Mörk Gryning – “Maelstrom Chaos” (2001)

Artist: Mörk Gryning
Title: Maelstrom Chaos
Label: No Fashion Records
Year: 2001
Genre: Melodic Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “A Perception Of The Ancient”
2. “Templars”
3. “Ont Blod”
4. “The Menace”
5. “Maelstrom Chaos”
6. “My Friends”
7. “The Darkness Within”
8. “Bloodspring Mirage”
9. “Forever Unhallowed Preponderance”
10. “Dödens Skald”

I Mörk Gryning sono nel 2001 una band alla continua, se non persino al retrospettivo picco, della ricerca di nuove soluzioni per poter esprimere al meglio e con tutta la diversità di cui si sarebbero dimostrati capaci la loro identità comunque già dagli esordi in realtà fortissima: dapprima, con “Tusen År Har Gått” nel 1995, aprendo una personale breccia spazio-temporale nell’ancora nascente ma da subito fin troppo compatto fenomeno stilistico del Black Metal melodico di stampo svedese, creando ed incastonando nella corona di un genere un vero gioiello che, a distanza di venticinque anni superati, porta ancora con sé la sua distinta atmosfera acherontica impossibile da trovare in opere coeve dal pur similare suono. Immediatamente dopo, ribaltando le loro stesse carte in tavola e registrando l’estremamente più compatta, incendiaria sorpresa “Return Fire”; ma forse è soprattutto sul finire del 2000 che gli svedesi trovano quella che, a distanza di venti anni dalla sua pubblicazione, resta la loro incarnazione artistica più trasversalmente riuscita ed unica, dopo una pausa di quasi tre anni necessaria per ricaricare una creatività altrimenti in presumibile spegnimento e che in altri colleghi si dimostrò difatti arenatasi proprio sulla medesima traiettoria di mix tra Death, Thrash ed asperità gelide e diaboliche del Black Metal relegate soltanto a cornice (basti pensare ai Sacramentum del vicinissimo “The Coming Of Chaos”) – ovverosia, e del resto non sorprendentemente, quando proprio nei Grieghallen con Pytten il trio si dimostra al contrario ricettivo come nessun altro sulle stesse coordinate nazionali di una sensibilità sinfonica che lega il finire degli anni ‘90 a quella che sarebbe stata la più apprezzata deriva del genere sull’iniziare del nuovo millennio, apprestandosi a registrare il suo terzo full-length “Maelstrom Chaos”.

Il logo della band

Dagli inconfondibili e necessari Unisound Studios, casa inevitabile del proprio debutto, agli altrettanto distintivi Sunlight (solitamente e comprensibilmente associati al Death Metal scandinavo per la firma di Skogskberg, ma in realtà già importantissimi per i suoni non a caso liminali di Grotesque e dei primi Necrophobic, ma perfino di “Neonism” dei Solefald nel 1999 nonché dei debuttanti Thyrfing e Månegarm nel 1998, rispettivamente con l’omonimo e “Nordstjärnans Tidsålder”) per le irripetute chiusure ritmiche di natura Thrash del suo secondo album, un terzetto di Stoccolma giunto alla creazione del suo terzo capitolo e presumibilmente stregato dalle possibilità apertesi sia fin dall’opener dei Dimmu Borgir in “Spiritual Black Dimensions” (non solo le nuove ampiezze sinfoniche, per l’inedita sensibilità tastieristica di Mustis, ma di forse ancor più cruciale armonia melodica a tutto tondo negli arrangiamenti vocali del nuovo volto Vortex dopo le sublimi prove generali negli Arcturus de “La Masquerade Infernale” e più tardi nei Borknagar di “Quintessence”) che dalla scrittura e realizzazione ancor più verosimile in senso e suono orchestrale riprodotto degli Obtained Enslavement del clamoroso “Soulblight” (1998), scelgono di tornare in rotta verso i candelabri tinti di nero nelle cave di Pytten per ricreare la loro versione di un lemma che nel giro di una manciata di anni soltanto stava già stravolgendo il Black Metal novantiano -a conti fatti- traghettandolo verso il nuovo millennio.

La band

Così, presi gli svolazzi algidi, apocalittici ed oscuri del poi troppo tardivamente celebrato “Tusen År Har Gått” divenuti nei cinque anni dalla sua apparizione ormai tipici di un tratto tutto nazionale, “Maelstrom Chaos” li reinventa più ruvidi e con un sapore maggiormente analogico e dinamico, seguendo al contempo un’ispirazione inaspettatamente sia più barocca che incisiva, forte di un gusto sinfonico semplicemente squisito che trasuda tutto l’ascolto di musica classica da parte del compositore primo del gruppo senza il filtro del Metal estremo. La scrittura complessiva, spesso rotonda e circolare (come già fu nel precedente diretto “Unleash The Beast”), altre volte più spigolosa e zigzagante di quest’ultimo tanto quanto gli inserimenti delle suggestioni inserite come soffi di tastiere ed archi, ottoni campionati, e di tutto un vento dalla magniloquente forza in “Templars”, finiscono infatti per essere ben lontane dall’uso dei tratti sinfonici dal sapore medievale e magico -più o meno scuro a seconda dei casi- dei crepuscoli Emperor (comunque avvicinati in “Anthemns To The Welkin At Dusk” nella complessità di giri chitarristici, ed al contempo allontanati per la mancanza di linearità melodica del secondo parto di Samoth ed Ihsahn) o dei ben più sfacciati Dimmu Borgir, per non parlare degli ancor più distanti sapori gotici da film dell’orrore dei Cradle Of Filth (a quel punto, con “Midian”, probabilmente esacerbati al limite delle purpuree possibilità), bensì più classici nel senso stilistico e dirompente del termine, anticipando proprio con questi un modo incredibilmente moderno d’inserire il sinfonico nel Black Metal che sarebbe stato un carattere distintivo di molti omaggiati interpreti prossimi a raccogliere grande fama durante il decennio, plasmandone il volto stilistico. I Mörk Gryning, con simili intenti, arrivano persino a citare la più celebre sezione dell’incompiuto (ironicamente, volendo cercare il parallelo con la storia della band) epitaffio di Mozart, la Messa di Requiem in Re minore K 626, avvicinandosi così concettualmente, e per assurdo, più ai Marduk di “Glorification Of The Black God” che non agli autori coevi o pregressi di Metal estremo e sinfonico, peraltro velatamente sfidando proprio la band di Morgan Håkansson (considerata ancora la presenza di Legion al microfono in quel momento) nei risultati dell’accelerazione metrica fulminea della stessa, fluidissima e favolosa “The Menace” (perfino anticipando in parte, curiosamente, alcuni tratti non solo dei Funeral Mist di Mortuus in “Salvation”, ma della scrittura ritmica della stessa celebre band dell’Östergötland con quello che sarà il suo nuovo cantante in tre anni, a partire da “Plague Angel” nel 2004).
Tra melodie fulminanti e ritmi defibrillanti, finalizzate una volta e per tutte ad esempio nella speditiva e punitiva “Ont Blod” (in cui si sottolinea anche la grandezza metrica nell’uso dello svedese rispetto all’inglese), in mezzo a riff strambi e lampi di genio atmosferico (il rebus della seghettata title-track, trionfante in minore verso abissi infernali), in congiunzione con la grazia acustica svedese (l’interludio cinematografico da groppo in gola “Bloodspring Mirage”) e assoli chitarristici armonizzati maideniani (stupefacenti quelli lunghissimi di “Templars” e “The Menace”) che prendono gli slanci del debutto e li inseriscono in una cornice di ancor più grande spessore artistico, in un tripudio di demonietti ghignanti che tirano, mordono e strappano violenti ma volatili e snelli, al contempo solidi e robusti come mattoni, Goth Gorgon, Draakh Kimera ed Avatar dispongono con naturalezza una pletora di elementi nella costruzione complessiva di un disco tanto melodico nel suo mix di aggressione, capacità tecniche e velocità mutevoli, quanto di difficile assimilazione iniziale proprio per la commistione tanto varia e dai correlati repentini cambi di umore che lo compongono.
Ma quella magia che sembra sfuggire agli svedesi quasi per una natura estetica ora troppo efferata (non solo “The Menace” e “Maelstrom Chaos”, ma soprattutto “Forever Unhallowed Preponderance”), ora maggiormente introspettiva ed esistenzialista (l’anomalissima, caracollantemente doomy e quasi cantautoriale, dimessa ed in ciò ampiamente avanguardistica “My Friends”), rispetto agli adocchiati paralleli norvegesi, esce allo scoperto in un tripudio di nera stregoneria grottesca, quasi sardonica, anticipata nell’epica “The Darkness Within” e finalmente incanalata alla perfezione nella musica della strepitosa chiusura ad esposizione “Dödens Skald” che, con le sue rincorse di follia, disintegra ogni paragone diretto ed evoluzione futura: ad oggi, con i suoi cori ed in barba a qualunque inaspettato come-back, il pezzo più grandioso mai scritto dai Mörk Gryning e forse persino chiave di lettura ultima sia di una creatura in realtà strana quanto poche, che del suo operato mai più replicato con la grandezza raggiunta ad inizio millennio in “Maelstrom Chaos”.

Sarà tuttavia proprio quella continua ed estrema ridefinizione di sé nell’improvvisa virata di “Pieces Of Primal Expressionism”, totalmente elettronica (con l’esclusione del movimento classico incluso nella seconda metà di “The Cradle Of Civilization”) se non direttamente cibernetica e potenzialmente influenzata dal contatto diretto sia con l’omonimo Thorns uscito a qualche giorno di distanza da “Maelstrom Chaos”, che toglierà il trio di Stoccolma dalla cartina degli imprescindibili cantori di morte del Black Metal svedese dal sangue marcio per via delle sue contaminazioni tendenti al Groove (poi, per assurdo, riprese con forza proprio in uno sbandierato ritorno allo stile del debut, in “Hinsides Vrede” soltanto l’anno scorso) e quelle più facilmente catchy del Melodic Death Metal in voga crescente oltreoceano all’inizio del millennio; un titolo che ad ogni modo parlerà, nel 2003, di una tendenza ai contrasti espressionistici e relativi strappi discografici dei Mörk Gryning già esistente, peraltro esattamente quella che li porterà a bruciarsi e spegnersi nella ripetizione stanca dell’omonimo album (sulla carta e per intenti perfino riassuntivo) completato di fretta e furia soltanto per la sua sfortunata pubblicazione a decisione di sciogliere la band già presa, nonché ad interesse ormai senza misteri totalmente mancante sia nel progetto (sicuramente dovuto anche alla sfortunata mancanza di promozione di una No Fashion Records ormai senza visione e troppo impegnata a morire in cause legali interne, tra il tradito fondatore Tomas Nyqvist e l’apparentemente disinteressata casa di distribuzione, la socia House Of Kicks) che nella musica fino a quel punto scritta, evoluta e sperimentata.
Ma “Maelstrom Chaos”, ben più che il disco o l’esercizio di diversità, l’esperimento o la parentesi sinfonica autoconclusiva dei suoi creatori, al netto contrario, si conserva a distanza di due decenni dalla sua concezione non solo quale un lavoro di enorme, longeva, previdente ed intoccata bellezza in sé, bensì l’inestinguibile, sacro fuoco vestale in cui arde fino al consumo totale una visione di rinnovamento spinta al suo eccesso formale e fin troppo comune nel periodo; persino, con ciò, una testimonianza ben più riassuntiva rispetto all’omonimo lavoro di quelle che sono state tutte -o quantomeno le migliori e più sentite- capacità ed inclinazioni dei Mörk Gryning, qui condensate e finemente espanse in dieci tracce di musica dalla classe, convinzione cieca e bontà mai più iterata dai suoi autori: oggi, ancor più rilevantemente, forse anche un irriconosciuto (sebbene ancora timido) punto di sviluppo per un modo intero di coniugare Black Metal e sinfonia, nel 2001 totalmente alieno ai colleghi geografici, e che ciò malgrado darà i suoi più preziosi e maturi frutti nelle carriere di altri piuttosto che in quella di chi vi mise la firma, sacrificata presto sull’altare di un’innovazione ostentata che inizia a guardare drammaticamente troppo fuori e troppo poco dentro di sé.

Matteo “Theo” Damiani

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