Satanic Warmaster – “Aamongandr” (2022)

Artist: Satanic Warmaster
Title: Aamongandr
Label: Werewolf Records
Year: 2022
Genre: Symphonic Black Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Bafomet”
2. “Duke’s Ride (…Of The Spectral Hooves)”
3. “Berserk Death”
4. “The Eye Of Satan”
5. “Darkness… Triumphator”
6. “Barbas X Aamon”

He commeth abroad in the likeness of a Wolf, having a serpent’s tail, vomiting flames of fire. When he putteth on the shape of a man, he sheweth out dogs teeth, and a great head like to a mighty night hawk. He is the strongest prince of all other, and understandeth of all things past and to come. He procureth favor, and reconcileth both friends and foes, and rule forthy legions of devils…

Cosa può sussurrarci all’orecchio, nel suo singolar cammino, un processo linguistico? Intenzioni, processi di pensiero altrimenti impossibili da veicolare: vere e proprie filosofie o visioni del mondo sottintese nella trasmutazione di forma che tiene stretto il megacosmo fatto di sfumature e pagliuzze di mentalità, di parallelismi e riflessioni. Da Amon ad Amun, da Baal-Hamon o Nahum fino ad Aamongandr – dio di ogni dio nelle antiche culture fra quelle fiorenti per oltre tre millenni lungo le sponde del Nilo, divinità dalla pelle di luna superiore ad ogni altra divinità, re a cui tutte le altre manifestazioni tangibili ed intangibili devono rendere servizio nonché all’impietoso giudizio rimettersi; gran Principe degli inferi al comando delle quaranta legioni infernali, marchese dell’Inferno scarlatto stesso nonché settimo spirito, invece, nella tradizione goetica e nella demonologia esplorata in senso cristiano-giudaico. Ma, com’è già morfologicamente evidente, con un significativo twist fin dal nome nella sua deviazione: un tributo alla nordicità e alle forze del male all’unisono, in quella curiosa ma inventiva crasi poeticamente ricreata per il titolo dell’opera in analisi. Colui che conduce sulla strada dell’avidità e che, negli studi assortiti di Jacques Collin De Plancy come negli scritti di Johann Wier, è nobile spirito demoniaco in teriomorfica forma di lupo in pelle umana porta infatti con sé anche lo stendardo delle forze occulte del più profondo nord: un mannaro, se vogliamo, che può osservare e comprendere meglio di chiunque altro ogni cosa passata e futura -trascorsa e vissuta dal mondo, come che ancora deve venire e manifestarsi-, reca così il sigillo dei figli prediletti dell’oscurità nordica, dell’inverno eterno, della guerra sacra e del terrore scatenato in terra.

Il logo della band

Al comando imperioso del potere magico di musica come il Black Metal scandinavo (alla cui gloria l’operato ivi in oggetto è dichiaratamente consacrato), del soprannaturale che certe frequenze invocano e fanno del resto prosperare nei recessi mentali come nelle fibre dell’organismo umano, questa pur potentissima divinità luciferina di vita e riproduzione, di amore ed odio, piega deferente il capo in venerazione per la comprensione e devozione verso qualcosa di più grande della sua singolarità – esattamente come ogni potente e saggio della cosmogonia e mitologia germanico-nordica, non escluso lo spaventoso Jǫrmungandr figlio del Lucifero-Loki, lo stritolatore del mondo (nonché, in un curioso circolo semantico che in un certo senso si chiude, il dèmone dalla forza cosmica), deve rimettersi all’ineluttabilità del fato che tutto comanda e predisponde: bene e male, omicidio e nascita, sorgere in gloria come crollare in miseria. Insomma: anche soltanto fermandosi ad una rapidissima riflessione su una semplice parola vergata in oro s’una evocativa copertina, v’è molto più di quel che sembra nelle intenzioni e nei meccanismi sottolineati in musica, immagini e parole da un autore conscio d’interessi e letture come Lauri Penttilä – ed “Aamongandr”, sesta fatica di sei in forma di full-length, con ogni probabilità lo dimostra in fattezze ed obiettivi meglio di qualunque altra mai composta dal combo di Lappeenranta.
Volendoci infatti anche spostare sulle mere azioni musicali del Werwolf Of The Black Order, sempre tenebrose e dunque spesso difficili da comprendere appieno proprio perché mascherate di una sardonica e beffarda semplicità, il nuovo “Aamongandr” per molti versi mette pace tra la polarità dei due capitoli di maggiore grandezza dei Satanic Warmaster: dell’ultimo nato, “Fimbulwinter”, tiene come prevedibile la maggiore cura di dettagli e la chiarezza di suono nell’alchimia fra strumenti, in criteri del mix quanto in metodologia di mastering nonché del personale coinvolto (non del tutto uguale, benché il Graf Werwolf resti l’ovvio motore compositivo ed in studio di registrazione addetto alla sola voce e chitarra: Grond dei White Death sostituisce alle pelli l’helltorment of mayhemic coffins Vitterholm, e il nuovo ingresso Trollhorn già testato sulla bonus “Silent Call Of Moon’s Temples” diventa ora parte integrante della line-up per l’intero album); di “Carelian Satanist Madness” il neonato disco ha invece il tiro micidiale, l’orecchiabilità sfacciata di canzoni dall’enorme potenziale di scrittura a prescindere dal suono finale – che sia la copertura più grezza, lo-fi, slabbrata, monocromatica ed incolta del sophomore datato 2005, o piuttosto le rasoiate nel taglio splendido che conservano le chitarre di “Aamongandr” (in cui vengono immerse, come suggerisce l’artwork, non casualmente nuove sinfonie e cromie d’elementi a grande sorpresa), le quali proprio al suono di quelle del terzo disco a nome Satanic Warmaster (e volendo al fratellino del 2003) guardano, molto più che non all’approccio a muraglia di medie frequenze presentato nella cura ingegneristica di “Fimbuwinter”.

Werwolf

Questa attenzione è comunque mantenuta entro certi necessari limiti per far risplendere gli aspetti sinfonici a cui già la band si era aperta nel 2014 col piccolo classico “When Thunders Hail”; si potrebbe anzi affermare con facilità che proprio la loro esplorazione sia il punto nodale del gruppo nell’anno Domini 2022. La chiave nello scrigno, quella da inserire nella prima serratura che sbloccata attiri lo sguardo sulle meraviglie d’oro e cremisi contenutevi, potenti amuleti in cui risuona tutta la riuscita di “Aamongandr” e di un tale salto compositivo in barba ad ogni precedente successo del monicker, è infatti presumibilmente la sensibile e maggiorata importanza, inedita tutto sommato, concessa proprio al reparto delle tastiere lungo l’intero scorrere del disco. Questa volta nessun pezzo è difatti esente per più di qualche secondo di fila dal loro incantato tocco: poco importa poi che siano tappeti elegantissimi più o meno di punta nell’economia del suono, o lussuosi rigonfiamenti orchestrali, campionamenti inconsueti per il progetto e dal visionario valore cinematografico (si pensi al superbo break nella cavalcata degli zoccoli spettrali, che riprende ed espande un tentativo solo abbozzato prima del finale della già riuscitissima “Winter’s Hunger” di ormai otto anni fa), o tutti quegli effetti dalla freddezza e dalla digitalità in suono quasi vintage nel loro essere filologicamente novantiani – molto più che nelle precedenti “Nuin-Gaer-Faun” o “Dragon’s Egg”, e ben oltre le tentazioni cosiddette Dungeon-Synth del San Tyrant Werwolf in una “Blessed Be, The Grim Arts!”, così come nel regalo mortiisiano del troll connazionale quale coda dell’ultimo album.
Sono precisamente lo spazio e la carta bianca evidentemente lasciati infatti al genio d’arrangiamento di un Trollhorn, il quale porta oggi il sapore inconfondibile della sua mano devota ai dolori della luna nei pezzi dei Satanic Warmaster (non dissimilmente a quanto avvenuto quattro anni or sono nell’epitaffio Alghazanth, “Eight Coffin Nails”) elevandoli a tutto un altro livello senza precedenti, aggiungendo dimensioni e profondità espressiva, quasi rivoluzionandone il linguaggio senza tuttavia farlo realmente (perché, in tutta evidenza, l’idioma che parlano quei moncromatici tasti e le propensioni smaccatamente annunciate del Penttilä sono le medesime nel profondo), a donare ottima parte dell’anima che possiedono pezzi clamorosi dal valore della già accennata “Duke’s Ride (…Of The Spectral Hooves)”, dal canto suo e senza troppo bisogno di riflessione il più grande pezzo mai incluso in un’uscita Satanic Warmaster e presumibilmente anche solo pensato dal compositore (quasi sembra portare avanti e tremendamente oltre il discorso accennato ed iniziato ad esplorare con “Funeral Wolves”); o della speciale “Barbas X Aamon” dove, se parliamo di autentica ipnoticità, la supremazia di una old-glory come “My Dreams Of 8” nell’alveo tracciato nel campo della lentezza dal progetto finlandese viene strabattuta su ogni fronte, incastonandosi come gemma di funereo, burzumiano ed ultraterreno slow Black Metal nella corona delle forze compositive e d’atmosfera di Werwolf.
Ma questo velato tripudio sinfonico di pad coristici e corali che s’intensificano di ascolto in ascolto, e che sanno tanto dei primissimi Dimmu Borgir (lo spirito malinconico di una “Alt Lys Er Svunnet Hen” rivive in “Berserk Death”, benché pompata dei muscoli squisitamente manowariani di una “Pentagram & Wood”) quanto non casualmente delle stesse altre e personali band di Henri Sorvali, fatto non di rado di quelle melodie sul limitare estremo del folkloristico come i tutelari primi due parti dei Satyricon o quel grandeur di cavalcate melodiche sulle ali di blast-beat di vicina abigoriana memoria; questo intensificarsi di dettagli da scoprire, sublimato, è esattamente quel che in fondo permette al nuovo disco di stagliarsi altissimo in una posizione tutta sua nel catalogo ormai vasto della band tanto per merito della sanguinosa “The Eye Of Satan” (graziata da un reparto di blasfemie recitate a sorpresa in finlandese, stratagemma conclusivo di enorme pathos, oltre che da un sopraggiungere artico di tastiere nel suo cuore in termini di minutaggio), quanto al ritmo sincopato à la sezione centrale di “The Vampyric Tyrant” (o “Black Destiny”, volendo rispolverare una volta tanto “Opferblut”) che apre la gustosissima “Berserk Death”. Altrettanto lo fa però la velocità generalmente sostenuta che compensa le peripezie tastieristiche a cui il suono tipicamente Satanic Warmaster non è certo abituato. Qui esce tutto il merito di una opener eccezionale come la trionfale marcia del “Bafomet” su campi in cui serve la prova di forza ritmica e quasi atletica dell’ipnotica, imperiale “Darkness… Triumphator”, dove viene sfruttata ed esercitata al limite estremo la grettezza minimalistica e ripetitiva di un singolo riff soltanto, ossessivamente insaporito di accenti tastieristici e di una struttura ascendente innalzata in valore dalla grandiosa prova generalmente disseminata nell’album dal cantante: acidissimo, demonico – vero comandante infernale dall’ugola vitriolica che sprona in una guerra dal melodicismo con sapore quasi medievale (tanto della stessa prima traccia, quanto di quasi tutte le accelerazioni condotte dalla tapestry di blast-beat che ha la voluminosità circolare con ritorno della tripletta d’inizio carriera dei Taake: maligna, enorme, armonica e fulminante).
La ricetta che, a leggerla sulla carta, pare quella di “Fimbulwinter” è tuttavia ribaltata in suono (le frequenze grezze riempiono tutta l’eccessiva saldezza ed asciuttezza) e pensata narrativa: se da un lato “Aamongandr”, segue le tracce lasciate dal suo predecessore, e dunque resta forte di riff sporadicamente distinti come alabarde affilate, qui la concentrazione più totale è per la prima volta riservata all’arrangiamento molto più che riff-centrica – sulla creazione atmosferica più che sulla sferzata in pieno volto: intrecci di lead chitarristici e tastiere avvolgono l’album, a tal punto che, così ammantato, si possa francamente considerare tanto sinfonico quanto grezzo il gusto della musica anche quando le tastiere non ne creano il motivo principale. In definitiva, quello che rende “Aamongandr” immediatamente un grande, forse grandissimo disco è proprio la sua costruzione estremamente compatta e densa dove ogni elemento si dispone alla perfezione al suo posto, e dove tuttavia ogni brano ha da subito modo di rivelarsi totale hit, o per meglio dire entità molto facilmente memorizzabile a sé stante, pieno di dettagli inconfondibili e per l’appunto memorabili nonostante la loro livorosa avversione al compromesso: una celebrazione di tutto ciò che il Black Metal deve rappresentare per l’appassionatissimo e da oltre vent’anni devoto Werwolf.

È sicuramente vero dunque che “Aamongandr”, nella sua statura di album, potrebbe a conti fatti scontentare più di un palato e più d’un supposto estimatore. Ma è vero solo nella misura in cui vi siano disattenzione e mancata comprensione di fondo nell’equazione: perché da un lato chi si aspetta o pretende immobilismo dal progetto, incompreso come mero omaggio al passato d’altri, rimarrà fortemente scontento delle novità cospicuamente esplorate in questi sei brani; chi cerca invece l’esperimento che possa portare un simile linguaggio oltre i suoi valori ed obiettivi, perdendoli nel tentativo muto di assecondandare stupidamente quelli di un tempo che non gli appartiene, resterà ugualmente insoddisfatto sentendo quella novità troppo poca, o sentendola latitante del tutto perché troppo spesso dolorosamente confusa con l’autentica prova di personalità che il nuovo Satanic Warmaster vince al contrario con estrema competenza, svelando il suo autore con una forza mai mostrata prima quale uno di complessa semplicità.
Ma quel che conta in fondo è che con “Aamongandr”, Werwolf non si riconfermi quindi soltanto uno dei più affilati e ferventemente intuitivi compositori di musica nera dell’intera Finlandia – questo non sarebbe poi, a ben vedere, considerabile un chissà quale traguardo qualora sia tenuta in considerazione la quindicina d’anni abbondante ormai trascorsa dall’ancora oggi acclamatissimo “Carelian Satanist Madness” che segna un punto di non ritorno (innegabilmente anche mediatico) nella carriera del musicista finnico quanto nel filone nazionale come oggi lo conosciamo. Quel che “Aamongandr” fa è piuttosto superare in continuazione le sue stesse gesta con un grande, vampiresco balzo, con l’agilità ritmica e la squisitezza melodica di una fiera e che lo contraddistingue e separa da ogni altra prova ad oggi firmata Satanic Warmaster, non solo mescolando come evidenziato le carte in tavola in maniera sorprendente, ma portando l’intero mazzo con sé su nuovi sentieri che sanno di un futuro passato, di una grandezza che -in quanto tale- è materia sempre malleabile nella mente di chi la comprende, squisitamente personale come conseguenza inevitabile e pertanto senza tempo.

Matteo “Theo” Damiani

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