Menhir – “Ziuwari” (2001)

Artist: Menhir
Title: Ziuwari
Label: Skaldic Art Productions
Year: 2001
Genre: Folk/Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Wotans Runenlied”
2. “Die Letzte Schlacht”
3. “Herminafrieds Klage”
4. “Das verborgene Reich”
5. “Valhalla”
6. “Steinsburg”
7. “Ziuwari”

Definiti a totale ragione ed innegabile merito compositivo dai molti come una delle più importanti, rappresentative nonché immancabili realtà del filone Pagan Black Metal proveniente dalla loro Germania, e nello specifico da quella Turingia quanto mai prolifica regione per tali sonorità e derivazioni limitrofe in particolare – una che, da sola, ha infatti dato i natali anche ad infinite altre band di assoluto spessore nel relativo sottogenere (solo tra quelli che sono i suoi più folkloristici autori, meritano menzione i successivi Helritt, Odroerir, i Gernotshagen e l’influenza innegabile sulle evoluzioni in eleganza dello stesso, seppur più nordico, Falkenbach); nel terzo lavoro maggiore registrato in studio i Menhir​, nonostante da sempre in verità portabandiera di un certo e sicuro fomento battagliero dai tratti preponderanti persino nel loro stile, che li vede dal canto suo peraltro decisamente già diffusi, decidono tuttavia di dare una netta sterzata epica al loro suono.

Il logo della band

Accantonate leggermente, o quantomeno ridimensionate per spazio veicolare nell’economia complessiva dell’album, le tonalità più Black Metal del precedente, più grezzo caposaldo e manifesto “Thuringia”, i quattro (accompagnati qui da un bassista come membro-session in studio) lasciano che la parte più roboantemente Pagan Metal prenda il sopravvento nelle sei pratiche composizioni, innalzate in primis dalle testimonianze dei riff delle sei corde elettrificate e rotonde, nel 2001 finalmente piene in suono e ricche di frequenze medie rispetto al passato del gruppo, che fanno così virare coerentemente le canzoni alla velocità degli stilemi chitarristici maggiormente vicini al Thrash (similmente, in parallelo, agli Skyforger dello stesso periodo) ed incupito Heavy/Power mitteleuropeo (“Das Verborgene Reich”) ancor prima che devote ai mid-tempo vittoriosi di bathoriana memoria (qui intrisi di meraviglia e malinconia in “Steinsburg”), e che restituiscono gli accordi e i palm muting delle sezioni accelerate graniticamente robusti più spesso che non fluviali, rocciosi ed evocativi come con ogni probabilità solo in Germania e nella celebrata regione d’appartenenza natia di Heiko Gerull e compagine sanno essere; tuttavia a pari merito nell’evoluzione che intercorre proprio nel terzo full-length della band si presta la performance della splendida voce pulita e dei cori profondi del cantante e leader: come mai prima di “Ziuwari” calzante i panni naturalissimi d’un perfetto cantore di tempi antichi durante tutta la durata del lavoro, facendo dimenticare totalmente il presente all’ascoltatore nonché giustificando e dando piena comprensione al motivo per cui proprio i Menhir​ siano stati tra i pochissimi interpreti del genere a finire nel roster della label di Vratyas Vakyas dei Falkenbach durante la sua brevissima attività (tra le cui non trascurabili release si vuole ricordare almeno l’ottimo e misconosciuto debutto a nome “The Nightspectral Voyage” dei connazionali Obsidian Gate, che invero battezza con un discreto successo artistico Skaldic Art Productions nel 1999).

La band

Ovviamente non riesce a mancare, per bilanciare l’apporto di aggressività che la musica dei tedeschi vuole anche qui infondere, il suo screaming graffiante e combattivo, che tiene le sonorità del gruppo anche in quella che è la sua prima, cruciale prova d’entrata nel nuovo millennio profondamente ancorate a quel retroterra Black Metal che qui, ad ogni modo, cede il passo agli arrangiamenti più ricercati e a tutta una vena melodica più esercitata che non in “Thuringia” o “Die Ewigen Steine”; ma non mancano nemmeno le tastiere, che invece e forse ancor di più giocano un ruolo fondamentale in “Ziuwari” regalando magici sprazzi di autentico folklore dal sapore germanico, così come accade nell’alchemico intreccio con le chitarre realizzato in “Die Letzte Schlacht”. Sebbene quel che fuoriesce dai tasti di queste sia invero vagamente sottotraccia nel mix (e persino nella composizione complessiva dei brani per importanza strutturale, quantomeno rispetto agli esordi della band al limite -mai sforato- del pomposo), sono proprio loro qualora appaiono come per incantesimo, si prenda da perfetto esempio l’introduzione al disco e la sua evoluzione nelle trame dell’opener “Wotans Runenlied”, ad avvalorare ed innalzare definitivamente oltre il livello di ogni prova precedente dei Menhir le sezioni più epiche dell’album. Immancabile in tal senso è la menzione all’incipit della title-track conclusiva, perla in cui si sovrappongono squisitamente agli arpeggi sognanti (insieme all’emblematico interludio “Herminafrieds Klage” un segno di quel che accadrà, in misura ancor maggiore, nei momenti di più struggente e sofferta emotività raggiunti nel probabilmente definitivo “Hildebrandslied” del 2007), così come vanno a dare tutt’altro sapore anche alle scudisciate efferate e tonanti nella maggiormente black-oriented “Valhalla”.

Ma quel che forse vanno a fare in modo ancor più cruciale per lo stile di cui i Menhir sono portabandiera nel loro paese, ed in retrospettiva anche ben al di fuori di esso, è caratterizzare con maggiore raffinatezza ed attenzione, quasi in maniera pionieristica insieme a poche altre opere coeve nel genere, il collante di sensibilità tra la maniera in cui queste sono sempre state impiegate (specialmente in Germania) fin dai primi vagiti di un Black Metal sinfonico che qui non è comunque dimenticato – ed al contempo quello che ne avrebbe trascinato invece l’uso nei primi anni 2000 senza che suonassero sorpassate, stucchevoli od ormai inutili in band come gli allora debuttanti Ensifeum (o i Thyrfing dello stesso periodo, già in “Valdr Galga” ed “Urkraft”, per guardare sempre al Nord), in un certo senso trasformando quei tappeti di archi sintetizzati così tanto novantiani che furono in un effettivo strumento singolo ed attivo al pari delle chitarre o della voce; nonché, in questo più preciso e singolare caso, a rammentare anche tutta quella vena immancabilmente Folk che già contraddistinse in casa Menhir l’esperimento inevitabile in “Buchonia” del 1998 – e quel che del cuore acustico che batte nel petto della band avrebbero fatto nel suo magistrale successore. Ad oggi, l’ultimo album rilasciato prima di una pausa a tempo sfortunatamente ancora non determinato.

Karl “Feanor” Bothvar

https://www.youtube.com/watch?v=Ro1ZUN4kCxs

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