Finntroll – “Midnattens Widunder” (1999)

Artist: Finntroll
Title: Midnattens Widunder
Label: Spikefarm Records
Year: 1999
Genre: Folk/Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Intro”
2. “Svartberg”
3. “Rivfader”
4. “Vätteanda”
5. “Bastuvisan”
6. “Blodnatt”
7. “Midnattens Widunder”
8. “Segersång”
9. “Svampfest”

Tutte le grandi storie, si sa, nascono sempre dal molto piccolo. Da semi buttati nel terreno magari anche un po’ per gioco, o solamente per il troppo tempo libero a disposizione, i quali tuttavia finiscono col sorprendere per primo chi in quel metafisico luogo creativo li aveva piantati divenendo, mutando e assumendo dimensioni e connotati imprevedibili. Orbene, tenendo conto che quella dei Finntroll rappresenta senza dubbio alcuno una delle saghe più fulgide della musica dura tanto sul piano umano quanto su quello artistico, quei semi per loro non potevano che essere i tre brani effettivi uditisi sul demo “Rivfader”: nastro che, oltre ad anticipare con inquietante puntualità l’eterna storia d’amore tra la tribù di Helsinki e la malasorte accanitasi in particolare sui due membri fondatori Katla e Somnium, è bastato ad un tipaccio noto come Sami Tenetz per scritturarne gli autori sotto la sua piccola Spikefarm Records, sussidiaria dell’oggi rigettata Spinefarm deputata a tutto ciò che la casa madre ritenesse oltremodo difficile ed ardimentoso per il rilascio a troppo alti livelli.
Seppure con ogni probabilità facilitato dal breve stint dello stesso Somnium nei Thy Serpent a metà anni Novanta, quando il compianto chitarrista sentito di lì a pochissimo con Barathrum ed Impaled Nazarene non aveva nemmeno vent’anni, l’ingresso dei Finntroll nella piccola etichetta è il segnale che le cose si stanno facendo serie: sia per il proprietario, che dopo un blando paio di pubblicazioni sulla falsariga del goticheggiante fenomeno Sentenced ha finalmente in mano qualcosa di veramente avanguardistico; sia per una band che ora ha bisogno di una line-up completa affinché il potenziale di quei venti scalcinati minuti trovi sfogo. I nomi di battaglia sono quelli che conosciamo tutti: alla sezione ritmica ci pensano i Tundra e Beast Dominator, entrambi futuri Shape Of Despair, la seconda chitarra viene imbracciata all’ultimo momento dallo Skrymer (qui battezzatosi Örmy) subito coinvolto pure nel lato figurativo della faccenda, mentre dietro alle tastiere si piazza senza far troppo rumore un ometto già impegnato con un altro progetto musicale alquanto promettente, e che qualunque estimatore delle prodezze sonore regalate al mondo dalla Finlandia conoscerà col nickname Trollhorn.

Il logo della band

Nonostante le agguerrite premesse, uno dei tanti motivi per i quali “Midnattens Widunder” ha resistito alla prova del tempo conservando una freschezza ed un fascino talvolta anche superiori a quelli di altri episodi della medesima discografia è il suo carattere abbastanza introverso, lontano dagli eccessi tanto in luce quanto in ombra dei due masterpiece venuti dopo e ravvisabile solo nell’altrettanto spartano ed allo stesso tempo strepitoso “Ur Jordens Djup”. Tanto per iniziare, e questo senza che la durata di un platter debba per forza definirne l’essenza, i soli venticinque minuti di scaletta propriamente detta più cinque riservati ad intro ed outro suggeriscono una certa diffidenza da un lato del tutto comprensibile ed anzi encomiabile per degli esordienti, e dall’altro utile anche a rafforzare il concept suggerito in copertina e incentrato su di un branco di troll di montagna intenti per il momento soltanto a spiare i malcapitati viandanti a zonzo per la foresta, in attesa di scatenare effettivamente la loro sete di sangue cristiano nel giro di un paio d’anni. Lo storytelling portato avanti, poco cambia se consapevolmente o meno, dai Finntroll nell’arco di un’intera carriera acquisisce così un solidissimo fondamento, una radice inestricabile scaturita dai semi di cui sopra, con la quale la banda di predoni prende le misure senza volersi esporre troppo agli occhi giudicanti di un pubblico che ancora oggi fatica a dare il corretto significato alla catchiness di “Jaktens Tid” o “Nattfödd”; figurarsi poi quello dei tardi ma ancora serissimi Nineties, decade fondativa del metallo nero nordico in cui la dissacrante carica grottesca di un “Blodsvept” avrebbe raccolto al massimo qualche pernacchia di circostanza. Eppure, se c’è una nazione che ha dimostrato di saper portare avanti il linguaggio estremo senza temere alcuna ripercussione, questa è proprio la Finlandia dove prima gli Amorphis e poi i Children Of Bodom hanno appena fondato il loro colossale successo sull’audacia compositiva più spinta e menefreghista riguardo regole e imposizioni: una strada che pure i Finntroll avrebbero percorso di lì a pochissimo, con risultati diversi nella forma e nel successo ma analoghi nella sostanza.

La band

Di carne sul fuoco infatti ce n’è già parecchia anche in una sola mezz’ora di runtime, e la si sente sin dal primo morso grazie ad un’introduzione che -da sola- illustra appieno la rivoluzione apportata in un soffio al genere praticato dal collettivo finnico. Legato fino ad allora all’attitudine aulica, sfuggente ed isolazionista di Storm, Isengard ed Empyrium (non a caso tutti progetti dall’a dir poco ristretto organico), il Folk Metal teorizzato dai sei strumentisti si ritrova invece arricchito dalla predilizione del Trollhorn unico compositore di intro ed outro per le colonne sonore; e se coi Moonsorrow mr. Sorvali troverà modo di sfogare il suo gusto puramente cinematografico, aperto e magniloquente qui rilegato alla statuaria “Svartberg” (anch’essa concepita dal tastierista e non distantissima da quel che sarà nel 2001 un “Suden Uni”), su “Midnattens Widunder” le rapaci melodie poggiate sui tempi sostenuti della musica popolare cosiddetta Humppa sanno quasi di videogame retrò, di orda su carta o pixel, altra grande passione poi tramutata in professione dal Nostro. L’effetto, inedito nella sua orecchiabilità sebbene non ancora sfacciata come in altri esiti, lancia da praticamente subito l’ensemble nella stratosfera ma non per questo ne soffoca, né mai lo farà, il respiro creativo. Diviso in due tronconi sostanziali dall’inaspettato sfogo pressoché Black/Grind di probabilissima ispirazione Impaled Nazarene, “Bastuvisan”, inaugurazione della trilogia dedicata ai monaci Aamund e Kettil ed ai loro incontri ravvicinati coi troll delle foreste circostanti, il dipanarsi di “Midnattens Widunder” passa appunto da una prima parte ancora imbrigliata tra le ombre del folklore settentrionale ad una seconda dove finalmente la band pare uscire allo scoperto, illuminando d’istrionica maestria le proprie composizioni.
Nemmeno a dirlo, è sulle note al tempo stesso spensierate ed inquiete di una “Rivfader” rinfrescata dagli ingressi in formazione e dalla produzione aperta quanto cristallina di Tuomo Valtonen che i Finntroll esprimono infine ogni brandello della loro poetica, saltando dalle strofe concitate al sognante break acustico come ancora mai se n’erano ascoltati in un’eterna danza tra gli opposti, tra l’idioma svedese utilizzato nelle liriche dal madrelingua Katla e le keyboards dall’eco squillante e magico come un’aurora boreale nell’estremo nord finlandese. L’escapismo di quei chiaroscuri fiabeschi appare più netto ed avvolgente di brano in brano, con “Blodnatt” che è forse il punto massimo del lavoro in quanto a scrittura con il suo pregevole swing iniziale, l’accelerazione mediana ed il finale memori del coevo Black sinfonico a marchio Dimmu Borgir, ed in mezzo uno stacco dove per la prima volta si getta uno sguardo al di là del fogliame, dove creature impermeabili alla dicotomia umana di bene-male si scatenano in chiassosi e crudeli balli a base di Humppa e pianificano le prossime bravate ai danni degli odiati cristiani; e se nell’aria si respira l’high-fantasy più spinto, con l’imporsi della traccia omonima “Midnattens Widunder” si giunge allora al puro incanto costruito da un gruppo qui già maturissimo, scardinante, brillante di luce propria nello strepitoso insieme così come nelle prestazioni individuali capeggiate dal solito Trollhorn grazie ad un assalto solistico lungo appena qualche battuta, e ciononostante da consegnare alla leggenda come agli annali del settore.

Normale, a dire il vero, che l’infido stratagemma del track-by-track su di un album con in calce il marchio di garanzia Finntroll (primo o ultimo che sia) finisca col lasciare ancor più confusi, se non del tutto persi in un dedalo di superlativi atti a coprire la concreta impossibilità di categorizzare un complesso il quale, nel medesimo esordio, nasconde la minacciosa avanzata dei cordofoni alla base della dimessa “Vätteanda” accanto al carosello di fiati campionati che rendono i due minuti di “Segersång” una chiusura galvanizzante quanto rivelatoria circa molteplici sviluppi futuri. Così in fondo sono sempre stati i sei ed in seguito sette (ma nello spirito anche otto se non nove) troll discesi dalla terra dei mille laghi: mutevoli e liquidi come il continuo scorrere di un ruscello montano il cui moto perpetuo si condensa nell’annullamento del concetto di divenire, a tal punto che proprio su “Vätteanda” e sulla tellurica title-track si ode sin da quel lontano 1999 il vocione pulito, massiccio ed imperioso del Tapio Wilska prossimo e fugace vocalist nel giro di un lustro.
Pertanto, solo e soltanto nel songwriting si avranno da qui in avanti degli autentici miglioramenti, a seconda che l’obbiettivo fosse replicare se non arricchire questo affascinante mosaico di contraddizioni sonore e visive (il capolavoro di una vita “Nattfödd”) oppure concentrarsi su frammenti di esso (il parimenti felice triangolo dai vertici distanti anni luce tra loro dato alle stampe subito dopo di esso); l’essenza dei Finntroll, innovativa allora ed inattaccata adesso nonostante un logo differente ed una ridicola, irriconoscente e ottusa nomea da disco serio prima della svolta in osteria, fa invece appieno parte del DNA di questa meraviglia di mezzanotte che, dopo venticinque anni, nonostante la carica innovativa e la piccola rivoluzione da qui in atto continua a far mostra di sé con parsimonia. Ben consci i suoi autori che lasciare spazio al non percepito, al mostruoso in penombra di cui solo gli occhi famelici fanno capolino, a volte è la mossa giusta per farsi ricordare più a lungo di tutti.

Michele “Ordog” Finelli

Precedente Pagan Storm News: 19/01 - 25/01 Successivo I Concerti della Settimana: 29/01 - 04/02