Finntroll – “Blodsvept” (2013)

Artist: Finntroll
Title: Blodsvept
Label: Century Media Records
Year: 2013
Genre: Folk/Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Blodsvept”
2. “Ett Folk Förbannat”
3. “När Jättar Marschera”
4. “Mordminnen”
5. “Rösets Kung”
6. “Skövlarens Död”
7. “Skogsdotter”
8. “Häxbrygd”
9. “Två Ormar”
10. “Fanskapsfylld”
11. “Midvinterdraken”

2013 – Occhi Bianchi sul Pianeta Folk. Praticamente ad una decade precisa dall’effettivo boom detonato proprio in Finlandia e da cui, di lì in avanti, tale stilema si è di conseguenza trasformato da branca ancor più localizzata dell’universo scandinavo in fenomeno di massa dovunque riconosciuto, quel che resta del sottomondo definito -a torto o ragione- Folk Metal non ha più nulla di ciò che era stato teorizzato nei prestigiosi LP di Storm, Isengard ed altri rinomati pionieri norvegesi e non solo. Sobillato al contrario da case discografiche affrettatesi a mettersi in coda per questo lauto banchetto, e soprattutto dall’internet che ormai non è più il nemico giurato come ai tempi di Napster quanto piuttosto un forte alleato sul quale far circolare coloratissimi photoshoot e videoclip, quella che in principio era la nuova frontiera per certe sonorità e tematiche è ora svilita da soluzioni ripetute a catena di montaggio e, nel trionfo del cattivo gusto, da un senso del ridicolo abbracciato senza alcuna vergogna da formazioni intente a trincerare la loro fattuale inutilità attraverso un corredo estetico a dir poco buffonesco: ideale per irretire le platee belanti nel gioco postmoderno della risata forzata, dell’umorismo fine a sé stesso rivendicato e sbandierato con magari anche la spocchia di additare come seriosi palloni gonfiati i pochi che da questa musica chiedono altro.
In un simile pantano nel quale Trollfest e Nekrogoblikon (per non scadere nel guano di una scena italiana che qui ha forse davvero dato il suo peggio) sono innalzati a loro pari, senza che gli autori di simili proclami subiscano immediate conseguenze fisiche, persino i migliori nel settore si trovano a vacillare: Korpiklaani, Eluveitie ed Equilibrium sprofondano man mano nella mediocrità, gli Ensiferum si leccano le ferite dopo l’artistico “Unsung Heroes” inspiegabilmente cassato da più parti mentre ancor meno fortuna hanno i Turisas, il cui flop nel medesimo 2013 è un colpo tanto forte da metterli knockout in via ad oggi, apparentemente, pressoché definitiva.

Il logo della band

Quando vedi dei successori del tutto immeritevoli capitalizzare su idee, stilemi e riferimenti che tu stesso hai contribuito a codificare, allora è normale che dentro te monti un certo astio concretizzatosi in azzardati salti in avanti rispetto al panorama circostante, divenuto ai tuoi occhi un’insopportabile cloaca di copie e conseguenti banalizzazioni: lo testimoniano del resto le carriere camaleontiche (quando non spintesi fino alla crisi d’identità) di gente tipo Bathory, Darkthrone e tanti altri innovatori subito plagiati più o meno palesemente. Altrettanto e da sempre incalliti sovvertitori di simili dinamiche non scritte, i Finntroll di un decennio fa non tardano invece a mescolarsi tra le comparse salite sul carrozzone europeo di strumenti tradizionali e liriche in lingua madre, adattandosi in superfice alla demenza generale per distruggere il movimento dall’interno provando così, una volta ancora, la loro profonda estraneità ad esso. I servizi fotografici di allora fanno alzare un sopracciglio pure ai seguaci del lato più sguaiato del gruppo, presi in contropiede dal vestiario eccentrico a livelli mai visti e da quelle smorfie che gridano gimmick-band a piena voce, mentre i singoli presentati in anticipo (la “Blodsvept” poi rivelatasi title-track e “Häxbrygd”) suonano per molti blandi e sin troppo quadrati ad un primo ascolto, magari dettato dalle già ingannevoli tempistiche del web; si teme insomma la capitolazione anche della cricca finlandese nei confronti di uno standard qualitativo in caduta libera, ipotesi ancor più amara se si rammenta la perfezione formale toccata nel 2010 con il “Nifelvind” che riassumeva al meglio una decade abbondante di gloria. Tuttavia, dietro a quel facciotto paffuto da scafato dissimulatore, il capobanda Trollhorn nasconde la consapevolezza di chi conosce benissimo il proprio pubblico, ne ha già calcolato ogni mossa in anticipo e sta solo aspettando di vedere che faccia faranno gli sciocchi capaci di dare per spacciato un progetto morto e risorto già fin troppe altre volte, ed in situazioni assai meno semplici.

La band

Il ruggito della bestia assetata di sangue intenta a squadrarci dal come sempre splendido artwok curato da Skrymer accende le luminarie boschive di un luna park del sanguinario e del grottesco, popolato da inquietanti esseri deformi qui non più nascosti dalle ombre notturne delle foreste bensì, al contrario, sfigurati dalle anarchiche luci colorate di giostre e tendoni presi in prestito agli umani per distruggerli al loro stesso gioco. Ammansiti quindi davvero a fatica dal duopolio produttivo Mika JussilaNino Laurenne, i Finntroll partono sornioni con una doppietta capace di mettere a proprio agio i patiti del contemporaneo Folk Metal danzereccio da major tedesca, coccolandoli tra giri catchy all’inverosimile, tastiere melodiche quanto basta e intermezzi acustici conditi da scacciapensieri; fidarsi dei sette pestiferi gremlin resta tuttavia un fatale errore, poiché nulla ci vuole a ritrovarsi dagli abusati balli a ritmo di humppa intorno al fuoco a scenari ben diversi, assai più consoni al singolare vestiario adottato dalla formazione con rara arguzia estetica. Quelle che su “Ett Folk Förbannat” suonavano come le classiche keyboard finntrolliane musicanti un inseguimento nei boschi mutano durante la successiva “När Jättar Marschera” in svolazzi eterei da pellicola sci-fi anni ‘40/’50, medesimo periodo a cui strizzano entrambi gli occhi gli ottoni divampanti sul groove di “Mordminnen”: nella sua geniale fusione di Swing da balera dell’immediato Dopoguerra e Steampunk (esibito in look come atmosfere), “Blodsvept” apre così le porte di un mondo alternativo dove ai suoi creatori è concesso sfogare la loro -se vogliamo così chiamarla- ironia dissacratoria, indirizzata agli eccessi fantasy nel genere da loro popolarizzato a cui si oppone codesta nuova dimensione parimenti futuristica e rétro.
Certo la band non ha perso un’oncia della propria personalità trasformista eppure riconoscibilissima, come ribadita dagli ebbri cori dei quali “Rösets Kung” abbonda, ma se già la prima metà del disco è un fulmine a ciel sereno addirittura per i mascalzoni di Helsinki, allora per la seconda è necessario allontanare fotosensibili e cardiopatici in vista di un ottovolante ai limiti del pazzesco, tanto per classe compositiva quanto per l’impatto derivatone. Il galoppo quasi western lungo la scatenata “Skogsdotter”, trombe e sax dei sessionmen Rickard Slotte e Tom Käldström ritornate a spadroneggiare sull’irresistibile, oscuro quattro quarti di “Häxbrygd”, il delirante circo maledetto dipinto da “Två Ormar” e presieduto da un Vreth mai così genuinamente terrificante, ed infine l’inatteso ritorno al folklore sulle note di una “Fanskapsfylld” uscita dritta dritta da “Jaktens Tid” sono tappe assolutamente inscindibili di una casa stregata superata la quale, dopo i dispetti subìti da malefici troll scalcianti e mordicchianti, i malcapitati avventori si ritrovano di fronte al battito d’ali del colossale “Midvinterdraken”, deciso tra scorticanti blast-beat, incantata eleganza e pura magia tradizionale come e forse più ancora di un’altrettanto straordinaria “Skövlarens Död” a riportare tutto alla tetra sensibilità notturna riabbracciata di lì a sette lunghi anni in “Vredesvävd”.

Il giro di giostra tra l’illusoria traccia eponima e l’invece rivelatoria conclusione è dunque terminato, e loro lo hanno fatto di nuovo; attraverso lo smerigliato specchio da essi assemblato assieme alla sgangherata autovettura nell’ormai mitologico videoclip di “Häxbrygd”, i Finntroll hanno ancora una volta messo a nudo tutto il Folk Metal deturpandone i lineamenti fino ad ottenere un’oscenità avanguardistica nella sua unicità, inedita e, almeno ad uno sguardo approfondito, pertanto niente affatto pensata per piacere alle masse addomesticate di inizio anni ’10 – tutto il contrario. Frainteso come sovente accaduto al gruppo per via di circostanze esterne al loro microcosmo artistico fieramente autarchico, dopo una decade tonda “Blodsvept” regala tutt’oggi un’esperienza di pura, sadica e compiaciuta anarchia quasi-punk, con l’aggressività da sempre insita nella proposta che si sfoga stavolta mediante brani assolutamente accattivanti da cui traspare tuttavia il grande, vecchio spirito dei briganti pronti a ghermire i malcapitati di passaggio, qui semmai condita da ulteriore malignità data la veste in apparenza goliardica e inoffensiva di parecchie partiture.
Non serve nemmeno parlare di prestazioni singole, tra cui si annovera l’ultima con la band dell’importantissimo scheletro maciullato dai versatili colpi ricchi di originalità del Beast Dominator, anche se lo meriterebbero come minimo il comparto orchestrale al solito titanico nella sua geniale sottigliezza ed un Vreth calato alla perfezione nel ruolo di diabolica guida al freakshow messo su dai compari: il decennale sesto capitolo delle bizzarre avventure dei Finntroll rimane come e forse più dei fratelli un boccone da mandare giù rigorosamente intero, e da gustare nei suoi mille aromi contrastanti e maleodoranti, mescolati da un talento che di lì a poco avrebbe replicato con lo speculare buio endemico alla base di un certo Jumalten Aika”. Questa però, almeno così si usa dire, è la classica altra storia da narrare in altra sede, mentre per ora non abbiamo che da pagare un secondo giro a quel bigliettaio con denti affilati e orecchie a punta il quale continua a fissarci sfidante e beffardo…

Michele “Ordog” Finelli

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