Febbraio 2024 – Darkspace

 

Febbraio prosegue sospinto da perturbazioni stellari sulle cosmiche ali di uno di quei rari dischi seriamente e facilmente definibili incompresi o fraintesi, che tanto ci piacciono da queste parti. Un ritorno discografico dopo dieci anni di criptico silenzio studio inframmezzato solo da sparute apparizioni su palco e repentine risalite lassù, laddove persino gli astri si spengono e tutto viene risucchiato dal nero, non privo di un inaspettatissimo cambio di line-up per una delle entità più distanti, impalpabili e francamente ultraterrene mai grazianti questo genere di musica. Se ci aggiungiamo che si tratta di un lavoro più che presumibilmente (a ben leggere e ascoltare, in verità dichiaratamente) pensato da un solo membro del gruppo come parallelo e per certi versi discordante eppure -sempre a ben pensarci- assolutamente sensato e coerente esperimento EP ad unica traccia da oltre tre quarti d’ora, nei fatti anche e soprattutto stilisticamente distante da tutto ciò che poteva essere un ritorno in pompa magna per colmare un’avida attesa di una decade, nonché genialmente sparato nell’iperuranio quale ufficiale nuovo full-length dalla clamorosamente sfacciata quanto pochissimo lungimirante nuova label, allora abbiamo l’annunciata ricetta per un totale disastro mediatico e di ricezione critica (in tutta sincerità, molto ignorante rispetto ad ogni segnale non troppo difficilmente leggibile dal pacchetto completo fornito dagli artisti in questione). Forse la morte di un nome, involontariamente architettata dalle ridicole PR di etichette forti solo a cercare il tutto e subito, pronte a scartare alla prima occasione ciò che hanno contribuito ad affossare.
Nulla di nuovo, insomma, e noi si procede quindi col rimettere nel nostro fondamentale piccolo le cose al loro corretto posto dando il giusto merito all’antipasto laterale for things to come degli svizzeri Darkspace; prima di passare all’analisi del resto della crème del secondo mese targato 2024 in compagnia di un illustre luminare norvegese da tempo gone-solo, chiudendo il cerchio con nuove leve dalla vicina Svezia (più o meno, come vedremo) e con quella che ormai è una vera e propria sensazione underground dal Québec.

 

 

“Non dovrebbe essere complesso lo sforzo di contestualizzare un’opera come “Dark Space -II” fin dal suo eloquente titolo. Meticolosamente pensato e realizzato da un trio che seriamente nulla di nulla ha mai lasciato al caso o alla circostanza fortuita (forse colpevole solo di essersi scelto un pessimo nuovo quartier generale in termini di casa disocgrafica e relativa ‘promozione’ o scandalosa presentazione), il nuovo parto degli alieni svizzeri d’oltremondo crea uno strabiliante ponte e viaggio di passaggio tra punti d’attracco maggiori della discografia, recuperando a ritroso con ipnotica e reiterata intensità, con industriale e monotona, spaventosa costanza minimalista in termini (e massimalista in suono) le migliori sperimentazioni melodiche dei sinistri movimenti extraterrestri di “Dark Space III I” regalando un’esplorazione parallela nata da criteri tutti Ambient (guarda caso non dissimilmente, in ciò, alla presentazione “Dark Space -I”) ripensata nella inimitabile estetica e poetica Darkspace, nonché nel suo semplicemente sempre più sensazionale suono. Inquietante passaggio, imperdibile biglietto di sola andata verso un sempre più attesissimo “Dark Space III II”.”

“L’idea di diluire, se non addirittura castrare quelle spire soffocanti e spaventose che nei loro aspetti dicotomici rappresentano l’essenza stessa dei Darkspace potrebbe sembrare una follia se messo in scena in un potenziale “Dark Space III II”; tuttavia “Dark Space -II” non è il quinto grande capitolo nella discografia della formazione svizzera, e l’intento di sovvertire il dogma per ricercare un’altra via, rielaborare mezzi ed elementi così come composizione e visione strutturale, traspare ben evidente fin dal nome che non casualmente gli è stato attribuito. La perpetua progressione in atto nei quarantasette minuti abbondanti di musica vibra come l’eco di un nuovo cosmo vorticante, dilatato e distorto da frequenze lontane: i sintetizzatori psichedelici di “Dark Space III I” formano qui un denso substrato su cui il viaggio si compie, con cordofoni che perdono le caratteristiche di elemento di rottura granitica e si fanno traccia sul pattern elettronico, di pari passo con delle ritmiche che sfumano la rigidità disumana della drum-machine in favore di un più dinamico tappeto ritmico di vibrazioni e beat ricorrenti dallo spettro ampio e profondo. La costruzione peculiare, una produzione impeccabile nella gestione dei suoni e l’intensa carica meditativa ed immersiva, rendono “Dark Space -II” un’uscita sicuramente ostica se affrontata con le aspettative maturate da dieci anni di silenzio, ma che goduta invece con il corretto approccio più rivelarsi tanto interessante quanto potenziale capitolo cardine per l’evoluzione costante della formazione.”

Se esiste un nome in grado d’incarnare come nessun altro l’ermetismo e la mancanza di chiavi di lettura concesse dall’alto, allora quel nome è Darkspace. Naturale perciò che un lavoro come questo “Dark Space -II”, capitolo che spezza il pattern di continuità portato avanti con precisione svizzera dal monicker, finisca col creare un trambusto in verità abbastanza eccessivo sebbene indicante un’attenzione da parte del pubblico che per fortuna non è venuta meno, persino dopo un decennio di totale silenzio radio. Si parlerà di full-length o di EP, di Ambient o di Drone, si scomoderanno termini a scelta per definire una band di cui tutto si può dire tranne che suoni in maniera anche solo lontanamente convenzionale; e ciononostante chi scrive ha sui Darkspace del 2024 lo stesso parere di sempre: musica non di questo mondo, talmente ‘altra’ da non poter ricadere nelle categorie del bello o del brutto, bensì destinata solamente al genuino ribrezzo (reazione del sottoscritto a molti prodotti invero simili, nonché dall’analogo successo) o all’inconscia adorazione, la quale rimarrà immutata nel tempo finché Wroth, Zhaaral ed il nuovo entrato Yhs sapranno mettere insieme quelle frequenze inconfondibili, aggiungervi le loro voci raggelanti e portarci così una volta ancora sul lato buio della luna – e da lì molto, molto oltre.”

Il da queste virtuali parti mai troppo chiacchierato Ihsahn, non però una novità di apprezzamento per il nostro Caldix che -addirittura- ha sempre preferito la sua carriera solista al corpus degli Emperor, forte del nuovo omonimo ed ottavo full-length il quale per certi e selezionati versi ce lo riconsegna più che mai vicino proprio agli ultimi lasciti della compianta istituzione norvegese – benché progressivo ed inventivo esattamente come nei precedenti sette dischi.

Sinfonie da colossal cinematografico sono il punto di partenza per la nuova fatica del polistrumentista norvegese Ihsahn, al punto da far uscire un doppio album dove il secondo contiene solamente la versione orchestrale delle qui presenti undici tracce. Da non appassionato del Metal a tinte sinfoniche, il sottoscritto è riuscito ad apprezzare il modo in cui all’interno del disco le orchestrazioni accompagnano le dinamiche Progressive e quelle più estreme che delineano il sound della band anno 2024, andando ad amplificare i momenti più teatrali e drammatici, impregnando di carattere ed emotività le parti più rallentate dove prevale anche il cantato in pulito, assolutamente uno degli elementi di pregio ed in verità superiore rispetto alla voce in scream, la quale nei frangenti in cui la strumentazione si svuota appare eccessivamente effettata e poco coinvolgente. Non c’è alcun dubbio che la qualità sonora sia eccellente, d’altronde parliamo di professionisti in attività da oltre trent’anni; e fa più che piacere ascoltare un prodotto curato nel minimo dettaglio a livello di sound senza comunque risultare completamente schematico e plasticoso (un saluto agli amici Borknagar). Si conclude consigliando l’ascolto dell’intero disco piuttosto che qualche singolo preso a caso per farsi un’idea (ingannevoli, dal canto loro, eccezione fatta forse per “Blood Trails To Love” ed “At The Heart Of All Things Broken”), dato che le canzoni acquistano senso proprio e probabilmente solo relativamente all’architettura e all’evoluzione dell’intera tracklist.”

Una discreta novità sono invece gli Skuggor con il nuovo e secondo “Whispers Of Ancient Spells”, fuori per Naturmacht. Dalla mente di settemila progetti dei quali il più visibilmente caro e vicino al cuore sembrano essere gli Autumn’s Dawn condivisi con il buon Yatras, Matthew Bell in collaborazione col misterioso chitarrista trovato in terra svedese rielabora a modo suo un certo tipo di dilatato, atmosfärisk Black Metal figlio d’altri -indubbio- ma nondimeno affascinante nella sua finale resa.

Australiano trapiantato in terra svedese, il buon M. sembra riesca non si sa come a dividersi senza impazzire del tutto tra le prestazioni live con Austere e Germ, realtà su quella stessa onda tipo gli affascinanti Autumn’s Dawn, schizzi di follia quali i Wizardthrone ed infine anche rispettabilissimi progetti di sana imitazione, come lo sono Forlorn Citadel e questi Skuggor condivisi col chitarrista X.. Il canovaccio burzumiano, sbandierato senza vergogna alcuna dalle ritmiche cadenzate e dalla produzione estremamente lo-fi scelta dal duo, difficilmente lascerà insoddisfatti gli orfani del Conte Grishnackh ed in generale dei gloriosi anni Novanta, stavolta omaggiati da un autore la cui poliedricità emerge non tanto con insapori mix tra vecchio e nuovo ma tramite piccoli e singoli perfezionamenti che tuttavia fanno la loro sporca parte: il guitar-work in particolare è di stacco tra i migliori mai proposti da dei cloni di Varg Vikernes, semplice al primo ascolto ma in realtà costantemente incisivo e sfaccettato nella sua costruzione pur non uscendo mai da sotto quei chili di gain. Nulla di originale dunque, ma se al pubblico vanno tanto bene i Faidra una chance pure a questa mezz’ora di ottima musica là si potrà anche concedere.”

Strano ma vero, si chiude parlando dei discussi Departure Chandelier: proprio quei napoleonici (!) quebecchesi del chiacchierato debutto “Antichrist Rise To Power”, anno 2019. Abbastanza nuovi in fatto di approfondimento su queste pagine, tuttavia, i tre raggiungono nondimeno la fatidica prova del nove (o del due, nella pratica) con il nuovo “Satan Soldier Of Fortune” che convince il nostro Ordog, spinto pertanto a parlarcene così:

“Si provasse per un solo attimo a mettere da parte tutte le menate riguardanti il ‘Napoleonic-War-Black-Metal’, le quali hanno contemporaneamente portato alla forse esagerata notorietà e condannato alla presa per i fondelli l’act nordamericano secondo le dinamiche di memizzazione affermatesi anche nell’internet metallaro, ciò che si otterrebbe sarebbe nient’altro che un ottimo Black Metal dalle forti venature Punk, tutto power-chord e batteria in up-tempo come aveva insegnato un certo “Finnish Steel Storm” ormai più di quindici anni fa, e come i Departure Chandelier ripropongono oggi senza troppi rischi né grosse cadute di stile. Poi sì, il concept a metà strada tra Goatmoon ed Arghoslent è probabilmente studiato per fare contento l’intransigente pubblico di Nuclear War Now!, così come i sintetizzatori messi lì giusto per aggiungere un minimo di tridimensionalità all’insieme senza però mai spiccare davvero nell’economia di suono e composizione; ma se la si vuole vedere dal punto di vista di una dissacrante Punk band rivestita in panni estremi, invece che di una seriosa entità Black Metal a base di rievocazioni storiche e ideologie bellicistiche da operetta, allora l’operazione finisce persino col funzionare.”

Si menzionano in conclusione, come ad ogni modo meritevoli di un ascolto o due di prova, tra i full-length niente male ascoltati, anche il debutto dei polacchi Hauntologist (“Hollow”, nuovo progetto per chi dei Mgła -di cui ritroviamo non soltanto Darkside ma anche il commilitone live The Fall, di Owls Woods Graves ed Over The Voids– non può davvero mai fare a meno), il nuovo Farsot (“Life Promised Death”, per chi i Watain li vorrebbe ascoltare in chiave Dark Rock, non distantissimi dai Secrets Of The Moon di “Seven Bells” e “Privilegivm”) oltre al secondo album dei They Came From Visions (“The Twilight Robes”, un po’ troppo fumo e un po’ troppo poco arrosto, nonché meno maturo in scrittura di ciò che sarebbe lecito aspettarsi da un sophomore, sicuramente – e nondimeno a tratti particolare).
Chi invece viene spassionatamente consigliato, soprattutto a chi ha già avuto modo di apprezzare l’eclettismo del primo livre intitolato “Antîoche”, sul finire dello scorso anno, è il discoletto Famine nella sua nuova, interessantissima veste di libertino cantautore teatrale che balla e sguscia tra generi e stili offrendoci il corposo continuo della coraggiosa impresa in “Dîeppe” – nuovo EP dei Peste Noire di cui è liberamente ascoltabile solo metà qui, e per la cui altra metà garantiamo noi. D’altronde, in fin dei conti, dovremmo essere qui anche per questo… No?

 

Matteo “Theo” Damiani

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