Setherial – “Nord…” (1996)

Artist: Setherial
Title: Nord…
Label: Napalm Records
Year: 1996
Genre: Melodic Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “In The Still Of A Northern Fullmoon”
2. “Mörkrets Tid”
3. “Över Det Blodtäckta Nord”
4. “I Nattens Famn”
5. “För Dem Mitt Blod”
6. “I Skuggors Dunkla Sken”

Il primo passo su full-length dei Setherial è uno di quelli dalla grazia alchemica che fin dalla curatissima copertina, oltre a descrivere visivamente da sé la musica ivi contenuta forse puntualmente meglio di qualunque parola venga mai in possibilità, definisce un autentico paradigma estetico in favore di ciò con cui la Svezia natale sarebbe stata iconograficamente e musicalmente associata -persino dai suoi successivi interpreti- per gli oltre due decenni successivi: la grandezza vasta, aspra, incommensurabile e spaventosa di una foresta tipicamente nordica, dedalo incontaminato e minaccioso vestito di una neve che ha del perenne e dell’irremovibile, dell’eterno, nella notte nera e carica di mistero che per lo sguardo è illuminata soltanto nelle immediate vicinanze da uno squarcio di flash che rende astri luminosi nell’etere i fiocchi gelati, e che non si presta a mostrare invece quel che giace (o attende) celato poco più in profondità; di una macchina fotografica che, escluso il solo inevitabile punto di vista, filosoficamente e spazialmente centrale alla composizione, è l’unico elemento umano con riluttanza ammessovi – più insignificante che non ingombrante, più timorato che non scomodo o improbabilmente fuori posto nell’indifferenza regalmente altera di un vero e proprio vanto grafico incorniciato di splendori d’ottone consumato, nell’elaborata cornice che trasuda antichità, spruzzato dell’argento ricamato in quattro lettere capitali e in un logo tanto elegante quanto roboante, ricercato e (per merito delle doti grafiche di un Jens Rydén ugola di “Vittra” e dieci anni più tardi dei Thyrfing, ma anche dell’attenzione cromatica alle sfumature permesse dalla sublimazione metallica nella stampa) naturalmente legato ad uno sfondo attivo, protagonista più che partecipante con cui il lettering diviene una cosa sola e dall’immediatezza descrittiva fortissima.

Il logo della band

Il più profondo Nord, ammantato e sferzato dalle folate di una bufera sanguinolenta che insieme tingono e spazzano, temprandolo come acciaio del più fine e resistente, il carattere di un disco per moltissimi versi unico, notevolmente più difficile dell’ottima concorrenza nazionale in campo melodico eppure che ad esso altrettanto deve; seppure infatti i Setherial siano da sempre considerati come eterni secondi all’interno di un panorama nazionale ostilmente stellato di talenti in quel momento già in potente ascesa e prossimi a guadagnare una fama mondiale con pochi pari nel globo, complici dunque le ingombranti presenze di gruppi come Marduk e Dark Funeral (al cui stile, nonché suono, la band dovrà in realtà solo a partire dai successivi “Lord Of The Nightrealm” ed “Hell Eternal”), il quartetto proveniente dal buio preminente dell’isolato Västernorrland trova piuttosto la sua prima e più ispirata casa spirituale e musicale sotto l’ala di quel Melodic Black Metal che proprio nel 1996 fa faville a ripetizione sulle ali di dolore dei Vinterland, nella lontananza sublime dei Sacramentum dal calore dei raggi del sole e -soprattutto- delle tempeste a rovina di ogni luce e forma di bene dei Dissection. Ma non per coincidenza, a differenza di qualunque nome tutelare svedese citato e non, dalle più tecniche o raffinate meteore ai futuri inarrestabili panzer (con cui comunque condividono la scelta precoce a metà 1995 di registrare e far produrre il proprio debutto da Tägtgren negli Abyss), i Setherial di “Nord…” guardano anche a quella Norvegia che offre la sua oscurità nelle trame intricate e sinfoniche di “In The Nightside Eclipse” e delle rincorse dei Malignant Eternal in “Tårnet”, in quelle ricolme di neve e ghiaccio di “Pure Holocaust”, per creare un tributo unico che assurge col suo sincretismo stilistico trans-scandinavo a manifesto d’amore quasi patriottico (graziato com’è dalle liriche stornellate per l’ultima volta completamente in lingua madre, con l’eccezione illustre dell’opener) ed esclusivo di un’area nazionale che, nel particolare, non ha storicamente avuto pari d’efferatezza nel genere.

La band

Perché è proprio il contesto geografico e climatico se vogliamo singolare, più duro e proibitivo, più estremo rispetto a quello dei pure artici coevi dei fiorenti Setherial, a fornire loro la chiave poetica ad un mondo che fino a quel momento non era ancora stato totalmente dischiuso in musica: l’unicità amara si rivela travolgente ed esorbitante fin dall’apertura del disco in blast-beat come fosse medias res, senza alcun tentativo di qualsivoglia introduzione o ambientazione per l’ascoltatore (una scelta estetica tutto tranne che scontata o banale su full-length nel 1996, che sussurra peraltro più di una predilezione rispetto a quel che sarà il violento futuro stilistico del gruppo), esposto in mezzo secondo dalla calma alla tormenta fattasi suono, risucchiato nel cuore di un inverno eterno e nel grande freddo che nelle trame “In The Still Of A Northern Fullmoon” si fa paralizzante ed ipnotico proprio per la mobilità imprevedibile ed estraniante dei giri chitarristici, tra enormi ascese e discese presto mutate in chitarre acustiche che, sovrapposte, rimbalzano note calde e mistiche tra i motivi distorti che si inseguono e si concatenano eterogenei alla discrezione di orchestrazioni algide, appena accennate ma così cruciali nella congiura dell’atmosfera unica che “Nord…” permette di provare. La mole di temi musicali dell’apertura viene persino doppiata nell’altro quarto d’ora che attende al centro, nella favolosa “Över Det Blodtäckta Nord” che con i suoi impegnativi giochi ritmici e singhiozzi d’arrangiamento o strutturali Folk incastonati (non soltanto acustici né forse sentiti da tutti già nell’opener, ma si voglia prendere in considerazione anche solo l’assolo di passaggio sul finale del più lungo dei due titani) è prova suprema rispetto ai più compatti proiettili di come i debuttanti Setherial non siano solo neve e gelo ma anche il calore tiepido e squisitamente nordico di una candela, nell’abbraccio silenzioso dell’oscurità nel mezzo del legno di una cabina immersa nelle tenebre (sul cui improvvisato bagliore d’imprevedibilità tremolante in bilico tra ispirazione e curata razionalità Bekëth Nexëhmü, Mystik e simili avrebbero, finanche visivamente, costruito intere discografie di demo venti anni più tardi) e di come in ciò si avvicinino -piuttosto che ai più blasonati svedesi novantiani- alla sensibilità dei Sorhin del debutto, di cui “Nord…” ed il mini apripista “För Dem Mitt Blod” sono precedenti diretti in tutta evidenza importanti (non bastassero i criteri compositivi facilmente udibili, venga in soccorso anche il nastro esplicitamente condiviso tra le band ad inizio 1996).
A differenza dei successivi album, quasi irriconoscibili per compattezza ritmica, concretezza melodica dei riff quadrati notevolmente più vicina ai connazionali e coerentemente in corsa con questi ultimi verso vette di estremismo e velocità, il valore atmosferico di “Nord…” è infatti sopraffino. La concretizzazione massima degli sforzi in tal senso avviene senza misteri nei due pezzi dal minutaggio più esteso del lotto, forti di evoluzioni semplicemente impossibili sulla metà, o perfino un terzo dei minuti; ma anche i ben più brevi cinque d’intensità massima intitolati “Mörkrets Tid” offrono in verità un break ed un finale dal sapore orchestrale da pelle d’oca, nonché cambi di direzione facilmente estendibili per il doppio del timing: tutta la furia primordiale del Black Metal svedese, naturalistica, inumana ed inalterata come forse mai sentita altrove, viene pertanto felicemente condensata anche nei tre episodi minori del disco, in un’omogeneità piena di differenti spunti (dalla violenza cruenta della letale “För Dem Mitt Blod”, parziale anticipazione di quel che sarà, alla brutale schizofrenia della dinamica “I Nattens Famn” o agli intarsi acustici ed epici di “I Skuggors Dunkla Sken”) che lo rendono un corpus unico eppure notevolmente stratificato, che perciò offre tutto il suo potenziale soprattutto se goduto tutto d’un fiato, mentre le urla di Kraath e della spalla ospite d’eccezione Tägtgren (curiosamente, e sensibilmente, qui autore di un mix ruvido che -lo si noti facilmente nei blast-beat come nelle tirate di doppio pedale- predilige piatti e grancassa in altezza piuttosto che il rullante asettico poi divenuto tipico degli Abyss) si susseguono e puniscono fluviali come un vento che intona atroci ululati, che soffia e accompagna fedele la neve verso ignoti reami di un’altra età, oltre il tempo, ma fatta di perenne oscurità.

Nonostante l’appoggio (forse prima del 1998-2000 nemmeno troppo decisivo, come nel giovanissimo caso in oggetto) di una label artisticamente d’oro puro quale Napalm Records di metà anni ‘90, già fortissima dei primi e futuri parti di Abigor, Summoning e Nåstrond, non sia agli autori di “Nord…” e dei successivi due album certo mancato, il raccolto ai piani alti del genere è altresì raramente stato concesso, nonché il riconoscimento di un certo quanto evidente lampo di genio poco e male accordato; ma al di là di qualunque mistero di popolarità sfiorata e non afferrata, di un’eventuale mancanza di un quid o del proverbiale passo ulteriore morto sul da farsi, e di una retrospettiva analitica o anche di banali speculazioni, quel che resta è che dei Setherial decisamente più complicati e meno immediatamente armoniosi o diretti di molti coevi sulle stesse coordinate potranno certamente, e del resto, non aver mai avuto vita poi troppo facile in un contesto geografico così pieno di concorrenza (al netto specialmente di una discografia comunque non solo qualitativamente altalenante nel suo prosieguo durante il nuovo millennio, ma evidentemente di un’evoluzione sconfinata in una violenza poco propria e a tratti rattoppata), eppure proprio a questo milieu -croce e delizia di successo od insuccesso di una band- devono il motore d’ispirazione primo, fisiologico e biografico che ha permesso loro di elaborare ed incidere un gioiello d’arte, un classico di maestosità che ha trasceso il mero scorrere del tempo in venticinque anni dalla sua pubblicazione: quel Nord ricoperto di sangue che non guarda in faccia uomo alcuno e che come pochissimi altri prima e dopo di loro hanno saputo mettere in musica, con la ferocia perfida di una valanga che sorprende improvvisa, con l’eleganza inavvicinabile, candida ed intonsa di un manto innevato, e con il misticismo di una fiamma la cui luce danza in eterno, in sé come riflessa in quella solo apparente degli altri.

Matteo “Theo” Damiani

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