Febbraio 2020 – Ygg

 

Freddo altero, rintocchi di gelo e distacco. Ghiaccio impenetrabile a risuonare silente nell’oscurità, straziante dentro e fuori, primordiale al limite dell’ipnotico.
Febbraio potrà anche essere finito e l’inverno si starà a sua volta preparando a seguirlo, apparentemente a grandi passi, ma l’atmosfera algida che sulla carta dovrebbe contraddistinguerli non sembra destinata a fare altrettanto per encomiabile cortesia di ciò che è stato, senza troppi dubbi, eletto disco del mese dalla redazione – così come, del resto, non passeranno velocemente i brividi il cui ascolto ogni volta riesce a provocare: non per alcun particolare demerito dei tre pregevoli runner-up (due dei quali piacevolmente freschissimi debuttanti) che seguono analizzati nell’articolo che state leggendo, dunque, ma questa volta, ed è così per la quasi unanimità dei figuri che hanno speso qualche parola in modo da consigliarvi i magnifici quattro usciti negli ultimi ventinove giorni, sono gli ucraini Ygg e loro soltanto, grazie al clamoroso ritorno “The Last Scald” pubblicato ad inizio febbraio per la connazionale Ashen Dominion Records, i campioni assoluti della seconda mensilità del 2020.
E con un disco simile, che ci ricorda con splendore nitido qualora ve ne fosse realmente bisogno gran parte di ciò che il Black Metal dovrebbe essere e trasmettere, era praticamente impossibile fosse altrimenti.

 

 

Magistrale ritorno degli Ygg che in “The Last Scald” surclassano ogni possibile concorrenza in ambito atmosferico, nonché -persino- loro stessi a fronte dell’indimenticato, omonimo debutto: la tensione costruita a strati nei quattro lunghi brani è d’indescrivibile intensità, bellezza e capacità, tanto necessaria quanto rara nel toccare le corde più profonde dell’ascoltatore con dettagli e variazioni minime a sbucare con indicibile finezza dalla violenza di una tormenta che avvolge, sferza, strazia di dolore e bruciore prima che sopraggiunga l’inevitabile ipotermia a seguito di un simile gelo – di quelli che bucano la pelle, perforano le ossa e penetrano nel midollo lasciando resa e pace. Pochi al mondo sono in grado di raggiungere un simile risultato tramite musica; ancora meno capaci di realizzare quello che, senza retorica né remore, si candida ad essere il miglior disco di sempre in ambito squisitamente atmosferico dall’est Europa, in una nobiltà di lignaggio che parte dal sempiterno lanternino “Hvis Lyset Tar Oss”, passando tramite lo stesso “Ygg” e i Walknut, per giungere all’eternità con “The Last Scald”. In una parola: definitivo.”

Le tonde e vibranti note dello scacciapensieri che aprono “The Last Scald” rimbombano come per riempire e saggiare il nostro animo, quasi volessero soppesare la nostra capacità di resistere dinnanzi agli scenari drammatici che con sferzante intensità si susseguiranno nell’opera. Se “Ygg”, dal 2011, già troneggia fiero tra le fondamentali uscite dell’est Europa, qui gli ucraini affinano ogni singola componente del proprio sound, dalle vocals tragiche e incredibilmente espressive, ai gelidi rintocchi di tastiera che riescono a scalfire con grigia malinconia le pulsazioni del basso, elemento che sfruttato con gusto e vena progressiva riesce a donare una solida struttura portante al filo non solo ritmico ma anche melodico della composizione; un filo che, con maestria, sopraffina eleganza e lunghi climax, viene teso, poi pizzicato e riavvolto su se stesso in una strabiliante dimostrazione di maturazione artistica: interpretazione sfavillante e sintesi unica di Black Metal, atmosfera e folklore slavo.”

Un decennio fa nasceva la creatura di Odalv e Vrolok (entrambi ex-Nokturnal Mortum) in collaborazione con Helg per la stesura dell’omonimo debutto discografico degli Ygg: formazione slava dedita ad un Black Metal atmosferico tipico dell’est Europa e di conseguenza ricco di elementi folkloristici portati dai sintetizzatori, nonché da una serie di trame melodiche proprio di scuola Nokturnal Mortum. Ritornando ai giorni nostri è evidente come le fondamenta delle composizioni siano rimaste immutate, ma è altrettando immediato notare come il lavoro svolto all’interno di “The Last Scald” sia decisamente superiore persino rispetto al passato: la costruzione dell’atmosfera è a tratti da togliere il fiato, merito di un’orchestrazione tra vocalismi e ripartenze strumentali perfettamente incastrate tra di loro, mentre il lato Folk e tradizionalistico portato dalle tastiere garantisce quel tocco di gelo che va ad avvolgere e caratterizzare l’intera opera. In definitiva un disco carico di pathos, epicità e sentimento trasmessi con enorme classe dal trio ucraino, autore di una gemma già tranquillamente candidabile tra i dischi dell’anno.”

“Le preoccupazioni riguardanti un ritorno discografico dopo tanti anni di silenzio, specie in una scena molto valida e agguerrita come quella est europea, ancor di più se considerata la consistenza dell’omonimo debutto (ancora oggi ricordato come uno dei dischi più belli mai partoriti dall’Ucraina), vengono spazzate via sin dalle prime note tribali del nuovo “The Last Scald”: dimostrazione ve ne fosse bisogno di come l’alchimia fra i tre musicisti del progetto sia rimasta ben più che intatta dopo quasi dieci anni, capace di regalare all’ascoltatore un ottimo disco di Black Metal pregno di atmosfera e folklore, in un turbinio di melodie sempre ipnotiche e incalzanti.”

La violenza inaudita dei tedeschi Nawaharjan, debuttanti grazie al solidissimo “Lokabrenna” tramite Amor Fati Productions. Poco altro da dire per introdurli, se non che mai prima d’ora la inconfondibile lezione lirico-musicale degli indimenticabili Arckanum (quelle vocals, amici miei, quelle vocals…!) fu riproposta con un simile grado di originalità, attualità e potenzialità, perché la musica parla da sé. Non bastasse, ci sono quattro commenti.

“Convincente se ascoltato per intero ed autentico schiacciasassi quando fruito a più piccole dosi: per quanto un esordio su full-length di un’ora esatta sia una sfida non certo facile per nessuno, in questi sessanta minuti tondi risulta lampante come i quattro berlinesi siano riusciti a sfruttare al meglio i nove anni trascorsi dall’EP “Into The Void”. I numerosi passi in avanti compiuti a livello produttivo si riflettono nel torbido sound delle due chitarre, funzionale per l’ottimo lavoro della ritmica ma non così soffocante da penalizzare le tonalità più alte; ha quindi modo di spiccare un guitar work niente affatto comune per il genere, espresso attraverso bending, pinch harmonic e un paio di momenti solistici di grande gusto ed efficacia.”

Solido, monolitico, impenetrabile: i nove capitoli che compongono l’esordio dei Nawaharjan si mantengono su ritmi densi e visioni fosche, erigendo un muro di suono che si muove con potenza e dinamicità. Le atmosfere arcane e le declamazioni dal gusto mistico si susseguono nella tagliente coltre di guitar working, che fra arpeggi tetri e lead portate allo stremo manifesta una vena melodica che rende l’ascolto scorrevole nonostante la varietà limitata di registri sonori. La struttura quadrata, che può sulle prime intimidire l’ascoltatore, non adombra la cura, la passione e l’intensità che fanno di “Lokabrenna” un ottimo debutto.”

Roboante debut album per i thursastru-praticanti Nawaharjan che ci regalano un’affascinante interpretazione di Black Metal tedesco: il sound è spesso, la produzione è piena e sporca al punto giusto, il riffing sempre accattivante e con numerosi dettagli che rendono “Lokabrenna” un disco profondo e pregno di nera atmosfera. Come da tradizione germanica, il comparto vocale vive in un costante limbo tra canto e urla che arricchiscono ogni secondo di ogni traccia con una foga ed un’aggressività senza eguali. Questa non è comunque l’unica dimensione canora che troviamo, dato che i Nawaharjan dimostrano di saper adattare al meglio tutte le armi a propria disposizione sia quando c’è da aggredire, sia quando è necessario creare un’ambientazione più lenta e a tratti intima – senza ovviamente dimenticare quell’onnipresente sensazione di nichilismo che si sollazza nel substrato sonoro dell’intero album.”

I tedeschi Nawaharjan esordiscono in modo senza dubbio eccellente, proponendo un Black Metal ricco di tempi serrati e melodie sulfuree in cui sono riscontrabili parecchie influenze di stampo svedese (in certi frangenti, non casualmente, la mente li colloca vicini al lavoro dei defunti Arckanum), innalzate dalla controparte lirica scritta ed interpretata in lingua proto-germanica, che conferisce al tutto un aspetto molto particolare per merito anche delle ottime vocals del leader Skandaz.”

I finlandesi Faustian Pact che con “Outojen Tornien Varjoissa” offrono il secondo debutto da non perdere del mese, anche se di tutt’altra sensazione rispetto ai colleghi di Germania: variopinti ric(hi)ami sinfonici, storie concettuali à la Ophthalamia per approccio, una passione sfrenata per le tecniche di produzione anni ’90 (e per lo stile nazionale, Werewolf Records dixit), ma soprattutto predisposizione svergognata al caramello in musica – sfacciata per quanto bene finisce per rendere.

Non passano nemmeno una ventina di secondi dopo l’avvio ed “Outojen Tornien Varjoissa” odora già di kossu e renna affumicata, grazie all’inarrestabile giostra di chitarra e tastiere le cui scorribande fungono da base per l’intera proposta elaborata dai Faustian Pact nel corso di oltre un decennio. Nessuno dei due strumenti lascia mai completamente il posto all’altro, ed i tempi abbastanza lineari dettati dalla batteria permettono di seguirne gli snodi senza creare partiture troppo confuse. Per nulla trascurabile è poi l’uso di vocals alternative al classico ringhio, le quali passano dalle declamazioni in lingua madre a repentini cori femminili sapientemente centellinati e che danno un tocco quasi europop ad alcuni dei brani inclusi nell’opera.”

Ultimi ma non per importanza, fregiati dalla stessa approvazione giunta ai secondi in lista, i greci Serpent Noir si fanno ancora una volta apprezzare con il loro terzo full-length, “Death Clan OD”, uscito a metà mese per la sempre interessante World Terror Committee: rullate nineties dagli inferi, puzza di zolfo e candele, nonché uno stile sempre più originale per la band lo rendono un ascolto consigliato non ai soli cultori delle sonorità elleniche.

Il ritorno discografico dei greci Serpent Noir, nella conferma intitolata “Death Clan OD”, si concentra maggiormente sulla realizzazione in progressione sonora e sull’utilizzo di melodie sinistre; la tipica efferatezza del Black Metal ad esso precedente viene infatti parzialmente messa in secondo piano, in favore di un risultato che non fa altro che risaltare la personalità del gruppo, oggi capace di creare momenti di oscura suspense grazie all’approcio melodico di chiaro retaggio svedese perfettamente mescolato all’attitudine morbosa e all’oscurità rituale tipica delle band elleniche, conferendo un mood variegato all’album nella sua interezza.”

Per il prossimo compendio in quattro album di atmosfere che alla fine ne hanno sempre per tutti i gusti, purché siano in varia misura anneriti, occorrerà come sempre attendere che finisca il mese corrente. Ma i più fedeli già lo sanno e fino a quel momento, al solito, mentre si assicurano di non perdere per alcun motivo al mondo questo poker protagonista di febbraio, si aggiorneranno su queste pagine insieme a noi o individualmente qui.
Fine delle trasmissioni.

 

Matteo “Theo” Damiani

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