Sur Austru – “Meteahna Timpurilor” (2019)

Artist: Sur Austru
Title: Meteahna Timpurilor
Label: Avantgarde Music
Year: 2019
Genre: Atmospheric/Folk Doom Metal
Country: Transilvania

Tracklist:
1. “De Dincolo De Munte”
2. “Puhoaielor”
3. “Mistuind”
4. “Bradul Cerbului”
5. “Jale”
6. “Dor Austru”
7. “In Timp Vernal”
8. “Jabracie”

La consegna di un testimone comporta sempre un misto di responsabilità, tensione, curiosità, e magari anche legittimo entusiasmo; qualunque sia il caso, inevitabile è il confronto diretto di ciò che è stato con ciò che è, facendo forse erroneamente rientrare nell’equazione quel che fisiologicamente e legittimamente non potrà mai più essere, mentre il pensiero istintivamente sibillino e come sempre incurante dell’oggettività o del raziocinio si lancia subito su ciò che sarà. Proprio nel rapporto uno ad uno, senza deviazioni, risiede il germe del rischio – quella radix malorum che sembra flagello dal principio sia nel caso in cui vi sia presa di coscienza della necessità di un estremo cambiamento per sottrarsi all’impietoso confronto (si può del resto sconfiggere un nemico corazzato di memoria e legami affettivi?), sia qualora invece la scelta ricada su un continuum che cerca il più possibile di allontanare lo spettro della mutazione o del distacco, come se nulla fosse stato o cambiato, facendosi forza di una gradualità forse più ostentata che non realmente presente.
I timori di chi segue il cambiamento da vicino si mischiano così con quelli stessi di chi dal rito di passaggio è investito in pieno e prima persona, risultando e dimostrandosi -lo sappiamo- in molte occasioni semplicemente insostenibile.

Il logo della band

I Sur Austru, tuttavia, sembrano aver reagito e gestito la delicatezza della questione nel modo più naturale, genuino e se possibile spensierato -nella sua saggezza- che sia forse mai capitato di vedere in simili e parimenti (se non meno) illustri casi: nati dalle ceneri ancora calde e ricolme di tizzoni ardenti dell’illustre passato Negură Bunget alla morte del fondatore Negru, insieme ai suoi primi due compari (oggi nei Dordeduh) a ragione da molti sentito come il padre putativo di un certo modo di malleare e vivere la spiritualità transilvana in musica, nonché di quella che oggi è diventata l’inconfondibile via romena al Black Metal (e forse al Metal in generale), il novello progetto guidato dall’ex-cantante e chitarrista Tibor Kati (affiancato dalle conoscenze che costituivano il nucleo ultimo della defunta band, Ovidiu Corodan e Petrică Ionuţescu, più tre volti freschi in line-up) non si propone di raccogliere alcuna eredità – bensì tutta l’esperienza maturata in seno alla corte del re progresso e veicolarla in una proposta che, fin dal debutto “Meteahna Timpurilor”, si mostra difatti già particolarmente diversa da quanto fatto nel comune passato dai suoi stessi componenti.

La band

Così facendo, i Sur Austru costruiscono un solido ponte che parte -senza alcun dubbio- proprio dagli ultimi capitoli a nome Negură Bunget che li ha visti (in misura sempre maggiore) protagonisti, quelli della Trilogia Transilvana in divenire e ad oggi ancora senza una conclusiva parte, tuttavia deviandone fortemente il corso in direzione di un’inedita solennità per raggiungere un’estremità altresì ricca di nuove influenze o, quantomeno, di sviluppi che fino al 2016 erano stati solamente accennati o velocemente cristallizzati tramite forme che qui trovano pieno sviluppo in costruzioni maggiormente focalizzate e meno dedite a quegli sperimentalismi d’inafferrabile concezione che, da sempre, contraddistinguono invece l’operato della precedente band.
Chiaramente, fosse anche solo per questa ragione, le due prove maggiori in comune affiatamento e rodaggio dei membri dal 2015 al 2016 forniscono un’ulteriore -o finanche preventiva- chiave di lettura all’operato nel tempo presente, come del resto si dimostra necessario partire da quel punto per una descrizione che tenga in considerazione uno sviluppo d’identità e in qualche modo padronanza di un lemma stilistico, così come di una inclinazione fatta innegabilmente ed efficacemente propria; tuttavia, queste non comportano un passaggio irrevocabile alla comprensione o godibilità di “Meteahna Timpurilor” proprio perché l’album vive da subito di caratteristiche proprie che -a considerevoli tratti- si staccano con coraggio da fissazioni sistematiche a cui il progetto ventennale sembrava non poter invece rinunciare. Non solo il susseguirsi degli otto ricchi brani mostra immediatamente una propensione (se non alla forma canzone, come nella conclusiva “Jabracie”) al minimo lanciata nella direzione di una maggiore approcciabilità che non trova nella sua cifra le divagazioni astratte e quasi pittoriche del passato (persino la mastodontica “Dor Austru”, esempio totalmente unico con i suoi undici minuti comprensivi di coda, resta fortemente ancorata al neonato carattere stilistico dei Sur Austru), preferendo sviluppare l’inespressa tendenza al Doom come elemento fondante del Metal oggi proposto dalla band. Questo cambio di rotta, assolutamente benevolo, non esclude in alcun modo né l’interesse e nemmeno l’inusualità delle scelte compositive (e ancor più d’arrangiamento, come d’attesa, estremamente curato e raffinato), ma è innegabile che le redini più corte contribuiscano senz’altro a tenerlo al centro collante del mondo dei Sur Austru facendolo finalmente andare ben oltre le harsh vocals profonde di Kati -non a caso il maggior compositore del disco- innanzitutto con l’oscurità avvolgente e misteriosa delle tastiere e dei sintetizzatori (sospese tra le caratteristiche Dark Ambient e ataviche, pagane coralità), ma soprattutto con l’uso di accordi pieni, di enorme solidità e pesantezza, sgranati lentamente per suggellare un’atmosfera di maestoso cordoglio che riesce a raggiungere persino paralleli chitarristici con i My Dying Bride à la “The Cry Of Mankind” sul finale dell’affine “Mistuind”; una visione d’insieme ottima a ravvivare ulteriormente i pigmenti di un canovaccio in ogni caso tutto tranne che ripetitivo o scontato. È proprio l’inedita sensibilità luttuosa che si sottace in costruzione prima e raggiunge apici di bellezza in episodi come il citato terzo brano o il cuore della più avanguardistica e camaleontica “In Timp Vernal”, dove il gruppo rallenta ancora più angosciosamente e con grandissimo gusto prima di gettarsi nuovamente in pasto alle stramberie.
Si tratta in ogni caso di un nucleo che raramente diventa rarefatto o dilatato come vorrebbe il copione ritmico, ed è complice del misfatto la marcata venatura di Black Metal evoluto che permea l’opera in modo pressoché costante sia per l’oscurità delle atmosfere, che per gli arpeggi distorti in minore (“Puhoaielor”), i lead tragici ed il ricorso, non frequente ma nemmeno trascurabile, alle meccaniche delle ritmiche estreme, non ultima quella del blast-beat gestito peraltro con grande cinematograficità e pathos (“Bradul Cerbului” su tutte), oltre all’accennata propensione alla scrittura di brani tutto sommato di medio-breve lunghezza a  loro modi dritti al punto; la band si dimostra bravissima infatti a renderli, nella loro durata relativamente scarsa, ricchissimi di materiale ed idee che potrebbero essere sviluppate anche ben più a lungo per via di una propensione all’evoluzione progressiva capace di caratterizzarli sempre e con vivo interesse.
Medesima classe viene dimostrata nell’impiego dell’arcano parco strumentale acustico, i caratteristici tulnic di varia tonalità e i kaval trovano enorme spazio in squisita misura letteralmente in ogni brano (“Jale” ben più di un intermezzo), accanto al nai (flauto di pan della tradizione romena) e alle percussioni su pietra che donano aria antica in ritmi raddoppiati mentre il cospicuo uso dei cori risuona nell’etere con tutta la grande musicalità di cui la lingua romena è capace.

Con quello che sulla carta è solo un debutto, mentre nella pratica si dimostra un lavoro di alta fattura e consolidata esperienza in grado di donare momenti di unicità all’ascoltatore, i Sur Austru realizzano dunque un primo passo che definire di solidità sarebbe riduttivo: potenzialmente in grado di soddisfare qualunque vuoto lasciato dalla fine forzata della storica band il cui percorso i Nostri hanno rispettosamente deciso di concludere – allo stesso tempo forte di una personalità che gli permette di stagliarsi già lontano da quest’ultima e di dire realmente la sua senza bisogno di usare il megafono di un passato che rischiava di essere scomodamente ingombrante e che, al contrario, merito di brani tutti grandemente diversi tra loro a fare sfoggio di un’identità precisa (tanto che nessuno riesce ad essere completamente dimostrativo nonostante il filo rosso sia evidente ed immersivo), rifulge come mero punto d’inizio e matrice nella manipolazione di folklore oscuro, tetro, inquietante, remoto come il tempo e di viva e al contempo mortale suggestività.
Forte di una visione che restituisce con vividezza tali sensazioni, drammaticamente impossibili da fingere senza aver fatto propri gli insegnamenti di una figura mentoriale autentica, non vi sarà stupore se la neonata band transilvana sarà in grado di continuare a regalare sorprese come questa ancora per molto tempo.

Matteo “Theo” Damiani

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