windir: i vecchi lavori dei Vreid non erano mai stati così vicini allo stile assunto dagli stessi componenti prima del 2004 nella vecchia band.
Non sono infatti rari i passaggi in cui viene in mente una “On The Mountain Of Goats” (“Storm Frå Vest”) o richiami a “Dauden” (“Ætti Sitt Fjedl”).
Inoltre i passaggi tastieristici molto più presenti, partecipi e predominanti che in passato riportano alla mente proprio lo spettro della vecchia band. Insomma, i Vreid sembrano proprio aver guardato al loro passato (remoto) per costruire qualcosa di totalmente nuovo grazie all’esperienza, la bravura e le personali caratteristiche accumulate in tutti questi anni di musica.
In “Geitaskadl” ritroviamo per alcuni aspetti una band più simile al recente passato, grazie all’assoluto gusto per la melodia ed i passaggi accattivanti che citano gli stacchi Thrash/Black di “Sights Of Old” dal precedente album, pur rimanendo più estrema al netto di una totale assenza di elementi prog-oriented al suo interno, mentre “Ætti Sitt Fjedl” spiazza per il suo inizio soave e squillante e per il sopraggiungere di cori aulici armonizzati che sembrano provenire da un incrocio a metà strada tra i Windir/Vreid e i Gentle Giant, risultando uno degli episodi più belli all’interno del lavoro grazie alla sua varietà di colori e registri stilistici.
Il caratteristico screaming atonale e acido di Sture graffia e colpisce come sempre (anche più che nell’ultima prova in cui, colpa di effetti non proprio riusciti, non era riuscito ad emergere come invece merita) e sul finire del disco vi è anche il tempo per un raffinato tributo al Black Metal norvegese di metà ’90 grazie alla lunga “Fridom Med Daudens Klang” che presenta un intermezzo -prima della violenta ma straziante conclusione- dal sapore totalmente Dark-Ambient epico e solenne, il quale rimanda direttamente all’effettistica malinconica di “Rundgang Um Die Transzendentale Säule Der Singularität” di Varg Vikernes e la sua inscindibile creatura Burzum (contenuta nel leggendario “Filosofem” del 1996), prima di mescolarsi alle atmosfere medievali di lavori come “Fjelltronen” dei Wongraven (1995) o la conclusione di “The Shadowthrone” dei Satyricon (1994).

“Sólverv” è ad oggi probabilmente il lavoro più estremo, aggressivo ma anche malinconico, della band di Sogndal che va a riscoprire le sue radici (probabilmente ha giocato forte importanza in questa fase di carriera il tour dell’anno scorso in cui hanno riproposto per buona parte vecchie glorie dei Windir) per guardare ancora una volta in avanti e creare materiale sempre fresco e personale, con un trade-mark unico ma che (in venti e passa anni di carriera complessiva) non è mai diventato ridondante o fastidioso.
Le mazze chiodate e le croci rovesciate non servono a nulla se, grazie alla bravura e ad un gusto melodico fuori dal comune, sai ricreare con intelligente personalità una manifestazione artistica che la maggior parte delle persone vede (quanto sbagliando!) come scomparsa.

Matteo “Theo” Damiani

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