Covenant – “In Times Before The Light” (1997)

Artist: Covenant
Title: In Times Before The Light
Label: Mordgrimm Records
Year: 1997
Genre: Symphonic Black Metal
Country: Norvegia

Tracklist:
1. “Towards The Crown Of Nights”
2. “Dragonstorms”
3. “The Dark Conquest”
4. “From The Storm Of Shadows”
5. “Night Of The Blackwinds”
6. “The Chasm”
7. “Visions Of A Lost Kingdom”
8. “Through The Eyes Of The Raven”
9. “In Times Before The Light”
10. “Monarch Of The Mighty Darkness”

Scoperchiato una volta per tutte il nero vaso di Pandora che malcelava le anime più tormentate e maligne della Norvegia, ciò che avviene in un’ormai contagiata Europa dalla metà dei ‘90 sfuma dalle vicende di personaggi che negli anni sarebbero diventati leggendari, spesso temuti, molto spesso incompresi, all’avvicendarsi inquieto di giovanissimi musicisti in un febbrile fermento artistico e intellettuale, lanciati in quella che man mano assume i caratteri di una circoscritta contesa; una corsa contro il tempo ed il proprio milieu alla ricerca di nuovi modi di esprimersi, di rinnovati strumenti espressivi per arricchire i caratteri già vari che il genere aveva dimostrato di possedere fin dalla sua definizione, giocando su quell’equilibrio instabile fra novità e ortodossia che tanto faceva discutere e di cui noi spettatori, in questo caso dotati del prezioso privilegio del passare degli anni e del conseguente ampliarsi di un possibile sguardo storico, non possiamo che pascerci godendo dei frutti migliori.
Così, nel 1996, i primi scandali per una piega del genere verso lidi più sinfonici, che aprissero in quel verso gli spazi e le atmosfere originariamente dal più scarno rigore, avevano definitivamente lasciato il loro segno fra l’avvicendarsi -ai soli piani più alti e fra gli altri- di band come i Dimmu Borgir di “Stormblåst”, gli Arcturus di “Aspera Hiems Symfonia” e i più lontani Cradle Of Filth dell’apice “Dusk… And Her Embrace”, creando da un lato dei pesantissimi precedenti e adombrando, dall’altro, dell’etichetta di epigoni uno stuolo di formazioni spesso macchiatesi dell’unica colpa di aver rilasciato la propria musica una manciata di mesi in ritardo. Non solo, altrettanto spesso, quel ritardo fu maggiore nell’effettivo rilascio che non nella creazione, ma a tutti gli effetti fu sintomatico di risultati che definire degni di nota sarebbe riduttivo dinanzi a dimostrazioni di unicità che, anche quando prive di una marcata carica rivoluzionaria, possono fregiarsi di caratteristiche ed interpretazioni del loro tempo perfettamente distinguibili e dal pregevole valore.
Se a questo intransigente spirito enciclopedico proprio del Metal (e spesso disinteressato ai comprensibili disastri logistici di etichette discografiche alle primissime armi, tanto di culto quanto furono inadeguate) si va ad aggiungere quello sguardo a posteriori precedentemente menzionato, spesso fin troppo severo retrospettivamente nei confronti di figure dalla personalità controversa e discussa come Nagash, un disco dalla sincerità cristallina e dai seghettati contorni magici come “In Times Before The Light” rischia -com’è accaduto in venticinque anni dalla sua uscita- di non ricevere il meritato riconoscimento.

Il logo della band

In un andirivieni di qualche settimana si passa dai baluginii smeraldini dei Troll, che nel cupo sottobosco preannunciano gli agguati di primordiali figure grottesche acquattate nella notte, agli sbalzi aguzzi, regali e sanguinolenti di un progetto ideato dalle due menti di casata Blackheart: i due giovani Nagash e Thanatos che nell’inverno fra il 1991 e il ’92 avevano suggellato un sodalizio che sopravvivrà al millennio venturo e che si estenderà alla maggioranza delle composizioni successive di entrambi i musicisti.
Ma partire da “Drep De Kristne” per ripercorrere le vicissitudini che riguardano l’uscita del debutto dei Covenant non è del resto un mero espediente narrativo: entrambi i full-length vedono infatti la loro genesi in sala di registrazione nello stesso autunno 1995 e nel medesimo luogo (quegli X-Ray Studios che furono anche scenario dei primissimi passi dei Kampfar, dall’omonimo EP di presentazione fino all’eccelso “Fra Underverdenen”), nonché in una coincidenza di idee, sonorità e toni che fanno delle due uscite le facce in parte peculiari e distintive di un modo di intendere la sinfonia applicata all’estremo proprio di Stian André Arnesen, che tuttavia finiscono per amalgamarsi e influenzarsi vicendevolmente l’una con l’altra. Certo, il progetto del solo Nagash è, preso nel medesimo frangente, un qualcosa di più personale e, se possibile, caratterizzato ancora più visceralmente dalla varietà più che dalla quantità dell’apporto tastieristico (lì marcatamente mutaforme); eppure, molte delle soluzioni e in particolare dei suoni, delle tonalità e delle campionature verranno in maniera non troppo dissimile impiegate nella prima uscita firmata Mordgrimm.
A subire le conseguenze del momento della sua release sono anche le chitarre, in grande evidenza nel demo “From The Storm Of Shadows”, dove ben poco dissimulato è il fascino per quel riffing Emperor di un “In The Nightside Eclipse”, disco che indubbiamente ha lasciato il segno nelle pennate dell’allora sedicenne Amund Svensson; nondimeno, una componente di grande spessore e importanza, dal canto suo, soprattutto nel saper dialogare con l’elemento orchestrale e che tuttavia, nella versione definitiva di “In Times Before The Light”, finisce per essere privato del ruolo di protagonista strappatogli, sia per la conduzione della forma canzone che per le conseguenti scelte di produzione, dalle sinfonie imperanti del compagno di formazione, probabilmente in quell’intervallo temporale rimasto comprensibilmente stregato dai chiaroscuri romantici e fuori dal tempo incastonati nelle prime uscite di Gehenna, Old Man’s Child e degli altri norvegesi precedentemente menzionati.

La band

La formula che i due compagni d’arme Blackheart ottengono si dipana da “Towards The Crown Of Nights” in avanti con una naturalezza e un gusto per la melodia semplicemente travolgenti; dotati sì di quello spettro di registri e immaginari radicati nel territorio locale e inquadrati splendidamente nello zeitgeist del periodo, ma forte di una potenza espressiva dalla presa diretta mai scontata né melliflua, fatta di malefici, escapismo e arrangiamenti aguzzi e minacciosi. Così brani come “Dragonstorms” o “Through The Eyes Of The Raven” mozzano il respiro fra rincorse e contrappunti, esplosioni di grancassa che risuonano della pesantezza di scuri e neri cancelli a sbarrare il passo e celare sordide storie d’inganni e tirannia, trionfali nel loro incedere sinfonico mai troppo complesso e intricato, il quale rifugge l’impronta maggiormente classicista dei Gehenna o dei Limbonic Art, e perfettamente in grado tuttavia di tracciare una via alternativa e più estrema a quella di uno “Stormblåst” riferimento sicuramente più prossimo alle intenzioni del duo. Di fianco a questa magniloquenza dei sintetizzatori, da padrone la fa un sentore sempre serpeggiante di melodie tradizionali, un alone folkloristico che snellisce e innalza le partiture cupe e dal sentore medievale anche in brani efferati come la furiosa “The Chasm”, in cui le corde di Thanatos spadroneggiano finalmente dominando la scena, o tengono viva l’attenzione anche nei passaggi di maggior raccoglimento di ”Night Of The Blackwinds”.
Ma uno dei punti di forza del platter si rintraccia proprio in una tracklist strutturata in una miscela estremamente organica, capace con estrema semplicità di dare uno stabile equilibrio, nel sezionare con cura i movimenti dell’album e in grado di valorizzare nel modo più meritevole anche la cupezza alienante di “The Dark Conquest” e dei momenti più scarni e vicini all’austerità dei primissimi Satyricon, perfino in soluzioni che possono ricordare il coevo (strettamente tale solo per rilascio) “Through Times Of War” dei debuttanti Keep Of Kalessin.
“In Times Before The Light” è infatti e forse uno degli esempi più lampanti in cui Nagash dimostra di essere un artista le cui mani si muovono saggiamente sui tasti in funzione di una composizione dai tratti incredibilmente visivi, eversivi, in grado di esprimersi al meglio avendo immagini e mondi da descrivere dai dettagli netti e dalla forte caratterizzazione: solo in questo modo -coppia conclusiva formata da title-track e “Monarch Of The Mighty Darkness” a testimonianza- si inarca davvero nei meandri di quella particolare rappresentazione delle idee, mantenendo il fil rouge di uno stile riconoscibile, coinvolgente e basato su giri melodici e un dinamismo dalla forte presa, ma riplasmandolo di volta in volta a favore di atmosfere ben precise da descrivere in musica (con un pizzico di malizia si potrebbero del resto imputare non proprio al caso i lavori marcatamente meno ispirati che, nella seconda parte della sua personale carriera, coincideranno dal lato The Kovenant con un periodo di caparbia stasi su tematiche sci-fi – e sul fronte Troll con quel frangente ibrido costellato da balzane crasi di estetiche dalle marcate divergenze umorali). E il corredo visivo messo in scena da Alex Kurtagić non può che essere dei più attraenti e atti a rappresentare con le sue torri maledette immerse nel nero cremisi di vallate senza tempo un mondo ancora privo del ristoro della luce, le cui narrazioni tracciate dagli strumenti dei due compositori tuttavia balenano lucide in iridescenze color rubino, inabissanti negli anfratti più ostili per poi involarsi con eleganza fra le caliginose e gonfie nubi a rivelare il brillare maestoso della volta stellata.

Il resto, come si suol dire, è storia; ma una storia spesso travisata: dalla firma per Nuclear Blast, probabile naturale conseguenza di un’agognata volontà di esprimere liberamente la propria arte senza le limitazioni organizzative e le incomprensioni che avevano contraddistinto la collaborazione con la mai nata Det Sorte Taarn Records, ad un “Nexus Polaris” le cui fantastiche bizzarrie tubolari, in minima parte già germoglianti nell’effettistica più sperimentale in seno ad “In Times Before The Light”, rappresenteranno alcuni degli apici compositivi della coppia di Bergen, doverosamente spartiti con il tandem di fama Arcturus in SverdHellhammer e con quell’Astennu che, nello stesso anno, avrebbe debuttato sul “Godless Savage Garden” dei Dimmu Borgir.
Il primo album dei Covenant paga quindi l’infame ed ingiusto prezzo di una band che non ha mai smesso di far parlare di sé e che raggiunse negli anni successivi una più ampia platea di appassionati – e detrattori; subisce difatti il contraccolpo delle pretese sfacciate di genialità che le sue due menti portarono avanti e di ristampe successive che, fin dalle copertine, non rendevano merito a ciò che realmente e in tutta genuinità volevano rappresentare i suoi ideatori nel 1997. Perché se il genio è forse più facilmente e doverosamente rintracciabile in altri lidi, “In Times Before The Light” rimarrà per sempre l’incorrotto e splendente lascito di un’epoca forse mai realmente esistita, un compendio di visioni da un perduto mondo d’ombra, ricco di mistero ed oscuri orizzonti dall’aura soprannaturale.

Lorenzo “Kirves” Dotto

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