Deathspell Omega – “Diabolus Absconditus” (2011)

Artist: Deathspell Omega
Title: Diabolus Absconditus
Label: Norma Evangelium Diaboli
Year: 2011
Genre: Avantgarde Black Metal
Country: Francia

Tracklist:
1. “Diabolus Absconditus”

“L’essere ci è dato in un superamento intollerabile dell’essere, non meno intollerabile della morte. E poiché nella morte, nel momento stesso in cui l’essere ci è dato, ci è anche sottratto, noi dobbiamo cercarlo nel sentimento della morte, in quei momenti intollerabili in cui ci sembra di morire perché l’essere in noi è ormai solo presente per eccesso: quando la pienezza dell’orrore e quello della gioia coincidono.” (Georges Bataille, “Madame Edwarda” 1937)

I contorti labirinti d’ebano di “Diabolus Absconditus” vengono percorsi a tentoni come in un sogno lucido dal quale svegliarci ci è negato; le pieghe ossessive, caliginose e abominevoli che assume lo spazio che ci circonda vanno a tracciare il chiaroscuro e i celati cunicoli dell’inconscio, del subdolo dubbio che rode la coscienza, del desiderio represso e lungamente taciuto perfino a noi stessi.
Può un importante complemento, con le caratteristiche quasi di un preambolo mai veramente dichiarato, di una delle trilogie più scardinanti del Metal moderno rimanere parzialmente celato per anni in un formato tanto sfuggente e dispersivo quale può essere uno split-album? In che modo può essere rilevante e persino pregno di significato un singolo brano in un’opera omnia tanto ricca, sfaccettata e multiforme? È possibile quantificare il numero di brucianti scoccate di frusta che siamo disposti a tollerare e subire silenziosamente prima di piegarci al dolore e interrogarci sul dogma della cieca benevolenza divina? E ancora: quanto dobbiamo celare i nostri occhi dietro alla mendace benda della ragione per accettare un artefatto ed insperato determinismo, parto di un supremo atto primo?

Il logo della band

Inquadrare un EP come quello in oggetto nella frammentaria e -nei misteriosi anni incorsi tra il 2002 ed il 2004- persino cronologicamente discontinua discografia dei Deathspell Omega richiede un’accurata opera di vera archeologia musicale, che consenta di destreggiarsi fra release dal profondo e complesso significato: un’intelligibilità profondamente legata al denso e difficilmente penetrabile contenuto escatologico formante l’intricata e nera dottrina del progetto, volta ad una capillare e violenta demolizione delle chiavi di volta delle religioni abramitiche e ad un risveglio brutale delle intime percezioni dell’individuo, quanto allo sviluppo nonché alla diffusione di un’idea con cui intendere il Black Metal in grado di sconvolgere la concezione moderna della nera fiamma, fino a fonderla e riforgiarla in un fine processo alchemico; restituendole insomma quel terrore che le apparteneva per un diritto reclamato con violenza e disprezzo una decade prima, riafferrato infine con le affilate lame della corruzione spirituale, dell’indicibile abominio e dell’abisso più profondo.
Il delinearsi di un filone che prende il nome di Orthodox comporta del resto conseguenze necessariamente più profonde di una semplice nomenclatura distintiva: la nascita di End All Life prima, ma soprattutto di Norma Evangelium Diaboli ufficialmente nel 2003, chiama a raccolta un ristretto ma umanamente interconnesso manipolo di artisti ed individui dagli intenti affini, fra i quali s’instaura un sottile gioco d’influenze concettuali e musicali sotterraneo ed intimamente biettivo; se i francesi conducono fin dall’inizio un ruolo dominante nella definizione del sottogenere, mantenuto e rinnovato nel corso della loro pindarica evoluzione, band come Funeral Mist ed Ondskapt giungono in comunione, saldi di una quantità di influenze diverse e pregresse che strutturano il loro soggettivo e particolare percorso, elemento dopo elemento aggiunti al più grande mosaico, ma anch’essi fieri apologeti di una visione in cui la blasfemia viene sostituita dalla scoperta rifuggita, negata e aborrita di una verità sconvolgente, una aletheia spietata e annichilente per una mente debole come sa essere quella umana.
“Diabolus Absconditus” va ad incastonarsi in un periodo se non aureo sicuramente fondativo di quel che sarebbe nel breve e nel futuro stato il progetto, frutto di una rivelazione che ha indubbiamente del miracoloso, ma che nel corso del tempo si è mostrata nella sua graduale -sebbene all’apparenza d’ascolto sembri repentina- metamorfosi che tuttavia non va a sminuirne in alcun modo il suo valore e che ha luogo proprio nel lasso di tempo che intercorre fra la fine della composizione di “Inquisitors Of Satan” e l’uscita di “Si Monumentum Requires, Circumspice”. Il periodo vede, in concomitanza con l’abbandono alla voce di Shaxul (fondatore della band e già presente fra le compagini della band d’origine Hirilorn) e l’inserimento delle abrasive e nequitose declamazioni di Mikko Aspa, la genesi di una quantità straripante di materiale frutto di un periodo di transizione artistica a tutto tondo, ma che viene rilasciato con modalità più che mai frammentarie tra uscite di varia natura distribuite a diversi anni di distanza. In questo bizzarro e quasi segreto, settarico intervallo non vengono infatti solo tirate le fila del terzo, giustamente acclamato e rivoluzionario album su full-length, ma viene imbastita la struttura portante, quantomeno quella concettuale ed ideale, delle uscite della formazione nella futura decade tutta: l’impegno profuso nel trasmettere il proprio credo deviato in un trittico dalle molteplici appendici si inerpica quindi fra materiale scartato o almeno momentaneamente accantonato, andante a formare le compilation che fungeranno retrospettivamente da imprescindibile collante storico-narrativo, “Manifestations 2000-2001” e “Manifestations 2002” (probabilmente viste come frutto di uno stadio appartenente ad un passato mai maturato ancora a fianco dell’originario vocalist), nonché creazioni viste come immediatamente tangenziali al corpus della grande opera, che prendono vita rispettivamente in tre uscite che avvengono l’anno che segue la pubblicazione di “Si Monumentum Requires, Circumspice”: “Kénôse”, “Mass Grave Aesthetics”, “Diabolus Absconditus”. Se il primo assume nel 2005 la forma di una pubblicazione cruciale e direttamente integrata in quel tortuoso sentiero teologico e diabolico, i restanti due sono frutto di una composizione temporalmente coeva al lungo full-length (i ventidue minuti che danno luogo all’articolo in sviluppo, incredibilmente persino scritti già nel 2001) ma di una raffinazione stilistica ad esso appena successiva e che li porta ad essere rilasciati rispettivamente negli split-album “From The Entrails To The Dirt” e “Crushing The Holy Trinity”; quest’ultimo curato proprio da Northern Heritage di proprietà dello stesso Aspa, che include come prima traccia il monolite della band originaria di Poitiers seguito dall’operato di Stabat Mater, Musta Surma, Clandestine Blaze, Mgła ed Exordium.

Le implicazioni tiranniche e anguste di un Deus Absconditus pascaliano si traspongono nel diabolico ribaltamento di prospettive: il divino, rivelatosi essere sì numinoso ma nella foggia di oscuro demiurgo, si esprime in fenomeni incommensurabili all’uomo che, tuttavia, impietosi si ripercuotono sul piano dell’immanenza sconvolgendone la vita spirituale e quella materiale. Una presenza sinistra e minacciosa aleggia infatti nella composizione dei Deathspell Omega: le atmosfere si sciolgono finalmente in trame più libere, diradate e per certi versi meno soffocanti che in gran parte del resto del loro repertorio; ma non si tratta di un arido mondo vuoto e disabitato, dell’ingombrante lacuna lasciata da un disinteressato Deus Otiosus, bensì di una terra corrotta, moderna, sporca e sterile assurta a tempio, nel quale anche gli spazi più spogli sono tratteggiati dal divino nei dolorosi e drammatici orrori Dark Ambient con fischi, tramestii e sample che caricano di tensione tutta la struttura del brano e che, anche nei momenti più concitati, rimangono sullo sfondo in guisa di perpetua rumoristica sul quale il resto dell’azione si compie sovrapponendosi in pattern irregolari eppure coerenti.
Lungo un filo progressivo che si snoda fra le convoluzioni di climax circolari, prende piede un dialogo continuo fra un approccio classico e uno spirito catacombale con soluzioni che ricordano da vicino alcune sfumature dei connazionali Elend, a cavallo fra “Weeping Nights” e un “The Umbersun” il cui grandeur apocalittico allungherà non dissimilmente le sue dita fino a “Fas – Ite, Maledicti, In Ignem Aeternum” ed oltre. Le linee di chitarra si presentano così subito con un tono molto più organico ed elaborato che nelle cronologicamente precedenti prove, duettando con delle voci marce e ribollenti caos, torbido liquido amniotico, in un amalgama indissolubile che viene alterato da un’effettistica che distorce e deforma il pentagramma in geometrie non euclidee, costringendo le corde a lamenti strozzati e ronzii basculanti; l’incedere insalubre, ma libero e guizzante, feto malsano e deforme dell’unione estrosa di Magma, Ved Buens Ende, Abigor e Morbid Angel va a tracciare una terza via che oltre a superare per complessità le fondamenta del terzo full-length sceglie un registro in parte anticipante la futura direzione cangiante e tortuosa del collettivo, ma lo fa in una forma a sé stante e che per molti versi vi si discosta, trovando nell’ossatura di “Draco Sit Mihi Dux” l’esempio a lui contemporaneo maggiormente limitrofo per registri.
Seguendo e sfruttando il testo di “Madame Edwarda” di Georges Bataille, gli intenti dei Deathspell Omega risiedono nell’ottenere molto di più che una semplice trasposizione musicale, bensì una vera e propria mise en abîme, un continuo parallelo ipostatico fra traccia e racconto. Con un minutaggio che non a caso è del tutto paragonabile al tempo necessario per leggere il racconto dello scrittore francese, la musica assume i connotati di un dialogo personale ed intimo di un’unica persona con sé stessa: nemmeno nell’esplosione finale, nello spasmo critico degli ultimi minuti sfociante in squadrature à la “Mass Grave Aesthetics” protese verso il futuro, il suono si fa soverchiante o degrada in corali cacofonie; la sensazione è infatti che a condurre la lineare narrazione sia sempre un’unica figura, l’apoteosi di un folle dilaniato interiormente fra desideri d’impudicizia e l’attesa della morte, perso fra le cupe navate della sua anima in disfacimento, tratteggiate nella copertina dalla mano visionaria di Manuel Tinnemans insieme ad una figura antropomorfa spiritualmente tripartita che assume i tratti dissezionati e trasfigurati delle follie di Hans Bellmerdestinato a subire le conseguenze del perpetuo divenire fra quelle due forze contrastanti, uno e zero, essere e nulla, Pleroma e Kenoma, senza mai essere in grado di dilaniare il velo di un estremo e gretto bipolarismo.

Sfruttare il 2021 per celebrare l’anniversario occorso dalla decade d’uscita di “Diabolus Absconditus” non deve essere visto come un mero espediente rievocativo: per quanto la forza rivoluzionaria che questo rappresenta sottobanco nel 2005 abbia agito parzialmente nell’ombra e nel 2011 sia stata vista da molti ascoltatori disattenti, che ne ignoravano la postuma pubblicazione da EP singolo, come un passo indietro rispetto al punto d’arrivo “Paracletus”, la sua struttura e il suo modo di approcciare la composizione, l’evoluzione del brano e persino l’effettistica degli strumenti, rappresentano in unione con le altre due uscite, definibili minori solo sulla carta ma non in termini che sono “Kénôse” “Mass Grave Aesthetics”, il perno su cui la successiva parte della discografia ruoterà e da cui s’inabisserà continuando la sua folle caduta da angelo ribelle; proprio con la riedizione del 2011, avvenuta non a caso soltanto dopo aver apposto una volta per tutte l’ultimo sigillo sulla loro ideale ed eventuale trilogia, i Deathspell Omega la concludono ponendo la giusta attenzione su uno spaccato tanto determinante nella loro parabola evolutiva quanto preziosamente sui generis anche nell’insieme organico, ergendosi in tutto il suo essere allucinato, visionario – quello dell’individuo che proprio qui, da nichilista che fu, trova nel silenzio e nel nulla di sé l’atto di sola fide, nebuloso, splendido ed intensamente nero.

Lorenzo “Kirves” Dotto

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