Column N.21 – Funeral Oration & Aara (2019)

 

Se la morte non risparmia nessuno, i Funeral Oration sono ancora meno clementi. Tanto da non risparmiare neanche la morte.
Il 2019 è l’anno dei grandi(ssimi) e più insperati ritorni, ormai si è capito, ma non di quelli a cui siamo tristemente più soliti da diverso tempo a questa parte – dettati da risibili velleità o mire decisamente discutibili e di ancor più contestabile valore artistico anche qualora non si voglia chiamare in campo una morale che rimane prerogativa squisitamente personale e pertanto opinabile; è invero l’anno dei ritorni di chi sembra avere in serbo qualcosa di assolutamente sincero da regalare all’ascoltatore attento e che -proprio per questo motivo- non può essere tenuto dentro nonostante la vita sembrasse aver preso altre strade. Quelli che potremmo semplicemente definire come (quasi banalmente) fisiologici nonostante il grande tempo trascorso e che, in un mondo così legato a logiche d’apparenza (e di ciò che ne consegue, non ultimo lo spauracchio di fantomatico ritorno monetario -che poi, in questo ambiente, rimane ancor più tale se preso di per sé- quale unica ragione di muovere un muscolo), sono diventati così rari da apparire mosche bianche.
È un mondo strano, senz’altro. Ma quel che conta è che, anche se ci hanno messo ventitré anni dall’uscita del bellissimo “Sursum Luna”, i Funeral Oration siano ufficialmente tra i prossimi a rientrare nelle fila di quelli da annoverare ed elogiare fosse anche solo per il fatto di essere evidentemente mossi da un estro artistico che non può essere taciuto: “Eliphas Love”, secondo full-length che li vede nuovamente in pista per Avantgarde Music come non fosse passato neanche mezzo secondo dall’uscita del debut, arriverà il 16 agosto e i fan della band (a giudicare dalle reazioni giusto intraviste per il web, nemmeno pochi come sarebbe lecito aspettarsi dalle premesse) possono ingannare l’attesa (o renderla più spasmodica, a scelta e a ben sentire) grazie a “L’Abisso”.
Nel primo segno di vita musicalmente inedito da parte del gruppo dopo oltre due decenni di inattività, non solo la magia che contraddistingue il songwriting del disco datato 1996 aleggia infattu intatta e tutto tranne che dispersa o smarrita, od ormai superata; al contrario, la lunghissima pausa sembra aver fatto maturare silenziosamente i Nostri (in formazione quasi intonsa alla registrazione, manca all’appello solo il basso di Fabban) e -come ben suggerisce la stessa label fin dall’annuncio dell’uscita- averli preservati squisitamente lontani da ogni filone e moda. Quantomeno, questo è quello che preannunciano loro stessi consegnando in quattro minuti secchi un piccolo gioiello di stile tutto italiano ma, allo stesso tempo, orgogliosamente fuori dal tempo e dalle variazioni diatopiche, senza per questo suonare datato o sorpassato bensì solo (e soltanto) originalissimo, macabro e occulto quanto basta per far fare all’impiego vintage degli organi e alla prosa dal retrogusto michilista splendida figura anche in un ambiente che di sensazioni apparentemente simili sembra essere saturo. Quello che li differenzia oggi come ieri è l’approccio, una spiccata predisposizione alla scrittura come canale riflessivo, l’esposizione di tutta la caratura narrativa dell’inconfondibile The Old Nick (possibilmente anche migliorata), e il gusto nel songwriting (less is more, e che more) di La Cara.

Lo trovate su BandCamp.

Tracklist:
1. “Intro”
2. “Furor Eretico”
3. “Anatema Di Zos”
4. “L’Abisso”
5. “Marcia Funebre”
6. “Tregenda”
7. “Vuoto Mistico”
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Da un estremo all’altro. La seconda parte della colonna di oggi ci porta a conoscere (di già!) nuovo materiale da parte degli svizzeri Aara, pregevoli debuttanti assoluti giusto a marzo con l’altamente riuscito e già consigliato “So Fallen Alle Tempel” sbucato dal nulla più totale tramite l’attenta Naturmacht Productions.
Altrettanto attenta ma soprattutto pronta è stata però l’ottima Debemur Morti nel prendere la palla al proverbiale balzo e far siglare al duo un contratto che li vede quindi entrare nel suo rinomato roster per una collaborazione che promette scintille vere; le prime a deliziarci sono quelle piacevolmente scaturite all’ascolto delle due parti di cui si compone l’EP monotraccia “Anthropozän”, uscita per ora unicamente digitale e pubblicata a sorpresa (peraltro gratuitamente scaricabile) che funge da interessante appendice proprio al lavoro svolto nel full-length.
In oltre dieci minuti gli Aara consegnano una chiave di lettura diversa allo stile già ben definito del progetto che si cimenta in una suite di due parti esplicitate e altrettanti movimenti al loro interno: grezze, viscerali urla lancinanti, strumenti ancora una volta inumani e atti a tritare i padiglioni auricolari per un risultato decisamente under-produced – ma quel che fuoriesce dal basso è di nuovo un raffinato e solidissimo gusto per la melodia efficacemente descritto come neo-classico, che si dispiega in grandi volute atmosferiche che rapiscono senza sbaglio.
Gradevolissimo e soprattutto interessante preludio ad una maturazione che già inizia a sentirsi nella composizione, più fluida quando non per forza di cose (forse prematuramente) interrotta in favore della struttura a vari movimenti, e che va ad arricchire il suono degli svizzeri con ricerche ambientali che svelano una predisposizione alla visione d’insieme che nel debutto era ancora abbozzata; un passaggio insomma da non perdere per chi ha già avuto modo di apprezzarli giusto qualche mese fa e ne vuole seguire l’evoluzione.

Lo trovate su BandCamp.

Tracklist:
1. “Anthropozän (I&II)”
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Matteo “Theo” Damiani

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