Hell Militia – “Hollow Void” (2022)

Artist: Hell Militia
Title: Hollow Void
Label: Season Of Mist Records
Year: 2022
Genre: Black Metal
Country: Francia

Tracklist:
1. “Lifeless Light”
2. “Genesis Undone”
3. “Dust Of Time”
4. “Within The Maze”
5. “Hollow Void”
6. “The Highest Fall”
7. “Kingdoms Scorched”
8. “Veneration”
9. “Corruption Rejoice”

Morte cellulare traumatica in stadio avanzato non programmata dall’organismo, altresì detta necrosi. Un culmine irreversibile, una anomalia che non può più essere corretta in alcun modo. Un’alterazione irrimediabile, nucleare, che è la forma tangibile, il manifesto visibile in altre parole, di ciò che psicologicamente avviene nella mente detta necrofila al suo livello più progredito. Qualcosa che va molto oltre la perversione sessuale più comunemente nota e che, nella stragrande maggioranza dei più generali e riscontrabili casi, con la libido della Todestrieb teorizzata da Freud ha in realtà davvero poco -se non nulla- a che spartire. Per dirla piuttosto con le parole del tedesco Erich Fromm, studioso della necrofilia quale deviazione non di natura strettamente sessuale ma congenita almeno in parte all’individuo in seno a una paura che è d’aspetto vitale, la psiche necrofila è semanticamente quella nemica della vita; la sua antitesi, l’attrazione verso uno stato di pre-vita che è assenza di vita – verso le profondità abissali di oceani e anfratti, verso caverne e mancanza di luce, la mancanza di vista (si pensi ai troll antagonisti del “Peer Gynt”). Un cieco, metaforicamente e mitologicamente parlando, un narcisista patologico attratto da tutto ciò che si ribella alla vita, alla luce, nella spinta di tornare nell’oscurità naturale del grembo materno – al passato, all’esistenza inorganica o animale. È la paura del futuro: la brama cronica di certezza. Ma siccome l’esistenza è raramente prevedibile e largamente incerta, al contrario della sua speculare controparte, le portrait du Diable, per renderla controllabile e disciplinata occorre rovesciarla proprio in quel suo contrario che è l’unica assoluta certezza della vita stessa.

Il logo della band

Le figure storpie e accecate da una luce pallida, priva di linfa, bendate o vedove d’occhi che ornano del resto la stralunata e squisita copertina di “Hollow Void” (ad opera del sempre visionario Manuel Tinnemans), nuovo e quarto full-length dei francesi Hell Militia, sembrano indicare esattamente questo nelle loro rovesciate icone di creazione e santità: una necrosi non reversibile, come quella di una band che torna dopo dieci anni di oblio grandemente diversa dal passato. Non tanto in termini estetici, ove l’ortodossia stilistica ed essenziale di un Black Metal persino sedicente necrotico resta il cardine attorno a cui far girare le nuove possibilità di una line-up mutata e di una decade di pausa di riflessione dopo una serie di uscite non certo esattamente imperdibili. Piuttosto, nella revisione netta delle sue suggestioni religiose: dai flirt d’infiltrazione à la Funeral Mist che serpeggiano in ogni precedente capitolo come -di nuovo- il rovesciamento di un paradigma (dall’eloquente “Canonisation Of The Foul Spirit” all’ultimo “Jacob’s Ladder”), impiegati più come una pure interessante versione di blasfema critica esplicita alla tirannia monoteistica che come spunto di riflessione, di contro alla forza che queste esercitano come sottile metafora motivazionale nell’intero panorama Orthodox francese d’inizio anni 2000. Una fede, a suo modo: la fede incrollabile nel disordine, in giorni amari, nella morte, nel disprezzo per la vita canonizzato nel degrado urbano, nel retrogusto tossico che questa lascia come omaggio in quello che la band definisce il suo ultimo cocktail di scorie.
Ma è chiaro anche che un gruppo che si definisce sotto lo stendardo di Necro Black Metal, al netto di una convinzione pressoché secolare, non può mai andarci troppo per il sottile: “Hollow Void”, scorporato di una certa grazia e poliedricità, una certa varietà che sembrava fino al 2012 essere nemico giurato degli Hell Militia, è un disco che va sempre dritto al punto evitando gli eccessivi giri di parole come quelli strumentistici e d’arrangiamento. E proprio nella sua anima distruttiva e necrofila, anche per l’enorme merito di un nuovo vocalist eccezionalmente versato nella parte quale l’RSDX (all’anagrafe Rogier Droog) ormai da nove anni nella band ma giunto solo qui alla sua prima prova in studio con gli Hell Militia, resta semplicemente irresistibile fin dalle prime battute perché dotato di una carica assolutamente travolgente; di una pacca annichilente che sposta indietro la sedia dell’ascoltatore in un trionfo di ultraviolenza orchestrata con la migliore delle sintassi musical-poetiche di distruzione e nerezza opprimente – eppure, anche uno che diventa sempre più interessante e gratificante ad ogni nuovo ascolto, sprovvisto del benché minimo calo di tensione.

La band

Una sparachiodi arrugginiti, malferma ma con la precisione d’un chirurgo dell’orrore, con il sadismo patologico di un French Psycho votato al nero suono al posto che ai New Order, a Phil Collins e Robert Palmer, che disegna con l’abrasività di una lama a specchio storie di paura e disordine nella creazione, di anomalie nella genesi e di orde di ratti che rosicchiano le membra. Tra la ferrea marzialità Black ‘N’ Roll dei Disiplin dell’omonimo debutto, lo sdegnato vomito purulento dei Craft di “Fuck The Universe” e la scuola votata all’ortodossia venefica francese degli Antaeus più affilati (“Blood Libels”, ovviamente, e non per caso nome con cui i cinque di Parigi hanno sempre condiviso -e continuano a farlo, nelle sei corde acuminate del nuovo chitarrista Saroth– svariati membri ed ex-membri) e degli Aosoth meno atmosferici (come sopra), tutti gli anfratti più caustici di “Hollow Void” mostrano, al loro meglio, gli Hell Militia quali novelli hooligan del terrore e ultrà della disperazione, della disgregazione della carne: finalmente manifestazione acustica, la rappresentazione in forma aurale di una milizia armata che genera ed ordisce il panico dagli e negli inferi.
Attorno al nucleo fondativo nelle B.C. Rich di Arkdaemon e nei timpani e piatti stuprati da Dave Terror, il nuovo sangue innestato come un siero nella formazione prende le disarmonie sperimentate in “Jacob’s Ladder” e riesce a generare momenti d’inedita inventiva e catchiness nella vicinanza espressiva alla marcia malinconia dei Deathspell Omega di “Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice” (si pensi agli andazzi di “The Highest Fall” o alla pausa venerea di “Genesis Undone”, con le sue dissonanze che scavano fondali emotivi nuovissimi per gli Hell Militia), o addirittura ai più recenti The Great Old Ones (come accade nell’inizio di della title-track, che ricorda da vicino quello di “Awakening” dei lovecraftiani di Bordeaux). Accanto a ciò, “Veneration”, “Lifeless Light” ed “Hollow Void” azzannano senza un briciolo di compassione, inumane e profondamente anti-umane come i Darkthrone del famigerato periodo di mezzo (il poker ricco di perle che porta da “Ravishing Grimness” a “Sardonic Wrath”, dal 1999 al 2004) non sono probabilmente mai stati, traendone il meglio soprattutto dai gustosissimi rallentamenti e grondando autentica nerezza ed ostilità, rancore, malevolenza, astio e livore in parti eguali e compenetranti.
Eppure, forse, nonostante la ricorrenza di break eccezionali e galvanizzanti come quello di “Dust Of Time” e ripartenze in d-beat che sono mannaie (si pensi al cambio di tempo in “Kingdoms Scorched” o alla “Within The Maze” dopo quel sussurro inspirato e spaventoso, in cui sembra nei polmoni affluisca fiele anziché aria sana), sebbene ogni canzone di “Hollow Void” sia vale a dire un piccolo grande trionfo di per sé ed in sé, nulla colpisce quanto la chiusura che i nostri trovano in un episodio come la strepitosa “Corruption Rejoice”: la dimostrazione più palese di come l’approccio fondamentalmente monocromatico degli Hell Militia rimanga costantemente interessante perché sempre ricco di diverse nuance, di diverse e sanguinolente visioni allucinate sulla collina del Golgota, tra grigiore e pallor mortis in un nimbo di siringhe usate. Nel sapore del disgusto dove la chiamata della morte risuona ed ordina di soccombere al vuoto, alla luce che consuma ogni luce così come i cinque francesi anneriscono il brillare di mille mondi e diventano gli occhi tramite cui assistere impotenti alla putrefazione; la bocca tramite la quale sussurrare sporche preghiere alla fine di tutto questo; il freddo senza vita inciso sul volto dell’uomo.

Gli Hell Militia confezionano insomma in “Hollow Void” il suono di ciò che accade quando si è persa ogni possibilità, ogni speranza, ogni vista: un disco nerissimo, il loro album più riuscito di sempre -e di stacco da tutti gli altri- nonché quello che qualcuno potrebbe correttamente definire uno dei migliori lavori Moonfog mai usciti per Moonfog tra il 1999 ed il 2005, sebbene sottilmente rivisto tramite ogni attualità del presente musicale storico di vent’anni più tardo e un milieu tutto francese che tradisce una forte appartenenza anche attitudinale e di visione. Sporchissima e chirurgica al contempo: un cumulo di detriti fatti di vetro e metalli ossidati risucchiato all’interno di un aspiratore e lasciato a girare rumoroso come spiriti disorientati, come la creazione scelta di Dio che striscia non dissimile a vermi. E tuttavia, pertanto, qualcosa di molto di più di un rimedio all’ormai cronica assenza di nuovi Disiplin, “Plaguewielder” ed “Hate Them” nel mondo, di un bagno di altisonanti nomi e paragoni validi solo a dare una vaga idea ma che lasciano in fondo il tempo che trovano: è l’odio per il malfunzionamento insito in una droga strana che chiamiamo vita; il forte braccio dell’illegalità sonora, del fuorilegge, di un desperado del rumore bianco virato al corvino in un meccanismo che l’uomo moderno conosce fin troppo bene. È il suono corrispondente all’immagine di una pistola estratta di fronte a una preghiera. Il suono di una impenitente necrosi inarrestabile. Del più vuoto del vuoto. In due parole e qualche selezionato aggettivo: splendido, immenso, irremovibile vuoto cavo.

Matteo “Theo” Damiani

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