Craft – “Terror Propaganda” (2002)

Artist: Craft
Title: Terror Propaganda
Label: Selbstmord Services
Year: 2002
Genre: Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “Ablaze”
2. “The Silence Thereafter”
3. “Reaktor 4”
4. “Hidden Under The Skin”
5. “False Orders Begone”
6. “N.D.P.”
7. “616”
8. “Terror Propaganda”

Che i primi anni 2000 siano stati uno dei periodi più particolari ed insieme estremamente sottovalutati, indebitamente poco analizzati ed inosservati nell’intera epopea evolutiva del Black Metal e forse del Metal più in generale, oggi, grazie ad una ventina di anni di distanza storica, dovrebbe essere cosa quantomeno assodata. Al netto di cloni e clown che fanno all’inizio del nuovo nonché corrente millennio le veci di un genere che non appartiene minimamente loro, dai piani più alti del music business come dai palchi più alti ed assolati d’Europa e d’America, il vero sottobosco del genere più nero che sia mai esistito in musica brulica tra i dodici mesi del 1999 e la metà del primo lustro abbondante che li segue di una vera rivoluzione (guarda caso, nuovamente etica ancor prima che musicale) che in sola apparenza suona come un ritorno al passato, peraltro a quel punto ancora recente, di un linguaggio – di un’estetica, di uno spirito contrapposto ad una firma, e se vogliamo di un modo di essere ancor più che di fare. Di profeti di un mondo freddo in cui nessuno respira.

Il logo della band

I Craft sono la band che con ogni probabilità più immediatamente, prontamente e meglio di ogni altra incarna la propensione intera dell’underground Black Metal anni ‘00: di reazione, polarizzazione e contrapposizione strenua, sospeso com’è nella sua lontananza presuntuosa dai riflettori tra le esplorazioni depressive innalzate a criterio fisiologico del creare arte dallo sparuto stuolo di autori presso un’etichetta come la brevemente durata Selbstmord Services di Niklas Kvarforth, e tra quelle che, partite dal tandem Svezia-Francia, verranno invece chiamate Orthodox perché -più semanticamente parlando- forti della dichiarata volontà di ripristinare una certa ortodossia la quale nei più efficaci dei casi non fu affatto -né soltanto- questione stilistica quanto piuttosto un paradigma tutto spirituale d’intenti primi ed ultimi ad animare come magma bollente certe sonorità.
Rendiamo il Black Metal nuovamente pericoloso; rendiamolo nuovamente nocivo, sbagliato, fatale, inquietante e nero, tutto fuorché nostalgico o già sterilmente revivalista. Rendiamolo nuovamente quella creatura prediletta del Diavolo per svelarne e perpetrarne le malefatte in un mondo che da un lato lo merita fino all’ultima nota e che dall’altro non lo merita affatto, sembrano urlare nelle orecchie tutte quelle inafferrabili di cui sono composti i quaranta minuti pressoché spaccati di un debutto fulminante come “Total Soul Rape”. Per molti versi, accanto ad alcune tra le più grandi contaminazioni e sperimentazioni più coraggiose, puramente artistiche e fenomenali che il genere avrebbe mai visto fino ad oggi (si voglia pensare a cosa stavano in quel momento facendo e per fare anche solo i Negură Bunget, tra gli infiniti e più avanguardistici od atmosferici altri), il millennio per le sensazioni più cupe e maligne che il Black Metal può portare in vita si apre idealmente proprio così: con questa oscura band svedese che, come una metafora incarnata, come un manifesto, sembra fare dei Darkthrone uno sbiadito ricordo nella reverenza ad un canone che viene violentato senza precedenti e senza ritegno – senza aggiungervi apparentemente nulla eppure aggiungendoci quel qualcosa che è indescrivibile ed enorme al contempo, incommensurabile -persino- nella sua comprensione raffinatissima delle potenzialità oltremondane di uno stile e di tutto ciò che queste possono trasmettere; quello spettro plurilinguistico dalla madre comune che è proprio nel 2002 la meteora ed etichetta del fondatore degli Shining, accanto ad essi stessi (in un certo senso parenti stretti dei Craft, il cui compositore John Sjö militerà due anni dopo nel cruciale “IV – The Eerie Cold”), agli Ondskapt, ai Joyless costola dei Forgotten Woods e ai Forgotten Tomb (del coevo “Songs To Leave”) con tutte le loro profonde differenze ma accomunati da un solo obiettivo – essere nemici giurati dell’uomo per come lo conosciamo, dalla prima all’ultima delle loro fibre in decomposizione.

La band

E tutto questo viene portato con odio indiscriminato all’esemplare livello successivo in quella sberla di orrore che è il secondo parto del quartetto della Contea di Dalecarlia, “Terror Propaganda”. Ogni lama di “Total Soul Rape”, affilata oltre misura. Ogni propensione all’autodistruzione esplosiva per far male a chiunque si trovi nelle vicinanze, riempita come un meschino sacco di pelle con vetriolo, acido muriatico, schegge e chiodi. Meno scenografico della detonazione nucleare che campeggerà dal reattore numero quattro sulla copertina di “Void”, invero, eppure proprio in ciò tremendamente più colossale e subdolo: in tutti quei rallentamenti che sanno di puro terrore, di fogna e sangue marcito di cui trasuda come un manto di pece che respira viva e morente in una “The Silence Thereafter”, introdotta dall’inquietante Dark Ambient familiare evidente ma fino a quel momento osata da pochissimi nel sottomondo Black Metal (si può pensare ai ponti tra un capitolo e l’altro di un “Nattens Madrigal” e poco altro, effettivamente), o nel ventre di “N.D.P.” e della sopraffina title-track. Un massacro fatto e finito, in quelle voci inumane di Mikael Nox, gonfiate di tutta quella angoscia già del debut ma innalzate all’inaudito dalla proverbiale altra dimensione facendo del criterio di disumanizzazione tipico del musicista Black Metal fin dal 1991 un assioma portante, ora totalmente spersonalizzante, che toglie oltre ogni possibilità di giudizio il modo di trovare dentro a quelle urla un briciolo di caratteristica umana rendendole individualmente aliene all’orbe terracqueo – e non perché modificate in modo da sembrare grottesche, bestiali o in qualche modo caricatural-teatrali, bensì perché quello che trasmettono è davvero tutto il male del mondo: un male che, per quanto poco possa piacerci il nostro simile, risulta persino difficile pensare che possa trovarvisi dentro, inoculato e custodito nel profondo di un corpo i cui contorni sembrano un’esile foglia autunnale al cospetto della potenza dirompente e schiacciante di un tale dolore.
Un altisonante e programmatico sottotitolo come “Second Black Metal Attack” non potrebbe, all’ascolto, suonare infatti più riduttivo e preciso al contempo: perché “Terror Propaganda” è esattamente quel che il suo titolo principale recita, una bestemmia senza sconti fin da quella “Ablaze” in cui tra cambi di tempo adrenalinici e ripartenze da infarto bruciano i fuochi impuri dell’Inferno, i tizzoni della valle dell’Hinnom e di ogni olocausto rituale in onore dell’oppositore supremo della vita e della sopravvivenza. Proprio in quei cambi (si pensi alla mutazione in mid-tempo trasportata da quelle urla carontiche in “Hidden Under The Skin”), in quel gusto nei riff pieni di groove (la completamente strumentale “616” ne è riprova incontrovertibile) sta del resto tutto ciò che i Craft sono stati e sono se confrontati con altri commilitoni dagli intenti similari: maestri di una poetica e di un songwriting scarno ed esiziale che rimane però irresistibile, perfino catchy nella cacofonia più arrembante di cui si sono fatti maestri (“Reaktor 4”, in cui addirittura un assolo curatissimo fa da gancio a quella che sarebbe stata l’evoluzione completata dagli Shining una volta trovato Peter Huss nel 2007, o “False Order Begone”).

I Craft da qui diventano non casualmente gli avversatori più spietati, più realmente misantropici e verbalmente violenti, vassalli dell’ostilità aperta a tutto che avevano profetizzato i Darkthrone e un certo circolo norvegese, sprovvista di ogni parentela e legame – di ogni qualsivoglia umanità e forma di umanità. Tutto quello che verrà dopo, a partire dai tre anni successivi della replica e variazione sul tema “Fuck The Universe”, per quanto anche particolarmente riuscito ed abrasivo che sia, non farà altro che perorare una causa già qui esplorata alla sua perfezione massima, fino a quel “Void” di sei anni a sua volta successivo che sembra portare un cerchio di malessere infinito a conclusione prima della stasi – della truculenta, spettrale tempesta di veleno e del silenzio successivo che ne consegue. E si potrà discutere anche all’infinito su quanto possano essere sbagliati i Craft con il suono di “White Noise And Black Metal” nel ritorno targato Season Of Mist del 2018; si potrà blaterare sull’importanza che, con questi criteri Anno Domini 2002, una band simile potrebbe rivestire oggi – nel panorama di oggi, venti anni esatti dopo. Ma in fondo sarebbe un mero esercizio di osservazione di un qualcosa che è stato perfettamente descritto in trentotto minuti che non si possono attribuire all’uomo. O che forse solo a lui e a nessun altro è possibile attribuire. Perché “Terror Propaganda”, l’inizio di una fine senza fine a meraviglia profetizzata, è la riprova che quantunque in alto possano arrivare inconsapevoli ed arroganti impostori nel nome del Black Metal, laggiù, nascosto sotto la sua pelle dura, ci sarà sempre qualcosa di incredibilmente malsano e nocivo ad attenderli paziente nella caduta; perché i Craft, in questo loro secondo atto o attacco frontale di Black Metal esiziale come raramente si era a quel punto potuto mai sentire, battezzato col nome-manifesto di “Terror Propaganda”, sono stati davvero tra i più grandi portatori del male in musica di sempre.

“The loneliness in a universe of unlimited creatures.
The undiscriminating hate, the curse of being a god.
The melancholy of ghosts haunting wherever we go…
We are their castles.”

Matteo “Theo” Damiani

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