Artist: Alcest
Title: “Spiritual Instinct”
Label: Nuclear Blast Records
Year: 2019
Genre: Atmospheric Black Metal
Country: Francia
Tracklist:
1. “Les Jardins De Minuit”
2. “Protection”
3. “Sapphire”
4. “L’Île Des Morts”
5. “Le Miroir”
6. “Spiritual Instinct”
A chiunque sia mai capitato di levare lo sguardo in una notte stellata, verso quella seducente distesa di nero velluto bucato da spilli di luce che gli è diametralmente opposta per percezione visiva, spettatore inconsapevole di un canto lontano e silenzioso, non può non essere mai balzato alla mente il paradosso per cui quella stessa oscurità, all’apparenza così opprimente e soverchiante i minuscoli puntini lattescenti, rimane in realtà presupposto essenziale per la loro mera visibilità. Conclusione squisitamente empirica vuole che non sia infatti la notte a mangiare le stelle nel suo abbraccio di fauci del blu più impenetrabile, bensì proprio la sua coltre a nutrire tutto il loro splendore altrimenti invisibile.
Un pensiero che basa sicuramente le sue fondamenta sul paradigma, forse scontato al limite del banale, per cui ogni contrario necessita della sua controparte -del polo positivo o negativo che sia- per esistere, e che tuttavia in alcune selezionate circostanze contribuisce a scardinare finanche con sorpresa secoli interi d’iconografia, religiosa e non, calcificata nel subconscio collettivo e grandemente plasmata da menti e spiriti d’illustre valore, che vorrebbe al contrario gli opposti in perenne lotta all’ultimo sangue per la singolare sopravvivenza in parafrasi mors tua vita mea.
Non serve però ripartire da conoscenze escatologiche o cosmogoniche, dal concetto di caos primigenio che è così ricorrente (qualora non strettamente unificante) quale base della creazione nelle più varie e diverse culture, per notare come questo -per la più evidentemente profonda natura umana- abbia fine solo nel momento della creazione di meccanismi di opposizione, con l’identificazione dei loro contrari; basta su un piano più pratico osservare il percorso degli Alcest, specialmente quello intercorso, dapprima, dal terzultimo disco alla pubblicazione del fortunato “Kodama” (che li vide non per coincidenza tornare all’organica miscela che ha contraddistinto così fortemente il loro operato e dieci anni di evoluzione putativa nel Black Metal) e poi da quest’ultimo alla fine del mai così lungo tour mondiale di presentazione e promozione del’album.
Non servivano forse nemmeno le parole del mastermind Neige a confermare quanto, per una simile band con una simile proposta, dai più bollata direttamente otherwordly, un periodo così intenso di routine terrena al limite dello sfiancante sia stato deleterio e di rottura del piano della sua personale realtà – generando la disperata necessità di cura per l’aspetto intimo e mistico che è radice dell’individuo.
Da qui nasce “Spiritual Instinct”. Un ossimoro, una rivelazione; la presa di coscienza ultima di quanto l’istinto e la spiritualità, apparentemente opposti in una sospensione tra il più fisico e il più immateriale, si compenetrino in tempi di crisi personale in quell’istinto (di sopravvivenza) alla spiritualità che da quindici anni permette agli ascoltatori di entrare mediante il portale di stereo o cuffie nel mondo di enigmatici simboli elegantemente dipinti su pentagramma dagli Alcest.
E se “Kodama”, più che una presa di consapevolezza, poteva essere forse stato un ritorno sui propri passi con la coda tra le gambe (non per questo, all’effettivo, uno sforzo qualitativamente meno alto o pregevole), è probabilmente per questo motivo che “Spiritual Instinct” riesce per la prima volta ad introdurre innegabili novità, calibrazioni stilistiche che non sottintendono più il solo cambio cromatico, e perfino l’espansione in separata e congiunta sede delle due anime del gruppo senza fallire; senza cadere nel tranello a doppio fondo della mancanza, dello sbilanciamento, di un tilt che porta a mancare il bersaglio emotivo.
Partendo da queste precise premesse le parti Black Metal dell’album lo sono stilisticamente più che mai (l’accoglienza riservataci da “Les Jardins De Minuit” è la più prorompente in assoluto ad oggi sperimentata dal duo, rivelandosi peraltro una delle migliori opener dell’intera discografia), quelle Metal sono più pesanti e concrete di quanto fino ad ora ottenuto in fase di scrittura dagli Alcest (le irrorazioni Post-Metal sfiorano schemi chitarristici Prog, segue la batteria semplicemente strepitosa in ogni aspetto), e lo screaming straziante di Neige è più presente che mai a bucare l’oscurità con scaglie di Luna in un tono lacerante ed estremo che rimanda alle superbe vette del secondo disco; al medesimo modo, i momenti più soft sono delicati e minuti come raramente espresso perfino da una band che ha fatto delle sensazioni più eteree e flautate la chiave per la creazione di gioielli di rara bellezza.
Ma la rarefazione non impone più uno stop all’anima più aggressiva e rumorosa, più amara e graffiante dell’operato dei due francesi, perché non si parla (più) di mera armonia nella convivenza di opposti, dell’intuizione per cui le antipodiche rifrazioni Black Metal e quelle Shoegaze non dovessero poi essere tanto diverse nelle tecniche esecutive: “Spiritual Instinct”, inquieto e scintillante al contempo, regala un viaggio di crescendo emozionanti che mostra tutte le sfumature catalizzate in cinque full-length dagli Alcest farsi ancora più vive e brillanti, fisicamente vibranti (impensabile l’attributo, se non per criteri produttivi, fino solo al precedente disco), nonché arricchirsi proprio perché impossibile queste vivano l’una senza le altre, stracciando così il compromesso, trasmettendo idee cristalline e senza filtri o freni anche in fatto di novità. Gli inediti i passaggi elettronici, ad esempio, non solo scandiscono l’inizio de “L’île Des Morts”, ma ne dettano il ritmo senza esercitare pressioni di commistione per tutto il pezzo (notevole la ripresa del medesimo ritmo negli accenti di blast-beat di un fenomenale Winterhalter) andando a bagnare anche la sottile “Le Miroir” (con testo dello scrittore simbolista belga Charles Van Lerberghe con cui la band condivide enormemente in fatto di poetica pre-fin de siècle panteistica).
In sei brani che vedono Neige abbandonare le urla definitivamente solo negli ultimi due, dopo aver finalmente espletato la non appartenza a questo mondo, col carico metaforico che ciò comporta (climax di accettazione interiore della propria natura e delle sfumature di grigio che la permeano), la chiave alla consonanza è trovata; il rischio tangibile che constava nel muovere pesi su di un bilancino tanto delicato (“Shelter” docet) finalmente allontanato perché compreso non con l’uso della ragione e del calcolo, bensì tramite la più profonda inclinazione a qualcosa che da tempo esisteva nel profondo ma andava ancora adocchiato – è questo che permette agli Alcest, giunti al sesto album, di evolvere ulteriormemte e realizzare nella title-track la chiusura più bella della loro discografia tutta, al pari se non migliore di una ormai iconica “Délivrance” (che nel 2014, fosse mai servito, diede definitiva risposta affermativa al quesito “può esistere un pezzo da lacrime in un disco mediocre?”).
Serra il cerchio una delle produzioni più riuscite e squisite che chi scrive abbia mai ascoltato in un simile contesto: registrazioni e mix a cura della stessa band e di Benoît Roux nei soliti Drudenhaus Studio e mastering del sempre ottimo Mika Jussila, il suono della batteria è di sbalorditiva resa dinamica, assoluta definizione e persino grande fisicità, pur elegantissima, senza andare ad appesantire mai le soluzioni più ariose ed eteree (parimenti a dir poco sublimi i toni delle chitarre tra distorsioni laceranti -l’inizio della già citata “L’île Des Morts” e tutti i passaggi più tirati sono da brividi- così come i puliti sognanti), rasenti la perfezione nel restituire il fragile scombussolamento emotivo e la successiva pace interiore come raramente, forse mai, gli Alcest avevano tanto efficacemente messo in musica.
Bordate di malinconia mai così estremamente urticanti, riflessioni incorporee mai così immaginifiche; istinto spirituale, spiritualità dell’istinto – la maturità convogliata negli aspetti più aggressivi della band quanto nelle melodie più divine è specchio dell’ispirazione creativa agli apici ma anche dell’aspirazione ad uno stato di esistenza che non appartiene al materiale, mescolata al dolore che l’irrevocabilità della morte ed il grande punto di domanda sovrastante rendono quasi mistico, e che fa trovare la pace proprio nell’accettazione del mistero che, paradossalmente, distende con freschezza le ombre del turbamento.
Perché è solo così che le stelle più splendide possono tornare a illuminare la notte più buia.
… D’accueiller pleinement la lumière autant que l’ombre…
– Matteo “Theo” Damiani –