Mithotyn – “King Of The Distant Forest” (1998)

Artist: Mithotyn
Title: King Of The Distant Forest
Label: Invasion Records
Year: 1998
Genre: Viking/Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “King Of The Distant Forest”
2. “Hail Me”
3. “From The Frozen Plains”
4. “On Misty Pathways”
5. “The Legacy”
6. “Trollvisa”
7. “Under The Banner”

8. “We March”
9. “The Vengeance”
10. “Masters Of Wilderness”
11. “In A Time Of Tales”

I Mithotyn sono, senz’altro ingiustamente, una delle formazioni uscite dalla Svezia tra le meno considerate che la storia ricordi; non fosse per altro, quantomeno considerato il peso a dir poco ragguardevole che le loro composizioni avrebbero, dopo il 2000, avuto su altri artisti più giovani: i quattro svedesi sono infatti tra i primissimi ad aver collaudato una formula stilistica e melodica che avrebbe poi letteralmente spopolato tra i proseliti del Viking e Folk Metal di questo stampo, sfortunatamente quasi mai replicata a questi eccelsi livelli.

Il logo della band

La invero brevissima carriera (1993-1999) li vede nascere a Mjölby, in uno degli anni di massimo splendore del Black Metal norvegese ai tempi divampante, per poi sciogliersi dopo soli sei anni per divergenze stilistiche (i vari membri fonderanno successivamente altre band, tra cui Falconer e King Of Asgard, cambiando in parte o totalmente visione musicale, sulle quali -a parere di chi scrive- è decisamente meglio chiudere un occhio quando non addirittura entrambi) ma dando alle stampe tre full-length che -se non seminali- meritano d’obbligo menzion d’onore tra gli appassionati del genere.
La tripletta di dischi parte nel ’97 con il grezzo ma convincente “In The Sign Of The Ravens”, che segue una manciata di demo registrati ed usciti tra il ’93 ed il ’96, il quale mostrava già una band obbiettivamente fuori dal comune grazie ad un sapiente utilizzo di melodie tradizionali ed epiche all’interno di una proposta di matrice fondamentalmente estrema. Il vero passo in avanti e consacrazione non si fece di certo attendere: nell’anno successivo uscì (sempre per la Invasion Records che diede loro -giustamente- fiducia per tutto l’arco dei tre full) “King Of The Distant Forest” che vedeva il quartetto maturare notevolmente dal debutto e, pur tenendo in parte la ferocia del debutto, destreggiarsi tra melodie ancora più prorompenti ed un utilizzo delle capacità indubbiamente migliore, nonché un grande miglioramento anche sotto il mero (ma non trascurabile) aspetto della produzione.
Lo scioglimento, come detto, arriverà l’anno successivo subito dopo aver consegnato alle stampe (e alla storia) l’epitaffio che prende il nome di “Gathered Around The Oaken Table”, in cui i Nostri non fecero altro che confermare e ribadire -per la terza volta di fila- la bontà indiscussa delle loro idee.

La band

Nonostante il terzo disco sia probabilmente sotto l’aspetto qualitativo il migliore, la scelta di dare spazio al secondogenito in casa Mithotyn vede le sue ragioni nel fatto che esso si presenta a tutti gli effetti come il disco che sancisce un balzo da “ottimo disco” a “capolavoro” (per quanto questo termine sia stato, ahimé, non poco svilito negli ultimi anni).
Le caratteristiche ritrovabili nel debutto “In The Sign Of The Ravens” sono tutte riscontrabili anche in “King Of The Distant Forest”, che vede un miglioramento effettivo sotto ogni punto di vista (sorprendente, visto i nemmeno dodici mesi trascorsi tra la pubblicazione dei due full), il forte gusto melodico spadroneggia sempre grazie alle vorticose e voloci scale di chitarre ed i loro intrecci solisti assolutamente Maideniani, supportati dalla massiccia sezione ritmica affidata a basso e batteria qui sugli scudi. Menzione va fatta sicuramente anche alla (anche qui migliorata notevolmente) prestazione vocale del cantante -e bassista- Rickard Martinsson, grazie ad una alta varietà di registri sfoggiati per tutta la durata degli undici brani.
La durata di un’ora circa (56 minuti, per la precisione) non è affatto fattore di pesantezza: ogni traccia scorre senza sbavature né intoppi, anche grazie alla grande tecnica dimostrata da ogni componente della line-up.
Il disco si assesta principalmente su coordinate veloci, infatti gli up-tempo sono presenti in quantità predominante sul resto.
Tuttavia, la noia non incorre mai nell’ascoltatore deliziato da diversi rallentamenti pregevoli, in cui non è insolito trovare anche passaggi in pulito ed epici cori maschili, e la varietà dei cambi di tempo al limite del sorprendente almeno quanto lo è la raffinatezza degli arrangiamenti (ascoltare gli strati di tastiere perfettamente riusciti e mescolati all’asprezza della musica per capire cosa intendo).

In conclusione, consigliando il disco a chiunque si consideri amante della musica a 360° e senza limitazione di sorta, consiglio anche la lettura dei testi durante lo scorrere dei minuti: sono di gran fattura ed è sempre difficile trovare artisti che trasportino di peso nei mondi descritti: abilità, questa, che ai Mithotyn sicuramente non mancava. Quantomeno, non nell’incarnazione musicale rispondente a questo leggendario monicker.

Matteo “Theo” Damiani

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