Tardigrada – “Vom Bruch Bis Zur Freiheit” (2021)

Artist: Tardigrada
Title: Vom Bruch Bis Zur Freiheit
Label: Eisenwald Tonschmiede
Year: 2021
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Svizzera

Tracklist:
1. “VI”
2. “Verrat”
3. “VII”
4. “Zwang”
5. “Trugschluss Vertraue”
6. “VIII”
7. “Trugschluss Vertraue”
8. “IX”
9. “Vom Bruch Bis Zur Freiheit”

Presa coscienza della propria finitezza e della propria singolarità che è fonte d’inesprimibile solitudine, il punto di rottura e il trauma diventano in qualche caso fredda e riluttante forza motrice nonché afferrabile terminus ante quem verso la libertà di rivelarsi oltre una crepata maschera di stentoreo ed impenetrabile nichilismo: la libertà di affezionarsi e la libertà di amare o poter sognare senza rigetto, senza paure, senza percosse all’anima, alla purezza dei propri sentimenti e della propria sensibilità non più accettate quali i proverbiali mali necessari ed inevitabili in vita per fortificarsi; senza l’esitante autocontrollo trangugiato come indispensabile punto di forza e perfino valore necessario al successo, a non morirne. Per tollerare come un trofeo il peso insopportabile del fallimento, di quel carriage fatto di vergogna ed impotenza, ansie d’inferiorità e sopruso morale che si concretizzano in una babele di nullismo. E quell’anonima, quasi insulsa circostanza che resta invisibile all’occhio disattento nella figura complessiva sebbene le sue conseguenze siano pari al disastro di una valanga causata dall’incuranza un po’ goliardica di sciatori nei confronti dei loro solchi lasciati, e alla restituzione della calma silente della non-vita al bianco ambiente circostante, è la diga che straripa: l’acqua che, in qualunque sua forma fisica e altamente metaforica, annienta libera ogni barriera e tracima come una detonazione emotiva di un grigiore neutro, il quale, infinitamente stanco dall’eternità da cui è maledetto, scoppia e diventa colorato del rosso scarlatto di un dolore che si fa strada dalle viscere.

Il logo della band

È l’esplosione dell’insignificanza come tale nella ribellione contro il dramma dell’esistenza; contro l’incubo ricorrente dell’essere senza poter carpire l’essere, appostato sotto ogni confortevole letto, tra le pieghe di ogni vecchio, caldo e spiumato cuscino, ogni notte puntualmente in scena tra i pensieri tormentati di ogni uomo. Eccellere, la norma; vincere l‘obiettivo per essere non tanto la versione migliore di sé, bensì per mostrarsi quella migliore di ciò che si dovrebbe essere – e in questo perverso meccanismo d’insulso potere autoritario sugli altri come fallace antidoto alla fine, alla piccolezza sola e debole armatura di cui siamo provvisti, alla temutissima conclusione e all’inevitabile scomparsa di sé, colui che vive assume i tratti dell’essere più minuscolo esistente in nuce al globo: il più microscopico, invisibile e resistente, microbico che -proprio come fa un microbo di tipo virale- infetta irriducibile dal profondo il suo ospite nello stesso modo in cui una superficie è macchiata dalla resistenza reboante di polvere e gesso. Allo speculare ma in fondo identico modo in cui la ratio profonda della musica dei Tardigrada, fin dall’ossimorico nome scelto, è invece cercare di catalizzare e realizzare qualcosa di grande per sconfiggere quella mancanza di senso puntualmente osservata nei rapporti e nella comunicazione spezzata del singolo con l’alterità e tutto ciò che lo circonda.
Queste sono in fondo solo alcune delle fondamentali premesse o dei possibili punti di partenza nell’affascinante sviluppo da trovarsi nel secondo capitolo su full-length della band svizzera; quel che invece resta certo è che, insieme al favoloso debutto del 2016, questo forma ad oggi un solido dittico dalle strutture interne dei suoi componenti un po’ episodiche (per intenderci: dove ogni numerato e cursorio interludio diventa un capoverso di un infinito paragrafo nel racconto di vita, che, a sua volta, costituisce il singolo ingresso in un mondo a sé) con il chiaro intento di proporre il proprio percorso discografico quale cornice narrativa di un tracciato stilisticamente omogeneo -per quanto possibile in seno ad una maturazione fatta di novità anche piuttosto sensibili- e che, dalla conclusione di “Emotionale Ödnis”, porti dritto agli avvenimenti interiori che traghettano da un capitolo all’altro in “Vom Bruch Bis Zur Freiheit”.

La band

Dal dolore muto di cui è insaziabilmente pregno il demo “Widrstand” (ristampato per vie ufficiali di Eisenwald Tonschmiede proprio in concomitanza all’uscita del nuovo album) allo svuotamento emotivo, alla stasi resa malata della privazione; e da questo traguardo raggiunto già cinque anni or sono, all’esplosione tremenda di una “Verrat” verso la simbolica caduta libera dalle mille interpretazioni possibili nell’atto di comunicare (che è in fondo rendere comune) uno straziante malumore in musica nebbiosa e sempre più avvolgente, irrequieta eppure calma nel perfetto equilibrio tra il calore dell’abbraccio negato e la freddezza di uno schiaffo assestati in pieno cuore, che diventano metafora del rumoroso che incontra il sublime per descrivere quasi pittoricamente le vertigini compositive nell’affacciarsi su di una scogliera altissima come avviene al culmine dell’infinita, drammatica ed elegantissima coda che chiude proprio il primo brano effettivo, e in cui prende luogo magica la trasposizione in musica delle riflessioni su e di una vita intera. E nell’indescrivibilità, nelle parole che sfuggono nella terra desolata tra tasti o inchiostro, tra vocals esasperate più che disperate (fortissime proprio nella nuova alternanza trovata) e cariche di una frenesia incontrollabile quanto nervosa, nei tempi più sostenuti (il ricorso alla ripetitività ipnotica resta la doverosa prassi esecutiva, benché i nuovi ed incredibilmente espansi brani siano ben più simili in velocità al dinamismo quasi frenetico di “Erschöpft” che non all’abbandono lento e disperato di una “E Sturm Zieht Uf” o “Die Wand”) così come nella depressione più nera, sempre un barlume di grintosa speranza a rendere il Black Metal dei Tardigrada epico ed incantevole: gretto e coriaceo ma dotato di una finezza atmosferica che può essere soltanto di un altro regno immateriale percepito tramite lo scricchiolio del piegarsi senza spezzarsi degli alberi, in quelle stratificazioni impalpabili di chitarre lontane che diventano sintetizzatori senza più forma. L’atmosfera alienante degli Shape Of Despair incontra insomma i paesaggi esposti alle intemperie, quelli brulli e spogli di AustereStrid e Klage per aumentarne ambizioni, dinamismo, forza e dura spinosità con la presenza -tra le altre cose- di un basso oggi estremamente importante, rombante così come da tradizione più recente nel panorama tedesco ma introdotto nei reami eterei dell’atmosferico più dilatato; in questo caso carico come un nuvolone grigio scuro ricolmo di pioggia e detriti che al punto di riempimento massimo finiscono per riversarsi senza pietà – come una precipitazione senza fine sull’umanità sporca di bugia, di tradimento e di narcisismo per farne cosa nuova dopo il diluvio universale fatto di urla che tagliano come coltelli (i rinforzi della magnifica “Zwang”, col suo tiro irresistibile), di mutazioni ritmiche favolose e progressioni chitarristiche infinite a rincorrersi per minutaggi estremi. In queste, proprio, è da trovarsi uno dei più grandi valori di “Vom Bruch Bis Zur Freiheit”: l’ampliamento del carattere omni-divorante già di “Emotionale Ödnis” in un totale di quattro brani ancora più lunghi e ricercati quandanche utilizzino gli stessi mezzi espressivi curati in passato, comprensivi di spugne emotive postevi a cuscinetto in quegli ammalianti interludi acustici che tradiscono, con i loro scintillanti ed infiniti riverberi, un profondo anelito alla sicurezza, al poter credere e al potersi fidare abbandonando la corazza di malessere esasperato da un ambiente tanto ostile all’animo poetico. Possa esserne esempio del tutto non esaustivo (ma decisamente pratico) la conclusiva title-track per un fluviale marasma di riff eccezionali che si susseguono come fossero la discesa a capofitto dal climax monumentale non ancora mai raggiunto nel precedente album, e qui sparato in volto all’ascoltatore fin dall’apertura, mentre sequenze scivolano liquide e si rapprendono come mercurio a contatto con l’ossigeno del cuore di chi ascolta.

“Vom Bruch Bis Zur Freiheit” è insomma il classico eppure tremendamente non comune disco che, tanto potente e sincero com’è, non sempre si vorrebbe dover trovare: il disco splendidamente in grado di rovinare una giornata per tutto quel che con malaugurata grazia provoca all’interno, creando nubi grigie di catarsi ancora da espiare sopra e dentro la testa di avventori doverosamente lasciati attoniti da ciò che una band come i Tardigrada al suo secondo album è in grado di regalare, confermandosi nel farlo tra i più maturi e talentuosi esponenti in assoluto di un modo unico di plasmare e veicolare Black Metal introspettivo, impalpabile eppure melodico, atmosferico e realmente sensibile quanto forse su simili coordinate lo erano stati solo i Nyktalgia e -ciononostante- altrettanto violento in termini poetici ma conferito di un sound design senza pari d’analogia non casualmente in questo scritto evitata del tutto; erede non contento di un certo Depressive Black verso derive inesplorate e aliene al padre, dotato insomma della resistenza eterna del cuoio e della rassegnazione infranta in gola di una generazione dal futuro corrotto e perduto per sempre tra le pieghe di un tempo che scorre e scivola senza aspettare uomo che sia. Ma i Tardigrada, giù dal ponte di quella diga ormai distrutta dalla squisita frattura nella muraglia del controllo, nella sicurezza del vincolo materno -emorragia prima così infinitesimale da essere invisibile e poi così infinita da essere incalcolabile-, verso le grazie ammalianti della libertà emotiva, di quel trauma di cui si discuteva in apertura hanno fatto orgogliosa bandiera e la loro battaglia contro la vacuità dimentica dell’esistenza, contro la rassegnazione all’oblio, l’hanno del resto ormai vinta nel più prezioso dei modi.

Matteo “Theo” Damiani

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