Arthemesia – “Devs Iratvs” (2001)

Artist: Arthemesia
Title: Devs Iratvs
Label: Native North Records
Year: 2001
Genre: Symphonic Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Blade Circle”
2. “Universal Black”
3. “The Breeze Of Grief”
4. “Draconis Infernvs”
5. “Ancestor Of Magick”
6. “Lifemocker”
7. “Heaven Ablaze”
8. “Celebration Of The Heaven Lost”
9. “Whore Of The Satan’s Night”

Difficile stabilire con un qualsivoglia grado di precisione se non certezza i motivi, senz’altro comunque molteplici, per cui un disco come il “Devs Iratvus” dei finlandesi Arthemesia -e la band più in generale- non abbia raccolto in venti anni dalla sua pubblicazione neanche un briciolo della considerazione, o anche solo della ammirazione, che avrebbe in realtà meritato. Il mistero si infittisce ancor di più se alla diacronica equazione già complicata di per sé dallo spazio e dal tempo in esame si aggiungono, innanzitutto, il pedigree dei suoi componenti (sia sul debutto che, seppure in forma ristretta per numero e fama, sull’a dir poco splendido successore “A.O.A.”), e persino la pubblicazione dell’operato del gruppo da parte dell’allora rampante Spinefarm Records, in quel decennio giustamente sotto i riflettori del mondo intero per le sue scoperte in ambito estremo dal paese (insieme alla nera ala minore Spikefarm), e di entrambi i dischi griffati dalla band con nucleo ad Helsinki tra il 2001 ed il 2009.

Il logo della band

Risulta però forse più semplice afferrarne almeno una parte se si considera quanto, almeno nel primo anno del nuovo millennio in cui il rilascio di “Devs Iratvs” avviene, la pur cospicua fetta di band prossima a farsi celebre a livello internazionale fosse ancora temporalmente ben lontana dal divenirlo. Andando in ordine: l’oggi misconosciuto Oliver Fokin, batterista sui primi due album degli allora fondamentalmente in erba Ensiferum, è solo di passaggio sul finire degli anni ‘90 per un breve servizio dietro alle pelli nei demo, nonché presto ironicamente sostituito da quel Kimmo Miettinen che, oltre ad essere il fratello maggiore del più noto Jukka-Pekka (a sua volta non solo bassista nella band già dal 1998, ma anche su “Ensiferum” ed “Iron”, nonché poi uno dei due soli membri fissi degli Arthemesia oltre che futuro turnista per Turisas ed Alghazanth), suona proprio sui demo della prima, poi nota band di Jari Mäenpää e Markus Toivonen; giusto il primo dei due poi, da ultimo e non per importanza, presta le sue doti compositive, chitarristiche e tastieristiche per la realizzazione del primo full-length in oggetto d’analisi facendo il paio con quelle di visione e coesione (che si manifesteranno tali specialmente, e forse drammaticamente troppo tardi, nel secondo capitolo) del cantante e liricista Valtias Mustatuuli.
E se a ciò si aggiunge che Marko Tarvonen dei Moonsorrow presterà le sue meraviglie di gusto percussionistico solo in “A.O.A.” nel 2009 (mentre il compagno tastierista Markus Eurén si concederà ospite fugace prima dello scioglimento), e che la coppia del suo predecessore diretto Kai Hahto (di Wintersun e Swallow The Sun nel periodo) e Janne Leinonen dei Barathrum (al basso nel periodo a partire da cui Jukka-Pekka finisce per prendere le redini della scrittura delle sei corde al posto delle quattro) non fa nemmeno in tempo a registrare alcunché a cavallo tra un album e l’altro, dall’altro lato va infine considerato che il nascente colosso Spinefarm Records si occupa in verità, nel caso di “Devs Iratvs”, della sola distribuzione tramite la figura di Sami Tenetz e della sua Spikefarm – e lo fa ormai decisamente troppo tempo dopo un contratto non troppo felice con la piccola e fugace Native North Records, che pubblica il titolo con due anni di ritardo rispetto alla sua registrazione e produzione come suo immeritatamente sfortunato apripista discografico.

La band

Ma nonostante la parziale mancanza in termini di promozione e delle senz’altro malcapitate vicissitudini di line-up che sicuramente tutto hanno fatto tranne che aiutare lo sviluppo in tempi brevi di una band la quale, non bastasse per così dire il difetto di aver incluso tra le sue fila musicisti prossimi al riconoscimento mondiale con fin troppo anticipo rispetto alla loro affermazione (e non essere poi riuscita a raccoglierne i frutti nemmeno più tardi, per tempistiche di rilascio che hanno del tragico), sembra aver fatto in una decina d’anni il proverbiale filotto delle scelte di mercato sbagliate nonostante il susseguirsi interno di artisti dal panorama nazionale che ha del congiungimento astrale per le singole qualità, “Devs Iratvs” suona all’ascolto targato 2001 non per coincidenza come una piacevole commistione di vocabolario squisitamente novantiano e sviluppi di una modernità ancora in divenire, in quel momento, in una Finlandia che ribolle d’ispirazione; nonché un crogiolo d’interessantissimi germi qualitativo-fisionomici anche per quelli che saranno i lavori esterni in arrivo di lì a qualche anno da parte dei suoi membri: non ultimi proprio quelli di Wintersun ed Ensiferum. Dei primi, “Lifemocker” suona negli sweep e negli inserimenti neoclassici anneriti quasi come una bozza alternativa di “Winter Madness”, così come “Universal Black” anticipa l’arrembante barocchismo della celebre “Beyond The Dark Sun” e “Breeze Of Grief” la lentezza malinconica di “Beautiful Death”; dei secondi, “Slayer Of Light” è invece provata ed alquanto estremizzata in “Heaven Ablaze”, mentre “Celebration Of The Heaven Lost” mostra dapprima il carattere delle composizioni più lente del coevo debut omonimo, e poi gli scatti di una “Windrider”. Le tastiere dal sapore folkloristico e magico al pari arricchiscono e riempiono anche le partiture prese in prestito dalle virate frizzanti e Thrash del rivoluzionario e non poi così tanto precedente “At The Heart Of Winter” degli Immortal (va ricordato che le registrazioni di “Devs Iratvs” terminano proprio all’inizio del 1999, ben due anni prima dell’uscita, e pertanto un “Damned In Black” più che citato nei muting trascinati, sincopati e secchi, ricchi di taglienti frequenze alte, è persino anticipato dalla tempesta artica di “Blade Circle”), mentre si distendono a tappeto di archi con i loro forti spunti sinfonici (perfino da camera e trascendenti nell’incipit di “Ancestor Of Magick”) in dilazioni che già anticipano parte del valore atmosferico che il monicker realizzerà in tutta la sua più alta fattura nella maturazione del secondo album solo otto anni più tardi.
Ad uno sguardo contrastivo proprio con il suo tardo, ben più arioso ed ambientale ma squisito successore, oltre che in modo parzialmente contrario ad esso, “Devs Iratvs” presenta infatti connotati diretti e ancora più facilmente assimilabili ad un certo Melodic Black Metal pur lontano dalla sensibilità svedese in voga (piuttosto, uno sporcato di Thy Serpent e soprattutto Alghazanth del debutto), rimanendo un lavoro fatto più di chiusure -se si fa grossa eccezione per l’inizio dell’atipica ed epica “Celebration Of The Heaven Lost” e per gli assoli inconfondibilmente firmati Mäenpää, o i tentativi di voce pulita di Blackwind– che non di aperture e sperimentazione avanguardistica; ma è proprio nella somma delle sue forse sottili ma decise peculiarità irripetute, quantomeno tutte insieme in un medesimo contesto, che si esprime già appieno il suo valore ibrido e persino anticipatorio, nonché quello di vivida testimonianza di un crogiolo eclettico d’idee, di un tempo ed un luogo, d’influenze e spunti che -a cavallo tra Black Metal nordico, Melodic Death finlandese in sviluppo nel periodo, sensibilità Folk, serrate Thrash ed un gusto chitarristico Heavy macchiato di Epic– avrebbero contraddistinto gli sviluppi finlandesi del circolo Spinefarm durante il proseguo dell’intera decade.

Ben più tuttavia di una bozza di linguaggi prossimi ad essere coltivati ed evoluti in maniere più complete o focalizzate, “Devs Iratvs”, seppure innegabilmente ancora parzialmente privo di quella unità d’intenti, d’azione e di raffinatezza concettuale fortissima del suo successore (comunque anticipata nell’andazzo di una “Whore Of The Satan’s Night” come piacevole momento di convergenza ed anticipazione tra i due apparentemente lontanissimi album), di cui verrà anticipata poi un’altra buona mezz’ora contenuta in tre dei suoi effettivi e più lunghi brani nel 2007 dal demo “The Hyperion Elements” dopo il transitorio EP “ShamaNatahS” ed essere formalmente rimasti senza etichetta, si preserva e conserva quindi a distanza di venti anni dalla sua pubblicazione quale un piccolo ma nitido manifesto del suo spazio-tempo, nonché di un irrisolto mistero tra i più grandi di sempre del suo paese e nel suo genere: messaggero portavoce di una band a cui semplicemente sfuggì il treno proprio alla fermata di una popolarità che, per davvero molti versi e tutti esuli dalla bontà dei suoi strumentisti e compositori altrove, avrebbe meritato fin dall’uscita del suo primo album.

Matteo “Theo” Damiani

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