Paysage D’Hiver – “Winterkälte” (2001)

Artist: Paysage D’Hiver
Title: Winterkälte
Label: Kunsthall Produktionen
Year: 2001
Genre: Ambient/Black Metal
Country: Svizzera

Tracklist:
1. “Ich Schreite”
2. “Ich Starre”
3. “Einsamkeit”
4. “Winter”
5. “Eintritt In Die Sphären”
6. “Finsternis”

Nel dipinto di bianco e nero in egual misura abbacinanti che Tobias Möckl da due decadi abbondanti riempie di pennellate, “Winterkälte”, con la sua innegabilmente estrema lunghezza (solo vent’anni più tardi la sua pubblicazione, in realtà rivaleggiata e finalmente vinta -seppur ad armi impari- dal doppio “Im Wald”) ne rappresenta tuttavia una delle più complesse da elaborare, e ciononostante anche una delle più remunerative e longeve in assoluto. Sebbene infatti muoversi tra i paesaggi dell’anima che la tela di colui che ha dedicato metà della sua intera esistenza creativa all’esplorazioni dell’inverno, di quel signore insomma principe della stagione più rigida ed inflessibile che prende nei Paysage D’Hiver l’eloquente titolo nobiliare di Wintherr, sia da sempre impresa ardua – in primis, per quella che in particolare fu un’alta prolificità, malgrado a getto continuo nel privato, emersa nel pubblico solo a concentrati sprazzi temporali (con la pubblicazione tra il 1998 ed il 1999 di tutto il primissimo materiale egoisticamente composto durante la seconda metà degli anni ‘90, che in special modo costrinse ad una riscoperta alquanto ostica quando non impenetrabile i più), seguita dalla non trascurabile monoliticità di fruizione per anacoretico stile e non da ultimo per monumentale timing – è altrettanto innegabile che una volta addentrati con cognizione d’ascolto squisitamente personale nei suoi vari capitoli, i dettagli e le nuance vadano con naturalezza e senza la minima esclusione d’esempio a creare opere dall’alta specificità singolare, di una rigidissima coerenza tripartita fatta di fabula (l’aneddoto immancabile nella grande narrazione ad intreccio che è visione complessiva), tema e musica.

Il logo della band

“Winterkälte” è del resto, nei fatti e a ben vedere davvero non per coincidenza, la prima uscita marchiata Paysage D’Hiver a seguire quel flusso di sei opere maggiori pubblicate a nastro nel giro di tre anni scarsi e culminate nel riassunto stilistico omonimo (ad oggi, innegabilmente un punto d’incontro privilegiato per facilità e ricchezza con il Wintherr creatore), e nell’atipicamente snello ed affilato, breve e quasi perfettamente bipartito (ma non per questo realmente completo) “Kristall & Isa”. La volontà di andare oltre rispetto ad ogni esperimento ed asperità riscontrata nelle singole prove (dalla complessità del criptico sebbene emotivo “Steineiche” alla violenta valanga “Schattengang”, dalle pristine purezze Ambient del trampolino “Die Festung” alla cacofonia estrema della nerissima fortezza “Kerker”), e di condensare ed al contempo espandere, arricchire il meglio delle idee dei due precedenti lavori, è per tratti chiara nella settima uscita discografica del 2001 – quella che, a netto discapito della sua ora e mezza abbondante di timing nella improbabile versione originaria su cassetta, e con la sua fortunata ora e venti scarsa sensibilmente riassunta poi in qualunque stampa ufficiale successiva, va con assoluta concretezza ad esplorare una costellazione di direzioni che -ad effettivo mosaico- sarebbero poi state soltanto anni dopo il viatico d’intuizioni a cui attingere per gran parte delle realizzazioni operate a posteriori: così lungo, eppure così perfettamente (nonché facilmente) strutturato nella caratterizzazione immediata e come mai prima di sé dei lunghi brani nel singolare, ognuno divenuto mondo a suo modo; così poco frammentato, così coerente in sé, eppure così altrettanto diverso.

Wintherr

Perché s’è vero che l’ultraviolenza a battiti per minuto elevatissimi che sulle prime apre il lotto in “Ich Schreite”, coadiuvata di quella raminga chitarra acustica dapprima sovrapposta e poi dispersa a coda (ingannevolmente centrale invece nella maestosa chiusura comunque operante a guisa di busta in “Finsternis”), va a ricapitolare direttamente gli opposti costitutivi sia della maggiore immediatezza di “Paysage D’Hiver” che della velocità maniacale del Black Metal contenuto in “Kristall & Isa” creando un vero manifesto di poetica per il progetto svizzero, al contempo prelude il medesimo taglio che avrebbe fatto la delicata e straziante fortuna emotiva -ancor maggiore- della quarta ed ultima uscita ad episodi intitolata “Schnee” (completata per lo split coi Drudkh soltanto nel 2017); parimenti, le lentezze gelide nella pesantezza compatta e quasi industriale di una speculare “Ich Starre” -sebbene perfettamente algida nel suo prestito al mondo che vi stampa il monicker sul retro di copertina- anticipano, per la prima volta reminiscenti così tanto da vicino, moltissimo del carattere e delle atmosfere che comporranno poi il sound dei Darkspace di un Möckl trasposto Wroth (nel 2001 già presumibilmente non solo ben pronto a rilasciare il primo demo dell’embrionale trio, ma anche a sicuro buon punto per visione e lavori di quello che sarebbe stato il cruciale debutto su full-length nel 2003), facendo in tal senso il paio con la velocità aliena di “Eintritt In Die Sphären” e con le melodie in minore spaventosamente ricche di vuoto pneumatico nel rallentamento che viene adagiato su sintetizzatori oscuri, esterni e spaziali a metà brano: completamento, se si desidera a cerchio, di un’immagine invero nitida di quel cosmo che altrove sarebbe stato nel giro di due anni. Volendo, infine, proseguire in ordine teatrale d’apparizione, con i suoi cori appena accennati e ricchi di distanza, l’interludio “Einsamkeit” (nella sua versione rivista da cinque minuti) più che riprendere la natura Ambient sognante del lanternino d’atmosfera “Die Festung” si muove in una direzione che, insieme al vellutato flauto dal sapore alpino in arrivo nell’etere, guida la meraviglia fiabesca dell’annunciato capolavoro “Winter”: l’impenetrabile, monotono monumento di freddo torreggiante ed annichilente che con la sua fortunata ed opprimente indulgenza d’ethos (similmente al quarto d’ora di completezza stilistica che, nella disperazione frigida di “Finsternis”, si evolve invece ed esplora i motivi più droning e ricchi di frequenze basse disposte a rintocchi concentrici) sarebbe stato veramente cifra distintiva dello storytelling marchiato Paysage D’Hiver solo una quindicina d’anni più tardi, tra il monumentale “Das Tor” e gli ultimi due, sublimi capitoli intitolati “Schnee”, finendo inevitabilmente nel cuore più profondo ed estremo di “Im Wald”.

A distanza di vent’anni dalla sua prima pubblicazione, “Winterkälte” resta pertanto uno degli episodi più speciali, completi, premonitori, ricchi d’idee e persino riusciti in realizzazione dell’intero catalogo di vastità Paysage D’Hiver: il primo ad avere un afflato seriamente auto-conclusivo a sé in linea temporale, un autentico zibaldone di materiale eterogeneo ma non sparso che, senza sorpresa, rimane particolarmente in ombra rispetto ad altri capitoli del progetto sicuramente più univoci in stile, o focalizzati e brevi come il (correttamente) popolarissimo omonimo, e che ciononostante non trattengono forse a conti fatti la medesima capacità d’astrazione e di far viaggiare l’ascoltatore tra stati e strati emotivi altrettanto diversificati; e tuttavia anche quello che, come nessun’altra manifestazione rilasciata dal progetto, getta asciutte le luci e le ombre dell’ancor più grande gloria che proprio a partire da questi già perfettamente sviluppati germi sarebbe poi stata; quello che, magico e delicato in questo forse più di qualunque altro, riesce oggi più di ieri a donare con paradossale immediatezza e proprio nella sua peculiare lunghezza lo sguardo complessivo più ampio su quella tela, sulle differenze impercettibili che sono perennemente celate allo sconosciuto nell’insensibile freddo invernale, eppure così vitali nella comprensione del dipinto Paysage D’Hiver.

Matteo “Theo” Damiani

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