Troll – “Drep De Kristne” (1996)

Artist: Troll
Title: Drep De Kristne
Label: Damnation Records
Year: 1996
Genre: Symphonic Black/Folk Metal
Country: Norvegia

Tracklist:
1. “Kristenhat”
2. “Naar Solen Blekner Bort”
3. “Med Vold Skal Takes Kristenliv”
4. “Trollberg”
5. “I Saler Av Sten”
6. “Troll Riket”
7. “Guds Fall”
8. “Drep De Kristne”

Prima che il nome Nagash salisse alla ribalta per l’approdo nei Dimmu Borgir, che con lui alle quattro corde e già forti del grandioso “Stormblåst” appena rilasciato si apprestavano tramite la realizzazione del loro terzo parto compositivo “Enthrone Darkness Triumphant” a sfondare definitivamente quella labile e vituperata barriera che permetterà loro di raggiungere una notorietà su più ampia scala; ancor prima poi che i suoi Covenant andassero a riunire un ensemble d’individui di rispettata fama pescandoli fra la crème del panorama sinfonico ed avanguardistico norvegese in occasione di “Nexus Polaris” (e quindi ben prima che problematiche legali di omonimia lo costringessero a mutare in The Kovenant, ironicamente conservando ed immergendo in un alone di incorruttibilità i primi due lavori), un giovanissimo Stian André Arnesen aveva imbastito le solide fondamenta della propria successiva e succulenta carriera artistica in un progetto dal laconico nome Troll, riunendo in esso l’ardente desiderio di dire la sua in quel calderone ribollente di oscurità ed iconoclastia assortita che è il Black Metal di metà ’90, con il genuino fascino per il folklore popolare che non poteva non avere salda presa su un ragazzo nato in una terra in cui anche solo un fugace e distratto sguardo ad una pietra dalla sagoma aguzza e irregolare ricorda con naturalezza la foggia muschiosa, massiccia ed instabile di una creatura nata nella notte, all’ombra di perenni fronde silvane e dal loro abbraccio per sempre segretamente preservata.

Il logo della band

Se il demo di debutto “Trollstorm Over Nidingjuv”, uscito nel maggio del 1995 (e poco dopo riesumato da Head Not Found in un probabile retrospettivo interesse suscitato dal primo full-length, se non dalle frequentazioni del musicista all’alba del 1996), si presenta tuttavia come un’acerba sebbene promettente dichiarazione di fascino per il sound norvegese a cavallo fra le rumorose cascate di ghiaccio à la Darkthrone più lo-fi e un ancora sopito piglio e spirito melodico debitore delle trame dei Satyricon di “The Shadowthrone”, l’assenza di un seguito nel quale vi fosse un marcato passo in avanti e un deciso strappo in termini di personalità avrebbe difficilmente accostato al monicker Troll quei seppur pochi ma fedelissimi adepti che, a distanza di venticinque anni, ricordano i primi tasselli del progetto stimandoli ancora fra i più affascinanti e genuini del mastermind; ma è nell’ambiente prolifico e d’indubbia ispirazione che fu Damnation Records, il quale scova nei connazionali Ancient (autori l’anno precedente dell’EP “Trolltaar”) e Gehenna -affermanti proprio in quel momento in “First Spell”, con assoluta caparbietà e coerenza, la dignità compositiva di uno strumento come la tastiera quanto qualcosa di ben lontano e diverso dal ruolo di contrappunto atmosferico, erigendolo a motore primo senza manierismo- un peculiare crocevia di poetica e direzione stilistica per il primo album in studio del progetto solitario di Nagash, dove i Troll trovano in sostanza ed in buona sorte la loro fortunata dimensione ideale non solo per esprimere al meglio la propria visione artistica, ma per inquadrare anche così le stesse linee guida di quel che sarebbe stato “Drep De Kristne”.

Nagash

Laddove, solamente l’anno successivo, fra le acuminate guglie di “In Times Before The Light” dei debuttanti Covenant si sarebbero respirate le atmosfere più marcatamente sinfoniche, medievali e vicine ai tratti degli Emperor di “In The Nightside Eclipse” mai prodotte dal compositore, nel lontano e rumoroso “Drep De Kristne” la malìa delle partiture ossessive si manifesta invece in tappeti di tastiere incalzanti e sfacciate, con synth dall’approccio frontale e scevro di fine cesellatura ma forti di una stupefacente versatilità cromatica cangiante in toni e fascinosamente magica. “Kristenhat”, in tal senso, funge da vero e proprio apripista stilistico con tre stratificazioni che entrano in gioco in rapida sequenza: un greve, sinistro sostrato boschivo aperto da magniloquenti pennellate dall’appeal evocativo, infine concretizzate e sormontate da una linea portante e squillante che sfocia nel primo ribollente scorcio della scellerata caccia al sangue cristiano. La condotta diretta e micidiale si amalgama e si alterna così con lo spigliato gusto tradizionale in una spontaneità frutto di continuo dialogo, contrappunto e rincorsa con il solido e zanzaroso arrangiamento chitarristico (dal suono complessivo tanto originale quanto low-fidelty, grezzo e magnificamente a prova di un tempo che pare congelato); dai maniacali e vertiginosi saliscendi di “Med Vold Skal Takes Kristenliv”, alle maligne virate di una “I Saler Av Sten” che si disvela dimostrazione tangibile di come proprio i tratti del breve demo siano qui maturati e definitivamente trasfigurati in una nuova veste, fino allo sferzante finale della title-track, gioiello di trionfalità che con le sue orchestrazioni dai toni freddi sembra protendersi verso il primo capitolo dei Covenant più che alle successive release del monicker d’origine in oggetto.
Ma è in realtà forse ancor di più un utilizzo così sui generis e oscuro della verve folkloristica, ora grottescamente scanzonata e biecamente danzante al ritmo delle tormentate note di un pianoforte malmenato in “Trollberg” (giusto l’anno scorso in “Tilbake Til Trollberg” reinterpretata dalla band, a distanza di oltre due decenni anni forse finalmente di nuovo conscia del valore di quelle giovani ma vibranti composizioni), ora invece trasmutata in fuoco fatuo che rilucendo il doloroso bagliore della luna sfavilla in rintocchi cristallini sulle accelerazioni di “Troll Riket”, a non essere passato del tutto inosservato, né tantomeno relegato agli anni ‘90; piuttosto, si potrebbe dire, qualcosa che per gusto resta tuttora parzialmente celato sotto uno spesso strato terroso in patria, ma lontano dall’essere rimasto inascoltato altrove. Se infatti attribuire il ruolo di innovatore o rivoluzionario tout court ad un disco che è rimasto negli anni così poco considerato e solo periodicamente citato sarebbe coraggioso se non ai limiti del corretto, è altresì vero che le soluzioni pagane, melodiche e sinfoniche che nel corso del nuovo millennio si sarebbero ritrovate in un gran numero di band flirtanti proprio con la tradizione popolare, in un contesto tuttavia prettamente Black Metal (si pensi anche solo ai nipoti spirituali nei Finntroll quantomeno del demo “Rivfader” e debutto “Midnattens Widunder” a fine decennio, prossimi invece a compiere una vera rivoluzione a modo loro partendo da queste coordinate), rimandino più che direttamente ad una maniera di vedere nonché plasmare il genere che non solo è già perfettamente inquadrabile nelle note di “Drep De Kristne”, che ne forniscono dunque un precedente, ma che avrebbe fatto invece enorme successo con le sue evoluzioni ormai alle porte.

Dando infine un’occhiata alla masnada selvaggia che con variopinta e animalesca furia tiranneggia sulla copertina del disco, incanalando davvero alla perfezione l’essenza musicale e lirica dell’opera, è possibile in qualche modo andare a sfiorare alcune storie parallele e future: da un lato, il dipinto del mai abbastana celebrato britannico Alex Kurtagić crea un divertente gioco di connessioni e squarci storico-visivi relativi alla futura carriera di Nagash, con le sue pennellate presenti in differente e più tetra foggia sullo “Stormblåst” di quella che sarà un’altra band sul cui basso il nostro metterà la firma per due album, nonché su “In Times Before The Light”, così come fanno capolino in un contesto molto più vicino esteticamente su “Autumn Roars Thunder” di quei Darkwoods My Betrothed che, mutatis mutandis, stavano impartendo nella pressoché vicina Terra Dei Mille Laghi un’altrettanto importante e per molti versi affine lezione di come si potessero sfruttare al meglio le tastiere in un contesto Black Metal; dall’altro, il suggestivo artwork di “Drep De Kristne” racconta tramite fermoimmagine anche l’evoluzione stessa di una band, i Troll, che si perse negli anni a venire in un insensato (ma fin troppo comune nel periodo) processo di industriale ibridazione, spingendosi a preferire per le successive ristampe del disco persino una copertina che potesse tentare un presunto quanto ingannevole e fuorviante sentore di seria eleganza, nel paradossale, inutile e maldestro sforzo di elevare un qualcosa che, in definitiva, era sicuramente molto più puro, coerente, unico e affascinante delle artefatte virate meccaniche e industriali che la formazione avrebbe intrapreso a partire dal successivo “The Last Predators” ben quattro anni più tardi – e che, se possibile, rende dal canto suo un lavoro come “Drep De Kristne” una testimonianza ancora più imperdibile, vivida e singolare del suo tempo nel suo genere.

Lorenzo “Kirves” Dotto

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