Der Weg Einer Freiheit – “Noktvrn” (2021)

Artist: Der Weg Einer Freiheit
Title: Noktvrn
Label: Season Of Mist Records
Year: 2021
Genre: Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Finisterre II”
2. “Monument”
3. “Am Rande Der Dunkelheit”
4. “Immortal”
5. “Morgen”
6. “Gegen Das Licht”
7. “Haven”

Le lancette finiscono sull’una di notte, si fermano, e le porte del sogno con il loro cantico di mistero ed orrori improponibili si aprono alla mancanza di coscienza nel distaccamento dalla realtà fisica, concreta e che siamo soliti reputare reale. È l’inizio di un viaggio al termine della notte, nel picco del pavor nocturnus se vogliamo, e al suo siderale confine ultimo nell’alba – nell’analisi a posteriori che va ben oltre il punto di vista meramente scientifico e pratico dell’incombere del buio, del calar delle tenebre sul circostante. Cosa si cela infatti nel frangente delle ore piccole, le più oscure delle ventiquattro che compongono un mero trecentosessantacinquesimo di danza del nostro pianeta intorno all’astro che gli dona vita nella suddivisione tanto ambivalentemente cara all’uomo in anni della sua esistenza, e del suo tempo rimanente prima del nero assoluto, resta tutto sommato volontariamente mistificato dal potere esercitato dalla ragione e relegato così alla sfera di conoscenza tra superstizione e paure recondite, tra l’inconscio, l’inafferrabile ed il terrore atavico che l’essere vivente prova per la privazione della possibilità di vedere.

Il logo della band

Ma c’è di più: in questo immobile lasso di tempo solitamente usato per poter riposare tranquilli, ricaricarsi ed essere per molti versi lontani dal mondo, o proprio per poter direttamente traslare la mente in un altro, a parte, che tra l’essere svegli e l’essere addormentati fa da cuscinetto, è luogo abbastanza comune che l’artista non trovi ristoro ma la sua più grande maledizione. La dannazione della creatività, quella che tiene costantemente aperta la porta di servizio sul retro dell’incubo alle informazioni utili a prendere forma sulle ali dell’ispirazione e del momento irripetibile (chiamiamolo background, a facilitazione della comprensione), ammantata dall’oscurità più fitta che, da penombra che era, va inesorabilmente incontro alla luce nel ciclo di attimi che compongono la notte e lo stesso “Noktvrn”; il notturno, la sensibilità per il tetro che nelle arti di ogni secolo altro non è stato se non l’anelito alla particola di luce da poter scrutare e ravvisare tra le sue pieghe come graziati dalla vista di un’oasi rara in un deserto di pietra. Il notturno con tutte le sue parasonnie, in fondo, è così largamente apprezzato e studiato proprio in quanto, nel suo forato mantello, sappiamo di poterci trovare il lume anche qualora questo sia alla vista apparentemente escluso. Sappiamo che esiste. Ogni sfumatura di questa esclusione e di questa presenza, di questo regresso sensitivo che, qualora volontario, può essere benissimo impiegato a proprio favore artistico, nonché del concetto più largo e in generale, viene esplorata in musica dai Der Weg Einer Freiheit giunti in un quantitativo assai esiguo di anni al quinto giro di boa in merito alla pubblicazione di un full-length; oltre che ad un’alquanto impressionante, vistosa e spaziosa evoluzione (anche concettuale) in un così relativamente breve periodo se comparato alla bontà in costante ascesa specialmente dalla pubblicazione di “Stellar” in avanti.

La band

Proprio con il grigiore e l’abrasività del disco del 2015 la band chiude un capitolo dalla notevole diversità (lo si pensi anche solo confrontato alle movenze di “Unstille”) aprendone un altro, ampliato poi con sicura inventiva nel 2017 ma comunque mai tanto quanto avviene oggi nel nuovo album. Eppure è altrettanto vero e sensato che dallo stesso “Finisterre” il quartetto riparta in maniera esplicita nell’introduzione – dalla fine del mondo visibile, di ieri, e del giorno (quale esperienza sensibile) di oggi per salpare verso l’incombenza di una notte che porta con sé un carico di dualismo in pensieri, idee, differenti influenze e stati mentali accompagnati col favore delle tenebre tra le braccia gelide del plumbeo per esplorarlo a fondo, per cercarvi quel tesoro di luce analogica come moderni Chopin alle prese con i propri personali nocturnes (un titolo che, andava probabilmente da sé, elogia esplicitamente per la prima volta l’influenza della musica classica più umbratile sulla scrittura in cerca di nuove suggestioni del Kamprad); di arrangiamenti fatti di sintetizzatori e rarefazioni chitarristiche sottili in sfumature commoventi (si pensi alla lentezza e riluttanza dei corni che aprono una mozzafiato “Monument”, dove i crescendo tipici dei Der Weg Einer Freiheit in quella strisciante acidità stritolante di toni assumono tutta una nuova importanza strutturale) ed inverosimilmente cupe (nessuna quanto l’apocalittico vortice “Morgen”, con le sue visioni di follia e malessere in minore che strappano l’essenza dalla realtà di buio perforata dalla luce del giorno in lenta approssimazione).
Espansione, in un disco pensato per essere realizzato in presa diretta dalla band al completo registrandolo in una stanza che mutua i contorni di un universo nella potenzialità della forma live, diventa del resto la parola chiave: composizioni dure, squadrate e diagonali esattamente come il taglio sull’orologio di quella lancetta a cui si faceva cenno in apertura, incontrano invece i momenti più morbidi, evoluti, liminali ed onirici mai sperimentati dal gruppo che trova (non per caso ulteriormente maturato affianco all’attività di produttore del cantante, chitarrista e compositore) una sorta di energia invisibile ma pulsante che scorre tra le vene della musica tramite i singoli membri, da Schuler a Ziska e di rimando da Rausch a Nikita, cosicché ogni singola performance influenzi ogni altra oltre le possibili previsioni demo, portando il livello complessivo sempre più in alto. La conclusiva “Haven” finisce così per sembrare quasi un personal take sul potere delle chiusure a rifugio, a porto sicuro (esplorato anche in chiave di confidenza linguistica con l’étranger di memoria Camus) come una “Waiting” da “Melana Chasmata” (Triptykon, 2014); e “Immortal”, nel suo pulsante trionfo di disperazione tonale ancora una volta in saldo crescendo, accoglie dal canto suo la voce esterna del cantautore Dark-Folk ungherese Dávid Makó (The Devil’s Trade) e movimenti elettronici molto probabilmente non all’oscuro di una “L’île Des Morts” (Alcest, 2019), mentre persino le parti più estreme, fredde e taglienti del Black Metal tedesco in “Morgen” (nella sua prima parte non così dissimile dai brani degli ultimi due album) lasciano spazio come non mai agli stimoli melodici, ovattati ed ariosi che aprono l’eclettismo e l’evoluzioni della punta di diamante “Gegen Das Licht”, (dove i chiarori noir di un “.Neon” dei Lantlôs flirtano con l’impenetrabilità ritmica di “Virus West” dei Nagelfar) oltre a permettere all’intero disco di respirare come una forma vivente in perenne attesa del risveglio, sognante in una foggia di musica mortifera che, così come avviene nella squisita ed inquantificabile tensione neoclassica di “Am Rand Der Dunkelheit” (quasi un riassunto delle potenzialità del lavoro e di ciò che i Der Weg Einer Freiheit sono oggi in grado di creare), gode tuttavia di un fluire estremamente naturale ed organico che beneficia tanto dei contrasti (il morire di traccia quattro in cinque) quanto delle sfumature, più soft e sporco al contempo, fortissimo di un’atmosfera in più d’un tratto toccante e sempre estremamente spaziosa.

E come alla fine di ogni notte, come quelle lancette stessero ora puntando attorno alle cinque, l’albeggiare nitido della più attesa ed auspicata novità arriva anche in casa Der Weg Einer Freiheit tramite un disco che è un salto decisamente più in là, esplorativamente parlando, rispetto all’ottimo consolidamento d’intenti e raffinamento di scrittura avvenuto tra “Stellar” e l’ancor migliore “Finisterre”: ben innanzi insomma alle differenze tra l’eleganza di “Ein Letzter Tanz” e lo scarlatto mordi-fuggi della title-track anno 2017 (una palestra ad oggi, coinvolgente oltre ogni prova generale, e ciononostante tale), trasmutando le differenze in una scrittura purpurea che ha tanto del fantasticare ad occhi aperti quanto del sonnambulismo violento e, soprattutto, delle recondite potenzialità espressive del quasi-sveglio. Sfaccettato oltre ogni precedente prova in studio ed ancor più ricco di una emotività dolcemente travolgente, “Noktvrn” è pertanto un disco più di apertura che non di chiusura, eppure capace di far male impietoso fino alle soglie dell’oscurità, finché il levante non si rischiara maestoso e solenne completamente all’orizzonte. Solo allora il giorno ha finalmente quella carità mancata nel buio e può fare prezioso regalo di quel riposo ristoratore, di quella quiete fruttuosa che la notte in persona, lenta tortura per gli infelici e più veloce e beata parentesi per i cuori sereni, ha fino a quel momento così tirannicamente negato.

Matteo “Theo” Damiani

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