Moonsorrow – “Suden Uni” (2001)

Artist: Moonsorrow
Title: Suden Uni
Label: Plasmatica Records
Year: 2001
Genre: Folk/Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Ukkosenjumalan Poika”
2. “Köyliönjärven Jäällä (Pakanavedet II)”
3. “Kuin Ikuinen”
4. “Tuulen Koti, Aaltojen Koti”
5. “Pakanajuhla”
6. “1065: Aika”
7. “Suden Uni”

Il 2001 è un anno di fermento che ha del magico in Finlandia, le sue coste meridionali assalite da un ribollire di Metal estremo e musica folkloristica uniti in una sola travolgente cosa come mai prima nel paese, né altrove, con altrettanta abbondanza localmente adunata pur nella sua eterogeneità stilistica: non solo i Moonsorrow rilasciano nel giro della banalità di undici mesi i loro primi due album, non soltanto il loro compositore e motore primo Henri Sorvali, non bastasse un simile, temporalmente concentrato sforzo di scrittura, pubblica per di più sotto lo pseudonimo Trollhorn il secondo full-length dei Finntroll nel non trascurabile, futuro successo mondiale che è “Jaktens Tid”; ma proprio quest’ultima genuina figura chiave di un movimento involontario proviene dalle sessioni di registrazione delle sue fondamentali tastiere su quello che è anche il debutto dei concittadini Ensiferum, l’omonimo album che, proprio insieme quantomeno agli altri tre lavori citati, chiude in più d’un senso un intero, rivoluzionario cerchio di sfumature e modi eclettici di sentire ed intendere la materia Folk in guisa di musica estrema, tra il lemma Black o quello Death Metal, seppure sicuramente già provvisto di precedenti in visione geograficamente sparsi (non solo nella progenie 1994-1995 norvegese a cui si aggiungono Windir e Kampfar, ma anche nella Svezia di Mithotyn e Thyrfing o nella più lontana Germania di Menhir e Falkenbach, nonché negli stilisticamente più vicini Nokturnal Mortum) cionondimeno gettato in un calderone di svariate personalità come mai si era a conti fatti ancora sentito nel mondo.

Il logo della band

Ma “Suden Uni”, composto e registrato grazie ad un primo contratto discografico che si rivelerà tutto tranne che adeguato con la svedese Plasmatica Records e firmato immediatamente dopo il rilascio del secondo demo “Tämä Ikuinen Talvi”, fa per molti versi anche più di questo: in un colpo solo unisce e crea infatti, da un lato, un autentico nuovo e freschissimo passo stilistico nel retaggio della tradizione Viking/Black Metal che lega le evoluzioni dei Bathory di “Blood On Ice” (tributati non solo musicalmente), degli Hades e degli Helheim (di “Av Norrøn Ætt” e “Blod Og Ild”) in particolar modo – dall’altro, realizza al contempo il primo scarto compositivo di quella che sarà una lunga serie caratterizzante proprio l’operato tanto dinamico all’interno della band dei cugini Sorvali, giunti a divenire un trio con l’ingresso del già talentuosissimo Marko Tarvonen nei suoi ranghi, alla batteria, prima delle registrazioni e della produzione del suo debutto su full-length durante il febbraio del 2000 (operazioni in studio precedenti dunque di un anno intero quella che sarà sua pubblicazione per imperdonabili mancanze economiche e ritardi della label), in realtà già scritto in un impeto di fervore esploso e consumatosi in un paio di settimane a cavallo dei due millenni.
Ciò che più sorprende con il favore di due decenni di distanza dalla sua gestazione, è infatti proprio il modo a tratti strabiliante in cui la band, seppur già carica di sentori, richiami e gelide atmosfere prettamente pagane fin dalla sua fondazione -ma fino a quel momento sviluppate in una cornice tipicamente Black Metal nordica pescante a piene mani dai primi Enslaved e Satyricon così come, in special maniera, avviene nell’ultima e notevolissima prova del 1999 composta prima dei lavori attivi su “Suden Uni”– rielabora una materia tramite l’integrazione di sonorità mutuate nel profondo dalla musica popolare e sperimentate parallelamente dallo stesso compositore extraordinaire Henri nei suoi Finntroll (ben oltre le intuizioni Isengard e Storm, ma non dimentico), pur dandovi nello stesso ed esatto momento un taglio completamente differente e portando avanti una ricerca comparata e spontanea di linguaggio tradizional-etnico catalizzatrice a tutto tondo che cerca, nell’esplorazione delle diversità, di scovare ogni minima possibilità espressiva al suo interno; che va così a ricreare in musica una mitologia morfologica preistorica universale (se non una vera fenomenologia visuale) impiegando il mezzo estetico della vicina e parente metafora scandinava.

La band

Proprio in ciò “Suden Uni”, ancor più che nell’essere meramente primo album della band, assume un’importanza già cruciale nel suo percorso, fuori e dentro di sé: le dieci canzoni precedentemente scritte nello stile più efferato del duo esercitato fino a “Tämä Ikuinen Talvi” vengono nel 1999 cancellate e tutto ricomposto da zero con le nuova possibilità (anche d’input compositivo a partire dall’abilità alle dodici corde acustiche) offerte dal batterista, realizzandone al loro posto altre sei che gettano le fondamenta per svariate intuizioni già qui finemente cesellate ma persino elaborate con maggiore successo creativo poi nel secondo, terzo e quarto full-length (proprio come avverrà poi tra “Kivenkantaja”, con il suo potenziale sequel cestinato dalla band, e la sterzata anticommerciale completa nel successivo “Verisäkeet”). Al posto di proseguire sulla velocità assassina di scuola 793 di “Lindisfarne”, “Jotunblod” e “The Burning Shadows Of Silence”, i Moonsorrow invece rallentano, si caricano di magniloquenza e spessore epico nei cori maestosi di un Valhalla Choral Ensemble ancora ridotto in numeri e nelle voci pulite en passant a completare di sogno il tono sgraziato e dolorante delle urla di Ville, ma soprattutto nelle tastiere gloriose, nevose e radianti in archi corali e bagliori, tanto inconfondibili ed espressive quanto versatili dell’Urponpoika, di strumenti tradizionali imitati e non, di scacciapensieri e di fisarmonica (per la primissima volta al servizio di un contesto profondamente radicato nel Black Metal), del folklore finlandese esplicito in musica, trame, lingua e liriche che trasudano tutto il potere dei sentimenti anticristiani pagani di Thy Serpent e Darkwoods My Betrothed (i toni di malinconia infuocata della cui copertina di “Autumn Roars Thunder” vengono omaggiati splendidamente in un mélange di poetica à la primissimi Moonspell da Juha Vuorma che, con i suoi esseri boschivi e paludosi tra i Nagelfar di “Strontgorrth”, “Gracefallen” degli Unholy, i primi tre Kalmah ed il debutto degli Arthemesia dona particolarmente tra il 1999 ed il 2001 copertine immortali e dallo stile inimitabile a più d’una manciata di band).
I figli del Dio del Tuono iniziano a narrare così, con intensità senza precedenti diretti e tramite il boato del martello ritmico del BaroneTarvonen, l’omicidio disperato sulle acque congelate in profondità del Lago Köyliö per mano di Lalli, a comporre la poesia strumentale di sentimento, ode alle onde del mare ed al canto del vento che portano finalmente a casa il fardello di vuoto interiore di un guerriero che perde tutto tra cadaveri, sangue incrostato ed acuto dolore nelle trame che sanno di eternità di “Kuin Ikuinen” e che si ricollegano per effetto all’impagabile conclusione tragica e poi onirica di una “Pakanajuhla” -se vogliamo- potenziale hit di genere (la cui iniziale, sgangherata ed ingannevole scanzonatezza mai più verrà abbracciata dalla band), ma in realtà composizione tanto anomala quanto trasformista dall’inizio alla fine. Proprio nel suo cambio di umore raffinato e nella sua strofa finale risiede infatti la chiave dell’intero “Suden Uni” (la cui omonima, conclusiva traccia outro ne riprende proprio il tema melodico e concettuale di commiato), che trova il più forte vagito di quel che sarà, il più imprescindibile tassello dell’evoluzione incredibile della figliata di Ukko, proprio insieme all’apertura “Ukkosenjumalan Poika” (la cui urticante, cinematografica oscurità sarà effettivo punto di partenza da cui annerire nuovamente il proprio sound a partire dal 2005 di “Verisäkeet”), nel punto culminante che è la tragicità sofferta di “1065: Aika”: più di ogni altro brano quello recante già la particolare drammaticità e lunghezza elaborata, la densità e la classe del songwriting prossima a divenire firma di fuoco ardente che avrebbe così fortemente marchiato lo snodarsi del percorso discografico dei Moonsorrow. Qui il tempo si ferma per sempre, cristallizzato in un epilogo targato anno 1066 che dall’eroica sconfitta nella battaglia di Stamford Bridge diventa pletora di exempla e monito a-cronico di coloro che si prenderanno ciò che nessuno era disposto a dare; in un volo di sinderesi dai contorni sfumati tra vincitori, vinti, conquistatori e rivoltosi che parte da “One Rode To Asa Bay” dei Bathory e passa da qui con gusto squisitamente progressivo per arrivare dritta come una freccia scoccata con tutta la forza ultraterrena della disperazione a “Raunioilla” di “Kivenkantaja” del 2003, viene segnato nella metafora omnicomprensiva della sconfitta il destino di un popolo, di una tradizione e della sua cultura, forse dell’umanità intera.

“Suden Uni”, tra laghi immobili come vetro e sporcati di sangue da uomini e dèi, foreste e tramonti di ghiaccio, in mezzo a resistenze di paganesimo e tentativi (riusciti?) di cristianizzazione nel sogno angosciante di un lupo che vede innanzi a sé un futuro fatto di prigionia ed adombrato da un ammansimento antropomorfo sempre più lontano dalla sua libertà, inizia a tracciare un segmento -se esiguo comunque fondamentale- del percorso artistico che sarebbe stato poi esplorato dai Moonsorrow, presentando così buona parte di quelli che sarebbero divenuti assoluti punti di forza e riferimento specialmente nei due successivi lavori; nonché una propensione in suono, progressione e finanche modus inarrestabile che sarà carattere distintivo delle loro opere quanto dei creatori più in generale: quello di un’abbondanza di dettagli a macrocosmo riassunto en abîme che contraddistingue tutto ciò che le dita di Henri Sorvali finiscono per toccare in una ragnatela di effetti, suoni ricercati con passione sul campo e strutture tra il viaggio incorporeo e la colonna sonora. Un album già fatto di grandi complessità e ricercatezza nonostante una relativa semplicità di fondo che lo pone come diretto, naturale e sincero successore in lignaggio di una sensibilità da un lato ancora tutta novantiana, e dall’altro di lungimiranza ed unicità squisitamente già avanti con i tempi, preludio di tratti che sarebbero stati estremamente tipici nel nachgeschichte del suo decennio.
Nel 2003 la band avrebbe infine ristampato il debutto con la copertina reinterpretata da Niklas Sundin dei Dark Tranquillity (adoperatosi anche su quella di “Vansinnesvisor” dei Thyrfing dell’anno precedente): fatto sensibile, data la parziale assenza di un processo di mastering nell’originale mai avvenuto per via dei problemi con la label, tuttavia dalla resa sonora già egregia per merito della sapienza del vate di suono nazionale Kortelainen ai suoi Tico-Tico Studios, e con l’aggiunta bonus di “Tulkaapa Äijät!” registrata durante le sessioni di “Kivenkantaja” proprio sotto consiglio di quest’ultimo: cover strumentalmente ricalcata da “Kom Nu Gabban!” del popolare duo svedese Nordman (similmente alla “Vargtimmen” degli Hedningarna inclusa nel diversissimo “Jaktens Tid”) e che nella versione finlandese, con una tipica quanto fatalistica nonchalance esistenzialista, canta invece di un funerale narrato dal punto di vista defunto – con la sua fisarmonica distorta, comunque la canzone più lontana di sempre dal canone Moonsorrow; ma più sensibilmente, alla fine dello stesso 2001, la band avrebbe soprattutto replicato dando alle stampe il successore “Voimasta Ja Kunniasta” in un tour de force sui generis (firmando finalmente per la cruciale Spikefarm Records), creando così un dittico involontario in cui il secondo ha forse per sfortunate circostanze temporali precluso al primo il successo di critica che avrebbe meritato, aggiungendolo in fila non solo ad uno dei dischi che sarebbe comunque stato tra più influenti del suo genere nella sua decade, aprendola e per molti versi chiudendola – ma consegnando, ad ogni modo, alla storia della musica cupa una doppietta di veri classici moderni, soprattutto qualora venga giustamente considerata l’uscita all’inizio estremo del millennio rispetto all’ondata di popolarità della proposta -o anche solo di quello che sarà il Folk Metal in senso stretto- anticipata di almeno un lustro, e che in vent’anni continua ad avere ben pochi paragoni qualitativi e di visionarietà nel suo panorama di riferimento.

Matteo “Theo” Damiani

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