Inquisition – “Obscure Verses For The Multiverse” (2013)

Artist: Inquisition
Title: Obscure Verses For The Multiverse
Label: Season Of Mist Records
Year: 2013
Genre: Black Metal
Country: U.S.A.

Tracklist:
1. “Force Of The Floating Tomb”
2. “Darkness Flows Towards Unseen Horizons”
3. “Obscure Verses For The Multiverse”
4. “Spiritual Plasma Evocation”
5. “Master Of The Cosmological Black Cauldron”
6. “Joined By Dark Matter, Repelled By Dark Energy”
7. “Arrival Of Eons After”
8. “Inversion Of Ethereal White Stars”
9. “Infinite Interstellar Genocide”

A detta di molte personalità dall’influenza più o meno riconosciuta nell’ambito sonoro a noi qui caro, l’idea di successo quando si parla di metallo estremo consiste perlopiù in un’illusione fittizia nata e morta nell’aurea decade novantiana, quando i riscontri di una band verso il pubblico potevano essere quantificati in base all’inappuntabile dato dei dischi venduti. In aggiunta, mentre lo scenario Death Metal ha in effetti goduto nella propria golden age di nomi in grado di imprimersi non solo nei cuori dei fan ma pure nelle classifiche di vendita, come nel caso dei vari Morbid Angel, Obituary e Cannibal Corpse, dal canto suo il filone nero venuto così prepotentemente alla luce nel buio scandinavo non si è mai neanche lontanamente curato di tale evenienza – non tanto per via della sua attitudine fieramente anticommerciale, quanto per la mancanza di un impianto promozionale che andasse oltre all’estetica avveniristica ed avvincente, oppure alle leggende circolanti su quei misteriosi strumentisti venuti dal nord. Non vi sono ad esempio etichette discografiche davvero provvidenziali quali erano state Earache o Roadrunner nell’affermazione di prodotti tutto fuorché facili da digerire, ma semmai marchi oggi di culto caratterizzati dall’indiscusso fiuto per la qualità dei loro cacciatori di teste, e ciononostante limitati da una potenza di fuoco assai meno competitiva rispetto ad altri outlet. Questo almeno fino all’avvento dei nuovi anni ’10, dove tra i gargantueschi imperi del male di nome Nuclear Blast e Century Media svetta la Season Of Mist di Michael Berberian, label transalpina fondata con quasi un decennio di ritardo rispetto alle due precedenti ed eppure capace, nel medesimo arco di tempo, di portare a sé dei pesi massimo dalla comprovata fama quali Rotting Christ, Watain e, tanto per non farsi mancare nulla, persino degli altalenanti ma comunque iconici Mayhem.

Il logo della band

L’arrivo alla corte marsigliese, where the big boys play, di Dagon e Incubus è una notizia di quelle che mettono tutti sull’attenti – e per ottime ragioni. Il climax di “Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm”, ultimo atto della maturazione passata attraverso la permanenza sotto No Colours, aveva finalmente consegnato al monicker originalmente colombiano le chiavi della Volta Celeste, il lasciapassare sotto forma di full-length per un’attività live a quel punto ben ingranata ed essa stessa ottima modalità di auto-promozione, data la peculiare line-up a due membri la quale lascia tuttavia basiti una volta sperimentata la lucida brutalità che la bestia bicefala sa mettere su nei propri indimenticabili live show. In questo senso, l’accasarsi presso una vera e propria corporazione della musica pesante in ascesa non può che far bene agli Inquisition a cui, subito nel 2012, viene proposto sulla fiducia uno slot per il loro primo tour americano con tutti i crismi del caso, in compagnia di Septicflesh ed altri svariati gruppi afferenti all’etichetta francese; eppure, di tanto in tanto, sembra levarsi anche qualche voce discordante rispetto all’approvazione generale, appartenente con tutta probabilità a chi aveva visto il progetto in questione crescere e prendere la mefistofelica forma attuale, e che ora si ritrova a temerne una sorta di snaturazione in nome di standard produttivi previsti da quella che, nascosta dietro a qualche logo inquietante, rimane un’azienda dal notevole fatturato ed il cui obbiettivo è innanzitutto tenersi a galla in un mercato ormai ridotto ad uso e consumo dello zoccolo duro di supporter indefessi. Così come il concetto di successo, allo stesso modo quello di commercializzazione in questo ambiente risulta infatti piuttosto vago, applicato con risoluta ignominia in alcune circostanze mentre in altre mediato da discorsi evoluzionistici dal variabile grado di artificiosità: l’intera annata 2013 vede pertanto gli Inquisition calati alla perfezione in entrambi i contesti, mentre gli occhi del pubblico sono puntati sul prossimo capitolo in studio di un’entità giunta all’ennesimo giro di boa.

La band

Affidandosi a quel megafono di pulsioni giudicanti ed argomentazioni un tanto al chilo noto come internet, la reputazione di cui pare essere ammantato “Obscure Verses For The Multiverse” è quella di un album non proprio entrato nel cuore degli appassionati del duo a stelle e strisce: apprezzato certamente non fosse altro che per il blasone dei Nostri a quel punto bell’e consacrato, ma al tempo stesso vissuto come una sorta di ricapitolazione del sound congegnato dall’act se non addirittura un rimasticamento di esso al fine di renderlo appetibile persino a chi, fino ad allora, aveva letto degli Inquisition solo distrattamente su qualche forum o webzine entusiasta senza ad ogni modo avervi indagato troppo sopra. Quella che sembrerebbe a tutti gli effetti la farneticante teoria di un ipotetico fanboy tradito, ciononostante, viene in realtà resa fondata da alcuni brani in scaletta che difficilmente un sostenitore si sarebbe aspettato di sentire mai in un’opera dei suoi pittati beniamini, in special modo l’inclinazione al rallentamento qui ai suoi massimi storici.
Dissimulato dall’iniziale schermaglia di “Force Of The Floating Tomb” ed anticipato dal riffone esorbitante piazzato nell’incipit di “Darkness Flows Towards Unseen Horizons”, unico singolo di lancio in un’epoca in cui alla label non servivano per forza tre anteprime per spingere all’acquisto, il gusto del mastermind Dagon per il mid tempo conosce nei tre quarti d’ora di minutaggio una rifinitura del tutto inedita alla quale si devono l’inflessibile quattro-quarti reggente le acrobazie del pezzo omonimo, l’andatura ondivaga tra secchi colpi di timpano e sfuriate in blast-beat della successiva “Spiritual Plasma Evocation”, ed a seguire altri spunti quando non intere tracce in larga parte impostate su bpm ridotti e dotate perciò di un respiro entro cui c’è posto per l’intero arsenale di trucchi chitarristici a disposizione del frontman, con bending compromettenti la sanità mentale dell’ascoltatore, feedback e pinch-armonic ad un passo dal traforarne l’apparato uditivo. Vi è insomma una doppia identità rintracciabile nei solchi del full-length e rimbalzante tra l’ortodossia Black Metal incarnata nella prima metà di “Arrival Of Aeons After” ed ambizioni se proprio vogliamo easy listening, ma che nulla tolgono al fascino insito nel monicker; dissociazione artistica che da una parte può aver benissimo alimentato discorsi su quanto gli Inquisition volessero tenere un piede in due scarpe (ne è possibile riprova la discontinua “Master Of The Cosmological Black Cauldron”, ove le vocals riverberate del cerimoniere nordamericano sono vettore di un’estasi mistica poco sfruttata nel resto del brano), ed eppure è la stessa ad aver conferito loro la necessaria, sfacciata intraprendenza per includere quello stupendo lampo di luce squarciante il buio cosmico intitolato “Inversion Of Ethereal White Stars”: viaggio di cinque minuti tra stelle ardenti e galassie sconfinate oltre che, di gran lunga, episodio dal maggior impatto melodico tra quelli composti lungo sei dischi e ventitré anni di perenne ascesa all’Empireo oscuro.

Ricapitolando: ulteriore passo in avanti nella crescita di due talenti in continua crescita o versione for dummies dell’exploit “Ominous Doctrines…”? Fatti salvi casi rari e spesso qualitativamente ignobili casi singoli, a simili domande in questo campo non è mai e poi facile trovare una risposta precisa, mentre invece sarebbe più facile -e per una volta anche equo- appellarsi al sacrosanto gusto personale, il quale a chi scrive fa preferire proprio il valzer interplanetario dell’appena menzionata “Inversion Of Ethereal White Stars” all’uberviolento rigore della successiva “Infinite Interstellar Genocide” chiusa tuttavia da quella terrificante ed irrinunciabile outro di trombe ultraterrene, perfette per l’atmosfera quasi lovecraftiana e sicuramente apocalittica degli ultimi Inquisition (ripresa da una fantastica copertina che a sua volta lanciò in via definitiva l’oggi richiestissimo Paolo Girardi tra le grandi firme contemporanee).
Per quanto infatti inclini a mettere in discussione i dogmi del genere quando non direttamente sé stessi ed i propri canoni specifici, Dagon ed Incubus non si erano mai spinti a comporre pezzi tanto peculiari ed avulsi dal loro percorso, e tuttavia calati alla perfezione nella poetica a metà strada tra scienza ed occultismo che nessuno ha mai saputo replicare: il coraggio del duo verrà manco a dirlo ripagato con gli interessi, tra tour e festival da prima pagina ed una notorietà che sfonda qualsivoglia barriera rendendoli argomento di discussione di legioni di metallari attirati da questa singolare formazione ed irretiti da quelle stratificazioni sonore in cui perdersi con gioia ed un pizzico di sana paura. Ci si risveglierà da ciò nel giro di un lustro con in saccoccia un altro platter alquanto divisivo all’uscita e soprattutto una reputazione distrutta poco più tardi, ma nemmeno la più infamante delle accuse potrà farci scordare di quando per gli Inquisition l’unico limite era il cielo; e forse, viste certe tematiche, nemmeno quello.

Michele “Ordog” Finelli

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