Cultes Des Ghoules – “Sinister, Or Treading The Darker Paths” (2018)

Artist: Cultes Des Ghoules
Title: Sinister, Or Treading The Darker Paths
Label: Under The Sign Of Garazel Productions
Year: 2018
Genre: Black Metal
Country: Polonia

Tracklist:
1. “Children Of The Moon”
2. “Woods Of Power”
3. “Day Of Joy”
4. “The Serenity Of Nothingness”
5. “Where The Rainbow Ends”

Il quarto grimorio di stregonerie dei Cultes Des Ghoules costituisce non solo uno stretto giro di boa abbastanza imprevisto nella loro più che eccellente discografia, ma anche -e lo si dica in primo luogo- una decisa decatessi dall’approccio teatrale, per termini e finanche struttura, di ciò che soltanto due anni fa i polacchi di Kielce riuscirono a raggiungere grazie ad un monumento finemente plasmato su applicazione e pura abilità del calibro di “Coven, Or Evil Ways Instead Of Love”.

Il logo della band

Dopo un simile sforzo, confluito nell’audacia di un doppio album che allontanava lo spettro della pretenziosità cristallizzando invece gli elementi già distintivi del sound dei misteriosi polacchi, allo stesso tempo portandoli in una nuovissima dimensione, subconsciamente l’attesa comune era forse quella di dover aspettare ancora a lungo per ritrovare nuovi sforzi compositivi da parte della band. Ma, come a voler parafrasar concetto per cui un araldo di orrore e fato giunge privo d’annunciazione e totalmente inaspettato, ben più simile ad un pugno nello stomaco che non a squilli intonati di tromba, fermi dunque in una controtendenza -che si sta ironicamente facendo anche piacevole tendenza- nel rifiutare tempi d’attesa biblici e preordini al limite del sensato, “Sinister, Or Treading The Darker Paths” piomba in tavola con un preavviso inferiore alla settimana d’attesa per l’ormai nutrito stuolo di estimatori di quella speciale evoluzione che i nostri hanno inanellato album dopo album; tra atmosfere magiche e trasognate, fanaticamente possedute, ma musicalmente anche e sempre incredibilmente palpabili e sanguigne.

Un non meglio specificato membro della band

Il labor limae da anni in atto in casa Cultes Des Ghoules prosegue in cinque complessi brani dal timing ampio come ormai d’abitudine, ognuno dei quali microcosmo in movimenti sempre imprevedibili e atipici, ma lo fa non pescando direttamente da quanto di meglio ottenuto nel suo predecessore (forse agli occhi della stessa band episodio a sé e difficilmente superabile su medesime coordinate), bensì ripiegando sull’approccio decisamente più diretto già caratterizzante una buona parte di produzione del combo, paradossalmente, arricchendolo qui anche dei momenti più sperimentali ed anarchici ad oggi mai cesellati dalla band. Lo dimostrano fin da subito l’elegante aumento dei flirt Doom, che permea una buona parte della complessità stilistica di “Sinister…” facendo strada maestra ad arrogante testa alta in almeno un paio di pezzi (l’opener “Children Of The Moon” può rimanere forse più simile ad una scena introduttiva, ma in questo senso l’innegabile natura di “The Serenity Of Nothingness” non lascia più dubbi sulle influenze talvolta anche ultra-lente, ipnotiche e ritualistiche del disco).
In un gioco d’analessi cangianti i tempi sono in continuo mutamento, elegante espediente narrativo che i Cultes Des Ghoules ormai impiegano con estrema naturalezza e sprezzatura tra i terrificanti ed intrappolanti mid/down-tempo e gli up-tempo spesso e volentieri in assetto d-beat, dal traino old-school, i cui grezzi richiami ad un Black Metal fieramente first-wave (talvolta anche votato ai progenitori più Heavy, metonimia che si estende ben oltre la teatralità vocale dei primi Mercyful Fate) proseguono nei blast-beat sia quando furiosi e precisi, nonché più immediatamente trascinanti, sia quando più pragmaticamente sloppy (non solo Bathory di “The Return……” ma Beherit e precursori di Finlandia sull’estremo finire degli ’80 come lanternino), indietro rispetto allo snocciolare dei riff sporchi e convulsi – a completo risalto dei momenti più accessibili, sperimentali e folli del platter, come torce ad illuminare le pesanti ombre gettate dal chitarrismo di lame arrugginite.
Ciò che giunti a questo punto lascia esterrefatti e realmente colpiti, nonché coinvolti, dal lavoro dei Cultes Des Ghoules è per l’appunto la capacità d’integrare lo stampo grezzo e fortemente violento da cui la loro miscela muove, ribaltarlo, riformularlo secondo una personalissima concezione che non trova emuli o sostanziali similitudini in alcuna altra proposta di ciò che li circonda: una composizione sui generis che mescola weltanschauung, malessere e genuinità di un Black Metal crudo, anche difficile, ad un’enorme raffinatezza che si dispiega immediatamente sotto la patina di sporcizia che i nostri non si curano affatto di rimuovere e che va anzi a creare le peculiari atmosfere ricche di magia nera e demonici incantesimi, sostenute in più occasioni dall’artificio delle reiterazioni magnetiche (sperimentate nei momenti più audaci di “Henbane…” e che qui trovano quadratura della loro concentrica eccentricità) declamate dalla band con ritmo rituale, condotto da una prova vocale maiuscola per cangiante ed eclettica varietà espressiva; anche quando scende di un gradino rispetto alle peripezie teatrali dell’immediato predecessore, l’ugola dei Cultes Des Ghoules risplende per unicità, enfasi, volubilità, trasporto, istrionicità e s’innalza senza sforzo verso il gotha dei cantanti estremi per carattere.
Da ultimo, ma non per interesse, esemplare risulta essere l’arricchimento del sound con organi e un impiego di tastiere, accorgimenti e strumentazione atipica (impensabile e-bow su tutti, per dirne una) generalmente molto più variegato che in passato. Se si fa esclusione di un paio di samples da sempre impiegati dal gruppo per solidificare le immagini che l’atmosfera generale va a creare, o delle maestose viole ad inizio e fine di “Coven…”, mai la caratura degli accorgimenti in fatto di arrangiamento aveva palesato con stranezze la (solitamente solo accennata) complessità di una composizione infuocata e da sempre fortemente aliena a qualsivoglia canone.

Concludendo, una menzione d’onore ai collaboratori esterni alla riuscita del lavoro è d’obbligo; che si parli ad esempio e per contiguità di Mikołaj Żentara dei Mgła, ancora una volta autore dell’ottima, organica e calda produzione di un album della band (qui comunque supervisionata dagli stessi membri), così perfetta nel restituire alle meningi sentori cimiteriali o di terra umida come sfondo ad inquietanti paesaggi notturni, o di Mar.A a cui dobbiamo l’evocatività di ogni grafica che troverete nell’album (già apprezzata per l’arte visiva del precedente doppio disco e dell’EP “The Rise Of Lucifer” nel 2015), il risultato è comunque un lavoro di squadra di rara sinergia.
“Sinister, Or Treading The Darker Paths” è pertanto riprova di quanto i Cultes Des Ghoules siano attualmente una delle più grandi band mai sbucate dalla Polonia e di come le loro distinte e chiare visioni, fatte di temibile oscurità medievale ben lontana dalle caricature a cui il Metal estremo spesso e volentieri abitua, unite alla sfrontatezza e alla mancanza di timore nell’osare, li portino tassello dopo tassello a risplendere in quanto uno degli esempi più inimitabili e fortemente originali di Black Metal in circolazione.
La notte è lunga, la caccia appena iniziata.

Matteo “Theo” Damiani

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