Windir – “1184” (2001)

Artist: Windir
Title: 1184
Label: Head Not Found Records
Year: 2001
Genre: Viking/Folk Black Metal
Country: Norvegia

Tracklist:
1. “Todeswalzer”

2. “1184”
3. “Dance Of Mortal Lust”
4. “The Spiritlord”
5. “Heidra”
6. “Destroy”
7. “Black New Age”
8. “Journey To The End”

[Questa recensione fu scritta e presentata per la prima volta in occasione di quello che sarebbe stato il trentacinquesimo compleanno di Terje “Valfar” Bakken, in suo ricordo a dieci anni dalla scomparsa.]

Ci sono dischi che agevolmente trascendono il valore artistico della sequenza di note in essi contenuta, diventando veri e propri oggetti di culto ed opere d’arte paragonabili a qualunque altra riuscita manifestazione dell’Io interiore che da sempre distingue l’essere artisti dal fingersi tali.
Uno di questi dischi è sicuramente “1184”, terzo lavoro in studio dei norvegesi Windir nonché il primo a presentare una line-up vera e propria di compagni (ed amici veri, ne sono certo) ad affiancare e coadiuvare l’ei fu mastermind Terje Bakken, il ragazzo prodigio autosoprannominatosi “Valfar” e cautamente celatosi, nel 1994, dietro al progetto prendente il nome dalla figura del guerriero in dialetto madre Sognamål, giunto quasi in punta di piedi nel picco massimo ed irripetibile di uno zeitgeist artistico sanguinario e blasfemo, nichilista e nero come le più tetre manifestazioni medievali dell’elegante dama vestita di scuro, che ha preso il nome di Black Metal norvegese ed al quale il Nostro (ai tempi quindicenne!) non voleva sicuramente uniformarsi.

Il logo della band

Nell’insospettabile villaggio montuoso di Sogndal, a seguito di due acerbi ma ottimi demo rilasciati nell’arco temporale di un paio d’anni, avviene l’esordio sulla lunga distanza rappresentato dal clamoroso “Sóknardalr” del 1997 (Head Not Found Records, etichetta norvegese che rilascerà ogni capitolo discografico della band) in cui l’efferatezza del sanguinolento Black Metal norvegese si mischiava alla perfezione con le preziose e ricercate melodie folkloristiche locali, pregne di malinconia ed epicità, condito dall’atmosfera tipicamente Viking Metal garantita dagli elementi stilistici sapientemente e personalmente rielaborati dai lavori di qualche anno prima di Enslaved e dei mai abbastanza citati Helheim, nonché dai debutti di Falkenbach e Borknagar dell’anno precedente; un’annata -quella del ’97- che vedeva il contemporaneo battesimo discografico di altri act che sarebbero stati importantissimi per i generi citati, come ad esempio Kampfar, Nokturnal Mortum e Mithotyn.
La consacrazione definitiva di maturità e squisito gusto melodico non tarda ad arrivare: corre il 1999 ed esce “Arntor”, ultimo lavoro composto e suonato unicamente da Valfar.
Infatti, nel 2001, oltre all’entrata in pianta stabile degli amici provenienti dai compaesani Ulcus, esce “1184” di cui (dopo la lunga digressione che, vista l’occasione, spero mi perdonerete) ci apprestiamo a parlare.

La band

La composizione si sposta dalle sole mani di Valfar ad un lavoro di squadra con il bassista Hvàll, inoltre la differenza sostanziale sarà apportata dagli arrangiamenti collettivi della neonata formazione dei Windir.
Dai primi due capitoli si possono infatti notare, fin dall’apertura dell’opener “Todeswalzer”, notevoli evoluzioni di suono e produzione. Al netto di un suono migliorato e maggiormente calibrato rispetto al grezzo passato, sono predilette ora soluzioni più crude e meno immediatamente melodiche; contraltare di una maggior importanza donata al comparto tastieristico (di stampo più simil-sinfonico) e ai passaggi di clean-vocals eseguiti dall’ospite su disco Cosmocrator.
La varietà stilistica e di esecuzione è il punto di forza che gioca a favore del disco per tutta la durata e che lo posiziona -probabilmente- sul primo gradino del (difficoltosissimo) podio della discografia del combo: per la prima volta si può assistere a passaggi dal sapore Black ‘N’ Roll, in un pezzo come “The Spiritlord”, che avrebbero fatto la fortuna del successivo full-length “Likferd” (2003) in pezzi come “Despot” e della sorprendente carriera dei Vreid, intrapresa dai compagni dopo la morte dell’amico.
Seppur il trademark distintivo dei Windir fosse ben presente nelle note di “1184”, un’altra differenza col passato è donata dalle liriche: fino al 2001 erano sempre state in dialetto madre nella loro totalità, ora le ritroviamo tali solo in due episodi del platter (la title-track e “Heidra”) con l’universale lingua inglese a spadroneggiare e rendere immediatamente fruibile il comparto lirico a chiunque.
La ferocia up-tempo senza tregua delle prime tre tracce, martellanti in pieno stile Windir, è interrotta dalla sopracitata “The Spiritlord”; nuovissima al sound della band, che rende ancora più palese l’apporto dei nuovi componenti grazie al suo incedere di mid-tempo oscuro, malvagissimo e minaccioso, con una sola apertura drammaticamente melodica prima del finale.
La punta di cinismo musical-lirico del disco deve però ancora arrivare, ed il compito di alzare l’asticella è donato alla tripletta “Heidra”, “Detroy” (a cui va la palma di pezzo più black-oriented del lotto) e “Black New Age”, grazie alle loro maestose sfuriate e frustate melodico-folkloristiche annichilenti, riflessione diretta dell’amore, studio e ricerca del mastermind nei confronti del suo territorio.
Il tragico finale è sin dal titolo stesso dichiaratemente rappresentato da “Journey To The End”, uno dei pezzi maggiormente apprezzati dai fan della band, nonostante all’uscita del disco fosse stato ampiamente ed aspramente criticato per la sognante, romantica e geniale coda di musica elettronica tanto perfettamente incastonata nel contesto quanto coraggiosa, pericolosa e spregiudicata, per via di un pubblico chiuso e forse non ancora in grado di comprendere un’evoluzione simile, agiatamente nascosto e protetto da mentali paraocchi equini.

La storia della band si conclude nel 2004, con la morte precoce del fondatore Terje per ipotermia, dopo l’uscita di “Likferd” del 2003 (“sepoltura”, in norvegese, tragicamente profetico) che non fece altro che confermare e consacrare l’incredibile bontà, livello e raffinatezza della musica scritta da una band forzatamente spentasi -a parere di chi scrive- con ancora molto da dire e donare al mondo della musica estrema.
Parafrasando una massima del teologo danese Søren Aabye Kierkegaard, la grandezza dei Windir e dell’Artista Valfar fu proprio quella di essere genuinamente se stessi e futilmente nient’altro.

“La grandezza non consiste nell’essere questo o quello, ma nell’essere sé stesso; e questo ciascuno lo può se lo vuole.” (Søren Kierkegaard)

Matteo “Theo” Damiani

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