Primordial – “Storm Before Calm” (2002)

Artist: Primordial
Title: Storm Before Calm
Label: Hammerheart Records
Year: 2002
Genre: Black/Folk Metal
Country: Irlanda

Tracklist:
1. “The Heretics Age”
2. “Fallen To Ruin”
3. “Cast To The Pyre”
4. “What Sleeps Within”
5. “Suns First Rays”
6. “Sons Of The Morrigan”
7. “Hosting Of The Sidhe”

Persino qualora contestualizzata all’interno di un percorso vitale e creativo tutt’altro che agevole com’è stato e forse ancora sarà quello dei Primordial, la fase inquadrabile nel lustro che va dal 1999 al 2004 rimane pure col senno di poi una delle più delicate per il manipolo d’irlandesi. Sebbene non si possa invero parlare di crisi interne dalla portata davvero preoccupante, del tipo di quella che avrebbe condotto qualche anno più tardi alla magistrale seduta di auto-psicanalisi e catarsi ultima intitolata “Redemption At The Puritan’s Hand”, nei ranghi del battaglione di Dublino sembrano avvertirsi al volgere del Millennio tanto la voglia di fare quanto l’incertezza riguardo cosa effettivamente fare: dopotutto a cingere, a mo’ di cornice, la ben poco reclamizzata coppia di full-length pubblicati sotto Hammerheart Records sono infatti il mini “The Burning Season” -primo autentico battito d’ali della formazione alla volta di soluzioni da poter rivendicare quali propri marchi di fabbrica in seguito ai buonissimi propositi precedenti- e la riedizione in formato compilativo dello storico demo di presentazione “Dark Romanticism”, amarcord carico di nostalgia verso l’incanto dell’autoproduzione ed in generale della leggerezza giovanile non a caso vergato dopo la non facile scissione dall’etichetta olandese già collassata al momento del rilascio.
A braccetto con l’entusiasmo per i primi tour prestigiosi (quello spalla a spalla con gli Immortal in promozione di “Damned In Black”, forse su tutti) e festival finalmente di portata quantomeno continentale, a guidare Nemtheanga e compagni v’è dunque il lume scintillante ma flebile dell’ambizione riflessosi in due album dall’interpretazione assai complicata, specie quello inciso all’estremo inizio del 2002 e tra le più numerose incertezze due decenni esatti or sono.

Il logo della band

Ad oggi, l’opinione comune attorno a “Storm Before Calm” tuona a chiare lettere di un disco realizzato in fretta e furia, rimasto fermo per un mesetto abbondante su di un misero hard drive ed infine buttato fuori per conto di una label passata in un batter d’occhio da ferrea garanzia di ottimi riscontri a zattera vicina al colare a picco, e privata ormai dalla contingenza, quindi, di qualsiasi risorsa da investire in creazione e promozione del manufatto. Gli stessi Primordial, gruppo da sempre brutalmente onesto nel dar giusto valore a ciascun capitolo della sua trentennale storia, parlano di una pesante mancanza di stimoli esterni ai brani di per sé: magari per via degli Academy Studios ritrovati a quattro anni da “A Journey’s End” ma adesso calati nel grigiore suburbano del West Yorkshire, oppure della dubbia riuscita di un artwork niente affatto convincente (a sospetta opera di un Marco Jeurissen al lavoro con svariati altri commilitoni sotto l’etichetta olandese in quel periodo, tra cui i Cruachan di “Folk-Lore” e “Frigga’s Web” di Hagalaz’ Runedance dello stesso anno, e gli Ancient Rites di “Dim Carcosa” nel precedente o i già cronologicamente più lontani Mithotyn – ma tutti gravitanti e gravitati attorno alla label di Limburgo), non a caso sostituito poi dalla bella e soprattutto più significativa litografia campeggiante su alcune ristampe in vinile a venire; volendo tacere da ultimo della scarsa fiducia data dalla pressoché totale assenza di fondi economici che non fossero forniti dai musicisti stessi, o dal primo e forse addirittura traumatico contatto tra la fede analogica dei dubliners e l’arcigno avanzare del tiranno digitale.
Insomma, in prospettiva, la quarta fatica degli irlandesi sembrerebbe portarsi dietro l’enorme punto interrogativo di un ensemble non soltanto estremamente meticoloso ma soprattutto alimentato dalla stessa potenza barbarica indicata dal suo nome, e tuttavia nel 2002 in apparenza assente se non nella comunque poderosa forza congenita di cui le sei corde di Ciáran MacUiliam così come l’ugola di Alan Averill non potevano né avrebbero mai potuto liberarsi persino volendolo. D’altro canto, la sola regola senza eccezioni nel volubile sovrammondo dell’arte è la profonda diffidenza da nutrire verso le parole espresse da un intelletto creativo riguardo i suoi propri sforzi; e se “Storm Before Calm” viene raramente citato tra i preferiti degli appassionati è più che altro (se non solo) per merito di uno squadrone di grandi autori con un’alchimia fuori dal comune e delle meraviglie anche superiori estratte più avanti dal loro personale blocco di granito michelangiolesco.

La band

Spogliato pertanto e come si conviene di ogni sovrastruttura biografica sorta attorno alla sua gestazione, il platter rilasciato oramai due decadi fa si ricorda, come accennato poco sopra, per la rocambolesca introduzione alle moderne tecnologie di registrazione da parte di un quartetto (la seconda chitarra di un comunque accreditato Micheál O’Floinn non si sentirà su disco in realtà prima del 2005) la cui sete di calde frequenze scroscianti dagli amplificatori direttamente in studio rimane seconda solo a quella dei Darkthrone e di pochissimi altri. Ad ogni modo, che sia stata la proverbiale fortuna dei principianti o al contrario l’intuito coltivato lungo una già decennale attività, i suoni ripuliti ed i volumi innalzati non cozzano quasi mai con la tenue malinconia dei due full-length inaugurali né con la granitica severità del già monumentale predecessore “Spirit The Earth Aflame”: ospite inatteso ma fondamentale non tanto per la riuscita del disco in questione quanto per la sua stessa implementazione nel DNA degli irlandesi d’ora in avanti, qui è invece il Metal tout-court ad emergere dall’oceano di distorsione per legare tra loro tracce quando non singole sezioni radicalmente opposte, travalicando come al solito gli argini dei singoli sottogeneri (Heavy, Doom, Black che sia, e via così) al fine di mantenere intatta l’erculea forza espressiva la quale dovrebbe accomunare qualsiasi sfaccettatura della musica pesante. L’onda d’urto terremotante data dall’inaugurale e grave “The Heretics Age” (la si confronti anche solo con l’austera introduzione parlata sentita due anni prima) oppure dagli ultimi due minuti a base di fuoco e fiamme su “What Sleeps Within” pare essere l’antidoto al clima incerto sorto attorno agli strumentisti e alla casa discografica, i quali optano per un approccio invero abbastanza tradizionale, eppure nero, denso, crepuscolare, e ne tirano fuori partiture ben delineate sia nei riff che nelle stratificazioni melodiche atte a congiurare un’atmosfera più opprimente che in passato, aiutati come sono dal sound design in gran spolvero che ne imprime in rilievo ogni lick o arpeggio che sia.
In parallelo ai fraseggi circolari adoperati dai cordofoni, Simon O’Laoghaire ben si guarda dal lanciarsi in acrobazie di tom e piatti tenendosi in disparte e seguendo uno stile assai semplificato (non casuale il parallelo in più di un punto à la Horgh), che funziona sì nei frangenti concitati ma il meglio lo riserva per gli imperiosi mid-tempo carichi di tensione e riflettenti gli influssi U.S. Power Metal anni ’80 spesso citati proprio dal vocalist come lente d’ingrandimento per comprendere il periodo sotto Hammerheart dei Primordial. La già strepitosa “Fallen To Ruin” non fa di certo mistero delle influenze di Manilla Road, Cirith Ungol e di certi Manowar nel nobilitare giri ripetitivi e spartani piazzandoli su impalcature invece ardimentose una volta ammirate nel loro complesso, anche se il vero trionfo in tal senso arriva sulle note di “Sons Of The Morrigan”, un adrenalinico sei ottavi fatto di puro Heavy Metal ma benedetto dall’interpretazione tra agonia ed estasi di Nemtheanga; irresistibile nel belligerante stacco a metà brano tanto durante le calanti riproposizioni dal vivo quanto negli ascolti in solitudine, dove non c’è davvero verso di tenere fermi la testa ed i piedi incatenati al dipanarsi della marcia tutta folkloristica e battente dei quattro guerrieri figli d’Irlanda.

Sono infine le enigmatiche parole del compatriota William Butler Yeats a sigillare del resto un lavoro se vogliamo altrettanto difficile, discontinuo proprio in quella sua seconda metà d’opera che schiera prima il volo strumentale e tradizionale sulle verdi campagne “Suns First Rays”, intrisa di vento e salsedine, e poi la catartica “Sons Of The Morrigan”, prima di concludere con i sette minuti di recitativo intitolati “Hosting Of The Sidhe” in tributo al poeta dublinese: che i Primordial di inizio Millennio non siano i Primordial migliori in assoluto potrà anche essere vero, ma il senso di tale e meno celebrata parentesi è nondimeno quello estremamente cruciale ed importante di un’entità finalmente e completamente libera dai tic da cover band quale erano stati gli originari Forsaken, e la cui natura ancora pervadeva due primi album rivolti più al contesto esterno che alla ricerca interiore.
Pur coi suoi particolari se vogliamo un pelo kitsch, i quali lo hanno sicuramente fatto invecchiare ben più di pressoché ogni altro capitolo consegnato alle stampe dal gruppo in questione, “Storm Before Calm” vede i suoi autori battere ancora nuovi sentieri -per certi versi anche profetici in termini lirici ed atmosferici- senza alcuna paura di sbagliare, di risultare pesanti all’orecchio ed in sintesi di non dare al pubblico ciò che esso da loro si aspetterebbe. Ancor più sospeso tra anime divergenti rispetto al già polimorfo “Spirit The Earth Aflame”, il quarto episodio nell’appassionante saga non teme infatti alcun giudizio nemmeno dal tempo che passa e che decreta tiranno; così come non lo temono dei Primordial da sempre fieri nel loro posizionarsi fuori da ogni moda passeggera o dettame cronologico, dragging their knuckles along the ground – a voler essere bilingui. Che sia perciò l’ascoltatore (o al momento anche il lettore) a farsi la sua idea di una bestia scatenatasi vent’anni fa oggi senza troppo curarsi di ciò che era prima o che sarebbe stato dopo; “Storm Before Calm” lo attende ancora oggi con forse e giusto una copertina più avanti rimaneggiata, ma con la stessa voglia di negare e prendere in contropiede alla squisita, oscura maniera irlandese.

Michele “Ordog” Finelli

 

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