Novembre 2019 – Umbra Conscientia

 

La grande (e in qualche modo anomala) dose di unanimità degli scorsi mesi in redazione, qualora di fronte al momento di scegliere quelli che sono stati i dischi preferiti dei circa-trenta giorni precedenti, viene in qualche modo interrotta da novembre. Abbiamo infatti questa volta un vincitore assoluto, con ben poche riserve, che si porta a casa una quasi-standing ovation godendo dell’apprezzamento personale della pressoché totalità dello staff, staccando tutti gli altri dischi piaciutici (non meno del vincitore, in molti casi) che seguono con nomine sparpagliate soltanto da qualcuno di noi per ognuno dei tre runner-up.
Quindi bando alle formalità e partiamo con gli Umbra Conscientia, favoloso debut-album della sconosciuta band già autrice del disco della settimana corrente che qui stiamo ascoltando ininterrottamente ormai da qualche tempo e che pur avendo visto la luce (degli scaffali…) ufficialmente non prima dell’ultimo giorno del mese tramite Terratur Possessions– proprio non è riuscito a non portarsi a casa ammirazione tale da essere eletto a stretto giro di boa anche disco del mese di novembre. Meritatissima quadrupla porzione di parole dunque per “Yellowing Of The Lunar Consciousness”.

 

 

“[…] La realizzazione [di “Yellowing Of The Lunar Consciousness”] è in sostanza quanto di più notevole e difficile da assimilare all’idea di primo album assoluto di una band, tanto distruttivo da sfornire totalmente di argomenti riguardo possibili falle o imperfezioni e lasciare terra bruciata di convenevoli, nonché rendere inutile qualunque ulteriore giro di parole che risulterebbe semplicemente ridondante: rumorosi, ardentemente spaventosi, brucianti, spiritati, posseduti e convulsi come pochi, gli Umbra Conscientia sono graziati dalla rara abilità di veicolare autentica paura in musica. Facciamo in modo che un tale dono non vada sprecato o rimanga inascoltato.”

(Leggi di più nella recensione che lo elegge disco della settimana corrente, qui.)

Violento, viscerale, annichilente: il debutto degli Umbra Coscientia lascia attoniti e intimoriti fin dal primo ascolto. Le esalazioni sulfuree gettano una sinistra e pallida luce sull’antro da cui, disumane, si levano le grida che ci accompagnano in questo incubo spaventoso: una caoticità che flirta con un approccio Death Metal, pur sempre mantenendo cromie e suoni saldamente ancorati al nero metallo, con basso e batteria gorgoglianti a reggere un riffing portante sferzante e travolgente. Il risultato è un susseguirsi di cavalcate vorticose e abrasive, che fanno di “Yellowing Of The Lunar Consciousness” un debutto maestoso, che li candida a pieni voti fra le più intense e interessanti band definibili Orthodox nate negli ultimi anni.”

L’ultimissima creatura in casa Terratur Possesions è un’esplosione di talento targata Umbra Conscientia, band al debutto che già evidenzia un’incredibile naturalezza nel comporre musica. “Yellowing Of The Lunar Consciousness” è un flusso inarrestabile orchestrato da una componente vocale particolarmente versatile, emotiva ed in grado di aggiungere un ulteriore layer di aggressività al muro sonoro imbastito dal resto degli strumenti. In definitiva un’opera tanto semplice quanto riuscita, persino facile da assimilare nonostante l’estremismo e che diventerà una new entry nella vostra lista di dipendenze croniche.”

Il 2019 verrà ricordato, oltre che per l’altissima qualità in generale, in particolare per il mix di ritorni eccellenti e debutti incredibili. Gli Umbra Conscientia fanno parte della seconda categoria e, nonostante si sappia ben poco su di loro, hanno decisamente incuriosito tutti con il loro ottimo debutto (complice anche il furbo lavoro pubblicitario di Terratur Possessions): si è lontanissimi dal bluff, bensì al cospetto di un debordante inizio di carriera fatto di ritmi forsennati e continuamente incalzanti, di scream laceranti che creano gran parte dell’atmosfera caotica del disco soprattutto quando intervallati dai più sparuti growl profondi; il risultato è rendere opprimente l’insieme e gli Umbra Conscientia riescono in abbondanza.”

 

 

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Gli Obsequiae che avevano tanto fatto parlare di loro nel tardo 2015 grazie all’acclamato “Aria Of Vernal Tombs” e che sembrano non aver perso smalto nel suo successore, The Palms Of Sorrowed Kings”, fuori dal 22 di novembre per la partner 20 Buck Spin Records. I tempi medievali ci sono tutti, ma non sono particolarmente oscuri come siamo solitamente abituati a sentirli da queste parti e a queste longitudini musicali.

“Ciò che davvero stupisce del trio di Minneapolis è come, in cinquanta minuti di musica alquanto lineare nel suo barocchismo, l’ascoltatore si ritrovi praticamente incapacitato a sfiorare il tasto skip; questo perché furbescamente gli Obsequiae fanno della loro indubbia staticità un’arma, utilizzando ad esempio un cliché abusato quali i cinque intermezzi acustici come veri e propri brani, ma affini ai restanti sette sia per minutaggio che, soprattutto, per la stessa particolare atmosfera assolata. L’album si rafforza così in coesione e risulta inaspettatamente scorrevole, soprattutto se si è in grado di lasciarsi trasportare dal continuo fluire dell’onnipresente chitarra solista: il lavoro del principale songwriter Tanner Anderson può sicuramente risultare a tratti invadente e limitativo rispetto al resto degli strumenti, ma è innegabile come il suo tocco renda la proposta del gruppo originale e galvanizzante, seppur riservata ai soli fan dei giri melodici più sfrenati.”

Dopo quattro anni il pregevole Melodic Black Metal a tinte medievali degli statunitensi Obsequiae non cambia stilisticamente granché, ma la formula viene consolidata quel tanto che basta per elevarlo al di sopra della media. Il merito principale risiede nell’equilibrata alternanza ritmica tra mid-tempo e parti più tirate, in cui tuttavia le chitarre creano sempre vividi scenari epici e medievali. Proprio la vena epica del gruppo è ulteriormente innalzata in “The Palms Of Sorrowed Kings” e raggiunge il picco nella title-track: merito anche delle fantastiche clean vocals di Jake Rogers (Shield Anvil nei Caladan Brood) che aggiungono quel tocco solenne che vende l’intero album. Da segnalare inoltre i delicati intermezzi acustici di arpa, ormai un segno distintivo della band.”

 

 

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Una sola menzione per “Demon Solar Totem” dei redivivi The Deathtrip: progetto dal pedigree che vede il compositore Paul “Host” Groundwell avvalersi, dopo il carismatico Aldrahn del debutto datato 2014, dell’altrettanto talentuoso Kvohst -nessuna necessità di presentazioni- per realizzare il secondo colpo (uscito per Svart Records a metà mese). La menzione singola non lo rende meno importante: si tratta del disco del mese del nostro Caldix.

Il fascino della nobiltà inglese e il gelo norvegese trovano la propria massima espressione d’amalgama negli sviluppi di “Demon Solar Totem”, nuova fatica degli internazionali The Deathtrip. L’intero disco vive una sorta di climax ascendente progredendo da sonorità più epiche ed atmosferiche fino alle tracce finali, rappresentative di un vero e proprio omaggio al gelido Black Metal scandinavo di metà anni Novanta. Ciliegina sulla torta è la presenza alla voce di Kvohst (ex-Code e Beastmilk/Grave Pleasures tra le varie band) che si presta perfettamente alle diverse scenografie messe in gioco dalla componente strumentale. Consigliato in particolar modo se siete fan degli A Forest Of Stars: due band che evocano sensazioni molto simili tra di loro pur attraverso sonorità e attitudine completamente differenti.”

 

 

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Ultima nomina alla inarrestabile swiss-invasion che continua a regalarci grosse soddisfazioni, mettendo in campo l’interessante EP targato Ateiggär e un simile full d’esordio…”, come dice correttamente Ordog al riguardo di “Of Occult Signs And War” dei Chimæra. Ma non è l’unico a parlarcene – e chissà che il fatto di avere dentro l’interezza dei Grusig non sia ulteriore motivo di ascolto...

La vicinanza in termini di line-up coi già noti Grusig non è certo una sorpresa, dal momento che “Of Occult Signs And War” è quasi una riproposizione meno folkloristica ed ancora più aggressiva di quanto già ascoltato a gennaio; la minor particolarità del sound viene però bilanciata da una cattiveria genuina e non comune tra le nuove leve svizzere, vomitata senza tregua per trentacinque minuti di fuoco e fiamme. I pezzi più veloci vedono un gran bel lavoro della batteria, in un continuo alternarsi tra blast e ritmiche ai limiti del Thrash che tengono sempre alta l’attenzione, mentre i tempi medi vivono di riff assassini e di momenti corali la cui malvagità difficilmente si dimentica. Insomma: se la scena rossocrociata vi è sempre parsa troppo per palati fini, i Chimæra potrebbero veramente farvi cambiare idea in merito.”

Da paradiso fiscale a fornace infernale è un attimo: a prendere vita dal ribollente e fumoso fermento del Black Metal svizzero questa volta tocca ai Chimæra, creatura minacciosa e nefasta dietro alla quale si celano due figuri con i quali avevamo avuto a che fare ad inizio 2019. Nonostante un’atmosfera più sinistramente maligna e un riffing che flirta con un certo tipo di Black Metal più occulto e melodico, lo zampino dei Grusig è inconfondibilmente riscontrabile nelle schitarrate dal piglio punchy e Rock ’N’ Roll che rivestono l’ossatura del disco, in grado di far volare i già esigui trentacinque minuti di platter. Seppur “Of Occult Signs And War” non brilli di unicità, il suo approccio trascinante e immediatamente assimilabile sarà sicuramente in grado di fare ripetuta breccia nelle cuffie di numerosi di voi.”

 

 

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Quattro tipi di atmosfere, insomma, in quattro gradi di estrema aggressione o grande melodia in svariate sfumature; anche questa volta è bello notare come, in modo totalmente involontario, nel rendez-vous mensile ce ne sia sempre per tutti i gusti.
Col prossimo articolo della serie siamo arrivati alla fine anche per quest’anno. Avremo modo di ricapitolare tutto al meglio una volta giunti a fine mese, quindi nel frattempo sapete cosa fare in caso vi foste persi (o vogliate giustamente riprovare a recuperare) qualcuno di questi. Per chi già li ama, aspettiamo insieme la fine di dicembre così.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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