Ottobre 2023 – Sühnopfer

 

Debemur morti nos nostraque! La fine di ottobre segna del resto quel liminale passaggio, com’è noto per credenze comuni in tutto il continente, che apre il portone d’entrata nel mese che è regno temporale dei morti – e quale migliore occasione, dunque, per fermarsi a riflettere un attimo e celebrare all’unisono la mensilità dei defunti per eccellenza, con la sua atmosfera macabra, misteriosa, soprannaturale, e i quattro migliori dischi usciti proprio in ottobre se non tramite un involontario recap sulle ultime uscite Debemur Morti Productions?
Coloro con cui partiamo oggi, ovverosia la one-man band francese che si è presa con la forza l’unica e meritatissima standing ovation del presente articolo, sembra in fondo continuare a darci l’assist per proseguire senza deviazioni nel funereo discorso di sguardo gettato all’aldilà: “Nous Sommes D’Hier”, quarta fatica su full-length dei nostri da sempre apprezzatissimi Sühnopfer di Ardraos, è una novella, orgogliosa celebrazione di tutto ciò che riguarda gli avi e ch’è passato – di tutto il testardo, fiero e bruciante sentimento d’inadeguatezza nei confronti di un mondo attuale a cui non si appartiene più di quanto non si appartenga ad un orrido incubo, ovviamente recepito al meglio dai vostri affezionati esiliati del banale circostante reale che, da questo avamposto di strambezza chiamato Pagan Storm Webzine, vi mandano inquietanti lettere scarlatte d’aggiornamento sul mondo altro ogni giorno. Lo accompagnano a seguire, come anticipato, le altre due uscite dell’ultimo mese inscaffalate dall’etichetta d’Oltralpe provenienti da quelle sfere, che torna finalmente a far faville su questi schermi, più un inaspettato ma nondimeno mortifero intruso a dire la sua con vigore là in mezzo…

 

 

Lo sguardo regale al passato di Ardraos continua ad essere la più gloriosa, barocca e trionfale dichiarazione di amore nei confronti di un mondo perduto in apparenza, ma saldissimo nei cuori come nelle azioni e nella mente di coloro i quali lo vivono senza possibilità di scelta. Un inno più che mai variegatissimo di registri, sebbene in un contesto d’incrollabile fede nel proprio panorama di riferimento e dunque in una cornice nondimeno salda come la dimensione ritmica regalataci, offre evoluzioni se possibile ancor più funamboliche di quelle godute nei precedenti “Offertoire” ed “Hic Regnant Borbonii Manes”, in quello che a tratti sembra un punto d’incontro tra la maggiore apertura del secondo disco e l’efferata chiusura a maglie strette e squisita complicazione del terzo. Le ambientazioni si fanno più vivide e cavalleresche piuttosto che spettrali, chitarre come un’orchestra e voci come lo quillare spietato di fanfare, ma la qualità e la visione non possono cambiare se non nel superamento di loro stesse. Più che di del mero Melodic Black Metal à la française, sicuramente nonché totalmente senza rivali, qui si parla di una suprema manifestazione di devozione fattasi musica.”

“L’ars regia evolve: dal nigredo la formula alchemica trasmuta il liquame putrescente nel più regale dei metalli, e un sentore di maestosità e orgoglio regale gonfiano i sette brani laddove prima erano solo bagliori nell’oscurità. Le rincorse lugubri e sanguigne di “Hic Regnant Borbonii Manes” definivano e per certi versi sublimavano nel 2019 uno stile che i Sühnopfer hanno raggiunto estremizzando e arricchendo di volta in volta il proprio arsenale; ciò che fa con classe abbagliante Ardraos nel nuovo “Nous Sommes D’Hier” è invece veicolare l’intricata costruzione polistrumentale espandendo diversi aspetti che nel suo predecessore erano lasciati in ombra, intessendo di ancor più filamenti aurei la fitta trama compositiva. Il valore del progetto francese è insomma ormai fuori discussione: se avete fatto vostra l’uscita precedente, “Nous Sommes D’Hier” ne è un prosieguo tanto naturale quanto soprendente, complementare e imperdibile.”

Nuova istanza medievale targata Sühnopfer che con qualche semplice ritocco al proprio comparto melodico ci presentano un prodotto incredibilmente solido e di qualità. Il nuovo “Nous Sommes D’Hier” è in particolare contraddistinto da calde arie medievaleggianti che accompagnano una componente Black Metal la quale al contrario appare sempre gelida, grezza e tagliente. L’aspetto cosiddetto raw o comunque intransigente che dal punto zero caratterizza i Sühnopfer è ancora una volta il principale punto di forza di questo disco, e forse lo è proprio in particolare all’interno di questo lavoro dove riffing e vocalismi vanno a raggiungere nuovi apici qualitativi che altre band che provano a fare lo stesso tipo di musica sembrano non riuscire a raggiungere mai. Fate quindi finta di non aver visto l’artwork e fiondatevi ad ascoltare “Nous Sommes D’Hier” perché la creatura di Ardraos è qualcosa di seriamente unico nel suo genere.”

“Le sale degli antichi manieri francesi tornano a riempirsi dei fiumi di note spremute fuori dalle sapienti mani di lord Ardraos, ormai giunto ad un livello di musicianship e qualità complessiva della proposta tale da far sinceramente dubitare che dietro al monicker Sühnopfer si possa nascondere lui e lui soltanto. Il bombardamento a tappeto operato dal comparto strumentale porta sia devastazione e disorientamento di fronte a giri oltremodo intricati, sia un senso d’incrollabile ed onnicomprensivo, barocco ordine nel bel mezzo del caos dato proprio dall’esecuzione inappuntabile del Nostro, cui si deve lo spirito energizzante ed uplifting di molti dei saliscendi sul manico della chitarra componenti i sette brani in scaletta (inclusa ed inescludibile la rivisitazione conclusiva di “Le Bal Des Laze”). Ne esce quasi un’ora di adrenalina veicolata non da banali trucchetti ma dal solo sapere mettere insieme il guitar-work di gran lunga migliore della scena con una sensibilità per il tempo che fu dai pochissimi eguali.”

Se non è Debemur Morti è Ván, no? E difatti è l’etichetta tedesca con i suoi connazionali Sulphur Aeon, nel nuovo “Seven Crowns And Seven Seals” spostatisi di baricentro più verso territori Black Metal alle nostre pagine afferenti. Non solo: ribadita tutta la granitica qualità dei precedenti lavori, il loro personale mix stilistico regala oggi una nuova sensibilità atmosferica e una nuova ariosità che Caldix ed Ordog ci descrivono così:

Seven Crowns And Seven Seals” dei Sulphur Aeon è un vortice oscuro e malinconico che trova forma grazie ad un eccellente connubio tra Black e Death Metal, per loro nient’altro che diverse facce della stessa estrema medaglia le quali, tra up-tempo e momenti più melmosi, vanno a materializzare un disco di assoluta qualità. Da non particolare conoscitore della band -e questo album è sicuramente un pretesto per andare a recuperare il resto- non so quanto la figura di Michael Zech (Secrets Of The Moon, e non a caso, tra gli altri) come produttore, collaboratore artistico e persino ospite in studio possa aver influito sul risultato finale, ma l’intesa che si genera tra ambientazioni e melodie di stampo cosmico con la componente musicale più serrata e monolotica è a tratti abbagliante; in particolare in brani come “The Yearning Abyss Devours Us” oppure la title-track che finiscono per essere esempio lampante di come questa collaborazione sia un totale successo che non deve assolutamente passare inosservato.”

“Non si tratta purtroppo di un evento così comune, ma in ogni caso fa sempre piacere quando una nuova sensazione da poco emersa dall’underground dimostra di meritare tutto il successo arrivatogli addosso. La strada imboccata un lustro addietro con la firma per Ván e l’ottimo full-length precedente danno i loro frutti aprendo le spire dell’originario Death Metal sporcato di nero e soffocante del gruppo lasciandovi oggi spirare in mezzo sempre maggiore ritualismo tanto concettuale quanto sonoro. Aumenta così la melodia ma non certo una scontata linearità, in quanto i brani rimangono massicci ed elaborati in modo da rendere credibili le invocazioni al pantheon lovecraftiano; ora, però, con arabeschi delle sei corde sempre più pronunciati ed una crescente dimestichezza con le clean vocals, con sezioni come quella che conclude la traccia omonima a toccare picchi drammatici semplicemente inediti, facendoci sentire piccoli e miseri alla stregua di particelle di materia astrale di fronte a dei musicisti ormai al massimo delle loro capacità.”

Si torna invece alla corte dell’etichetta francese con gli Slidhr, trio ormai internazionalmente sospeso tra l’Irlanda del mastermind Joseph Deegan (quest’anno già ascoltato su “The Malign Covenant”), l’Islanda del batterista di Wormlust e Sinmara, e persino la Germania del nuovo bassista preso in prestito dai Nocte Obducta. Il risultato lo si apprezza in “White Hart!”, nuovo centro della band dopo il breakthrough “The Futile Fires Of Man” già apprezzato nel 2018.

Muscolare, selvaggio, asfissiante – il Black Metal che gli Slidhr scagliano come arma di sommossa nei confronti di un mondo che in un modo o nell’altro sembra star loro un po’ stretto è aggressivo e ferino, mosso da scelte apparentemente più istintive che ragionate ma sempre e comunque destinate ad un unico fine: rendere più copioso quel continuo travaso di bile da reazionari a tutti costi, in un sound il quale, pur senza spiccare affatto per personalità, può far venire alla mente per motivazioni disparate un compendio d’intransigenza fra la ribellione Craft, le cupe nubi della scena islandese e persino le terrificanti scudisciate dei più lineari Morbid Angel. La sincerità con cui gli strumenti del Death Metal vengono qua e là sfruttati -mai vi è autoreferenziale bestialità o sterili tecnicismi- rendono “White Hart!” un disco forse meno strutturato e vario di “The Futile Fires Of Man”, ma estremamente situazionale, che può difatti sia sicuramente rapire e catturare chi è già alla ricerca di un certo tipo di suono, così come potrebbe riproporsi un domani come interessante snodo nell’evoluzione del progetto.”

Ancora di Debemur si parla finendo con gli svizzeri Taubrą, dotati di pedigree Aara, Grusig, Chotzä e Ghörnt nonché giunti al debutto su full-length mediante l’interessante e criptico “Therizo”. L’occulto ed il culto dei morti raggiungono qui adorazione esplicita e dunque ci prestano anche la giusta, eloquente chiusura del cerchio nel discorso aperto nell’introduzione dell’articolo che state leggendo. Ce ne parla tuttavia molto meglio di così il nostro Ordog

“Alla luce della direzione imboccata dal loro progetto principale Aara, non stupisce che l’iperproduttivo mastermind B. e l’ubiquo scudiero J. abbiano sentito l’esigenza di scrollarsi un po’ di dosso armonizzazioni ed altri ammennicoli per ripartire dalle basi, dallo scheletro di quelle stesse composizioni non dissimilmente dal debutto che fu nel 2019. L’agile Black Metal che divampa nel corso dei quaranta minuti di “Therizo” ha pertanto una valenza quasi terapeutica per chi lo suona come per chi lo ascolta, essendo estremamente diretto e fruibile nei suoi ritmi serrati e tuttavia mai buttato lì con la voglia soltanto di aggiungere un altro disco al proprio CV già bello folto. Le centellinate melodie, anziché viaggiare parallele ai brani, ne sono parte integrante e compattano alla perfezione il muro chitarristico messo a dura prova dal triggering davvero esagerato della batteria (probabilmente lasciata con lo stesso settaggio usato per i più cicciotti Ghörnt): tocca ora ai Taubrą astenersi dal diventare anch’essi una catena di montaggio per sciatti lavori in serie.”

Considerata l’imprevista flemma e calma di novembre nel regalarci, ad oggi almeno, contendenti di autentico valore a tutti gli agguerriti autori di quelli che, arrivati a questo punto del 2023, iniziano a profilarsi come i sicuri migliori dischi dell’annata, e con lo sguardo maggiormente puntato verso il carichissimo dicembre per simili ragioni, per oggi ci si ferma qui. O quasi. Perché s’è vero che non siamo completamente sprovvisti di ‘uscite minori’ o suggerimenti ulteriori nemmeno questa volta, è altrettanto vero che rispetto all’inedita e lunghissima conclusione del mese scorso ci terremo infatti molto più brevi con un solo, unico e singolo consiglio che tuttavia non deve assolutamente passare inosservato, soprattutto non per le modalità deliziosamente antiquate con cui è stato curato e pubblicato: il primo livre, per chiamarlo col suo nome, nonché nuovo EP intitolato “Antîoche” dei Peste Noire – che sfortunatamente non possiamo farvi ascoltare nella sua ventina di minuti di unico brano che lo compone e che prelude ad un continuo di discorso musicale e concettuale si spera imminente. Introvabile, dicevamo (e chi ha avuto modo di farlo suo avrà anche capito il perché), alla libera prova sui consueti canali di distribuzione digitale, eccezione-non-proprio-eccezione fatta per un brevissimo teaser di anticipazione pubblicato qui (un po’ come avveniva all’inizio degli anni ’00, in quella strana presenza-assenza di internet, ricordate?), e dunque esclusivamente disponibile all’acquisto presso la fonte. Ma con certe band le regole del gioco le conoscete già da voi, giusto?

 

Matteo “Theo” Damiani

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