Dauþuz – “Monvmentvm” (2019)

Artist: Dauþuz
Title: Monvmentvm
Label: Naturmacht Productions
Year: 2019
Genre: Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Schwarzes Wasser”
2. “Der Bergschmied”
3. “Hornstein”
4. “Knochengrube”
5. “Kupferglanz”
6. “Mæna Dauþuz”
7. “Himmelseisen”
8. “Monvmentvm”

In un batter d’occhio e senza quasi accorgercene, eccoci dunque giunti al terzo (o quarto, se si conta -correttamente- il riuscito EP dell’anno scorso intitolato “Des Zwerges Fluch”) capitolo della saga dei tedeschi Dauþuz; su più fronti assolutamente non un azzardo, infatti, considerare il nuovo “Monvmentvm” parte integrante di un continuum indissolubile che il duo alto tedesco sembra ben intenzionato a vedere (ed innanzitutto far vedere) come saldamente unito nel suo essere stilisticamente il prioritario, quanto coeso, frutto di una fiammella d’ispirazione che non solo non accenna a spegnersi ma, possibilmente – date le premesse di un approccio che vede mutazioni o evoluzioni mai particolarmente marcate, divampa sempre più ardentemente alla continua e rapida scoperta di nuove variazioni (anche letterarie) sul rigido tema.

Il logo della band

Nel giro di soli tre anni, dal 2016 che vide l’uscita a ciel sereno del già ottimo “In Finstrer Teufe”, sassata a denti stretti che espresse naturalissima prosecuzione in “Die Grubenmähre” l’anno successivo, la band formata dalla prolifica unione di forze di Aragonyth e Syderyth è riuscita nel non semplice compito di plasmare in primis un sound seriamente distinguibile e notevolmente immediato da riconoscere, raggiungendo nondimeno il traguardo del terzo full-length in un lasso di tempo decisamente breve se si pongono in considerazione l’alta qualità proposta e il graduale, forse timido ma apparentemente inammovibile, miglioramento che la sincronia artistica dei nostri oscuri minatori ha permesso.

La band

Qualche lieve brezza di novità (o quantomeno variazione, in una visione di solidità quasi impenetrabile) fa capolino interessante tra le tracce similmente a quanto accadde nell’intercorrere tra debutto e secondo full, ma nonostante l’esperimento più folkloristico -e in larga scala epico- dell’EP dell’anno scorso sia stato sicuramente effettiva palestra per la riuscita stilistica di “Monvmentvm”, questa è piuttosto la necessaria diversificazione insita nella creazione di un nuovo tassello che possa distinguersi a suo modo dagli altri – pur restandone saldamente incastrato e correlato come se (dal 2016 ad oggi) non stessimo facendo altro che valicare capitoli di un romanzo piacevolmente ben più lungo di ciò che ci si potesse aspettare.
In questo senso, “Monvmentvm” risulta quello in cui le (non inedite, ma precedentemente quasi impalpabili) influenze folkloristiche in toni, contrappunti e scale sottopelle, spingono dalle profondità della terra e delle miniere minuziosamente setacciate dai Dauþuz per donare una luce di epicità solenne alle composizioni che -quasi di rimando- si devono per forza di cose fare più lunghe, in via di sviluppo, così da ricreare viaggi di maggiore immersione per l’ascoltatore.
Questo non significa, fortunatamente, che vadano a mancare i momenti di grande carica e tiro che il duo ha fino ad oggi posto come base strutturale della sua musica (un aspetto su cui i Dauþuz devono procedere a lavorare ancora con attenzione è infatti l’eccessiva dilatazione dei passaggi in ricerca atmosferica, meno forte se paragonato ai momenti di maggiore apprensione ritmica come nella sicura ma assolutamente non scontata mefitica badilata che è “Knochengrube”); al contrario questi vengono calibrati e diventano così più pregevoli, andando alla lunga ad arricchire una trama di rimandi più vasta.
La direzione è rinforzata dall’uso più ampio di effetti e campionamenti ambientali, di reiterazioni a supporto della narrazione, ma soprattutto delle parti tra l’acustico e il Neo-Folk -per derivazione- già ascoltate in “Des Zwerges Fluch” (tanto che “Mors Voluntaria” viene deliberatamente ripresa in “Himmelseisen” a preludio del malinconico finale nella lunga title-track, a sua volta caricata di un inedito pianoforte dai colori altrettanto tradizionali) che ora trasformano quelli che nei primi due album erano solo intermezzi di chitarra classica (di grande gusto ma anche relativa semplicità) in partiture più ricche di toni e brillantezza à la “Kveldssanger”, cruciali quanto gli effettivi brani Black Metal che ne costituiscono il fulcro. Non vi è pericolo che la scelta di dilatare i pezzi facendo sfiorare loro il timing di dieci minuti l’uno vada a minare le fondamenta del trade-mark del duo: non solo la lunghezza complessiva è in realtà replicata intonsa fin dal primo disco a bella prova (e similmente lo scheletro dell’album), ma il distintivo connubio di melodia e rumorosità è preservato; ne deriva che le urla e gli ululati di Syderyth si lancino sempre grandiosi in tutto il loro potenziale variegandosi più che mai di bagaglio espressivo (l’aumento di cori è, coerentemente con la variazione generale del platter, esponenziale in frequenza), mentre il chitarrismo circolare di Aragonyth pennelli sotto di esse partiture di continuo splendore melodico incastrato come gemma nel tuonare di frequenze basse (più importanti che in passato) garantite dal resto della strumentazione.
Se la tellurica “Schwarzes Wasser”, come opener, con i suoi continui cambi di tempi e registro può risultare già totalmente esplicativa dell’evidenziata personalità che il disco assume nella produzione marchiata Dauþuz, contenendo buona parte di ciò che andremo a trovare, sono poi “Der Bergschmied” e “Mæna Dauþuz” a puntare il tutto e per tutto sulle grezze melodie esultanti tipiche del German Black Metal, polverizzando la declinazione Ulver in testosterone, nonché a livellare definitivamente la scelta di fare più scarso ricorso allo stratagemma di accattivanti ritmiche in d-beat, generalmente sostituite con più fitti tappeti di un meno corposo blast-beat (o doppia cassa a media velocità) per permettere all’ascoltatore di essere completamente assorbito senza particolari distrazioni ritmiche (eccezion fatta per l’ottimo lavoro sui piatti) dall’universo lirico che in “Monvmentvm” sembra coerentemente colorarsi di ben più magia e mito locale legato all’ambiente minerario; una ricerca appassionata che da storica si fa presumibilmente popolare e quindi carica di suggestione.

“Monvmentvm” ribadisce pertanto tutti i punti di forza dei Dauþuz (anche quelli grafici del curatissimo booklet), migliorandoli quanto basta a farne un altro lavoro tutto da gustare per le sue caratteristiche in sotterranea parte assenti nelle e aliene alle precedenti uscite – e forse proprio in questo risiede il grande valore dell’operato dei due della Vestfalia a nord del Reno: aggiungere ad ogni occasione piccoli e selezionatissimi dettagli nell’equilibrio così precario tra evoluzione e consolidamento che tanti altri sembra ogni giorno trarre in fallo, senza mai romperlo. I Dauþuz dimostrano di aver trovato il loro punto d’incontro dal primo giorno di esistenza, e sebbene questo sia potenzialmente pericoloso in termini di maturazione e sviluppo a fronte di una prolificità quasi frenetica, e nonostante li si possa senz’altro bacchettare per un coraggio qualche volta indubbiamente latitante, il vigore delle atmosfere così peculiari che i due sanno ricreare nella loro (ormai) inconfondibile musica mette al momento un irremovibile masso sopra a qualunque critica di tal ragione, filtrando al contrario nient’altro che luci d’ammirazione -dovuta- per ciò che hanno saputo plasmare.
Del resto, trasformare un potenziale difetto in un effettivo punto di forza è già di per sé un’innegabile vittoria.

Matteo “Theo” Damiani

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