Blut Aus Nord – “Hallucinogen” (2019)

Artist: Blut Aus Nord
Title: Hallucinogen
Label: Debemur Morti Productions
Year: 2019
Genre: Avantgarde Black Metal
Country: Francia

Tracklist:
1. “Nomos Nebuleam”
2. “Nebeleste
3. “Sybelius
4. “Anthosmos”
5. “Mahagma”
6. “Haallucinählia”
7. “Cosma Procyiris”

Venticinque anni di pura ed incontaminata sperimentazione, la più disparata e persino frammentata in micro-cosmi affrontati in separate sedi, sono un’enormità anche per un’entità artistica del calibro dei Blut Aus Nord. Senza scadere nel bias cognitivo più becero, è quantunque innegabile che, sebbene la suddivisione aprioristica del proprio corpus produttivo in settori da riprendere mediante pattern atemporali sia stata una scelta (o una giocata in percorso) di enorme lungimiranza e parimenti grande riuscita sotto lo sguardo complessivo, mantenere ad ogni singola uscita l’approccio fresco -ormai giunti alla tredicesima pubblicazione su full-length– non si tratti di un compito particolarmente semplice o scontato, ancor meno qualora tenuta da conto la tendenza all’accentramento compositivo da sempre felicemente perpetrata dal distante visionario Vindsval.

Il logo della band

Eppure, quasi in barba alle dovute premesse di contestualizzazione, i Blut Aus Nord degli ultimi anni sembravano aver parzialmente messo un freno alla maturazione, alla consegna costante di deliziosi frutti proibiti culminati in quel 2012 che con “Cosmosophy” completò la maestosa trilogia dei 777 iniziata l’anno prima, vera e inevitabile pietra di paragone -se non ingiustamente stilistico, immancabilmente qualitativo- dell’operato successivo del fumoso trio francese: il ritorno alla parentesi “Memoria Vetusta” con il suo terzo capitolo a cinque anni dall’acclamato “Dialogue With The Stars” aveva mostrato una certa stanchezza in termini di approccio alla materia Black Metal in senso strettamente formale; e ammesso che questo potesse essere scusato come ritorno affrettato ai “Memoria Vetusta” dopo l’ascesso più sperimentale della carriera, “Deus Salutis Meæ” non aveva dal canto suo fatto altro che riprendere, per la prima volta senza particolari novità, il troncone centrale di pubblicazioni più industriali e claustrofobiche della band iniziato con il rivoluzionario “The Work Which Transforms God” e (prima del 2017) concluso con “Odinist”.
Non si può pertanto dire che, alle porte del 2019 e dopo oltre vent’anni di successi sperimentali senza eguali nell’ambito della musica Metal più lateralmente annerita – disposti in fila a marchiare col fuoco della creatività primordiale un percorso che potrebbe essere riduttivo definire sui generis, fosse una prima assoluta il fatto di approcciarsi ad una nuova uscita dei Blut Aus Nord pregna di alone d’imprevedibilità rispetto a dove il progetto sarebbe andato a parare – eppure, forse in questo senso sì per la prima volta, la sensazione che il da sempre avanguardistico combo potesse essere in procinto di finire le idee sembrava farsi largo con fastidiosa insistenza.
Fortunatamente, “Hallucinogen” (con titolo e copertina tradenti una marcata differenza di visione e approccio che lo stesso compositore francese deve aver sentito necessaria dopo la pubblicazione di “Deus Salutis Meæ” e la nascita del nuovo progetto Yerûšelem) sorprende sotto ogni punto di vista mettendo in mostra una band che torna a spolverare il coraggio d’intraprendere e battere per prima strade corrispondenti alla ricerca di nuove vie espressive che prescindano, invero quasi totalmente, dalla rigorosa ripresa di una sezione precisa del suo catalogo, ma che a loro volta non taglino nessun ponte con esso volendone sviluppare alcuni selezionati elementi ad oggi mai giustapposti in alcuna occasione.

La band

L’evoluzione estemporanea riprende la sua energia con un nuovo tassello, primo perché si leva di dosso gli abiti di opprimente soffocamento stilistico che ormai era probabilmente stato sviscerato con il grado di successo massimo dai teoreti dell’estetica più insana – l’eccesso opposto, ma ben si noti non meno meccanico in fattezze, che risiede nelle spore ariose e melodiche del cruciale “Cosmosophy” (già usato come partenza per la genesi Yerûšelem) viene in questa occasione interpellato rinunciando ai suoi caratteri più oscuri e criptici per far flirtare le melodie più sognanti ed eteree con la visione complessiva di quel Black Metal, intelligentemente melodico ed atmosferico, base della trilogia “Memoria Vetusta”; tuttavia non si predilige la fisicità quasi ostentata come prova (con qualche inceppo) dell’ultimo capitolo della saga, e nemmeno la maggiore meccanicità ingranata dal secondo per un co-testo relazionale che -seppur distaccato per concetto- lo vedeva farsi strada tra due lavori come “Odinist” e l’inizio dello scardinamento e della destrutturazione più totale in “Sect(s)”: in “Hallucinogen” si assiste ad una nuova ricostruzione, una ripartenza tonale che getta l’altra metà delle sue basi nell’ormai lontanissimo -e allo stesso tempo mai così vicino- primo, e nonostante il meritatissimo status di culto (certamente la band concorderebbe) ormai fisiologicamente quasi adolescenziale, “Memoria Vetusta”.
I padri dell’Era Glaciale vengono richiamati dal sonno per essere attentamente smembrati, dissezionati nello spirito che rigenera la sorprendente freddezza cerulea nei toni delle chitarre, in casa Blut Aus Nord, non così ronzanti ed affilate dal 1996 – e vengono com-battuti con gli stessi mezzi perché supportati da una visione oltremodo maturata e rinnovata. Proprio questo allontana ogni spettro di sterile come-back o sguardo al passato: la dissociazione è in primo luogo stilistica, nonostante “Hallucinogen” sia (effimera esclusione fatta per l’ultimo “Memoria Vetusta”) con ogni probabilità il disco meno meccanico del monicker dagli anni ’90 nonché uno dei suoi più organici in assoluto, e si carica di ancor più grande sperimentalità delle ultime opere della band per il modo nuovo di approcciarsi alle celebri dissonanze che vengono ora ridotte ai minimi storici e sfumano in un gusto armonico di primordine mai abbracciato in una simile portata; in un’ariosità francamente senza precedenti diretti e in una grana così cristallina da far scintillare uno stile pristino con estrema coerenza traccia dopo traccia.
Le chitarre vengono quindi impiegate nei modi più variopinti e diventano centro focale della realizzazione libera dei brani, lontana dai caratteri industriali per l’approccio caleidoscopico: dipanate le reiterazioni che hanno reso famosa l’evoluzione della band, queste divengono fluttuanti, armoniose, asservite in costruzioni rotonde e ricche di gain taglienti sia quando ronzanti che distorte (in bilico tra laceranti strappi Black Metal e riprese Hard Rock spesso coniugatevi), qualora acutamente liquide e progressive, o persino disciolte e sintetizzate in tocchi psichedelici (notevolissimo il davvero sporadico quando non totalmente mancato utilizzo di sintetizzatori per l’elevata quantità di sovrastrutture processate ed effettate delle sei corde) – i Blut Aus Nord levano lo sguardo verso il cielo tramite una parafernalia fresca di soluzioni chitarristiche eterogenee, in rotta d’impalpabili atmosfere cosmiche e trippy interpretate in bending tremolanti e con la classe di uno storytelling che -quasi- esula dalla componente metrica delle lontanissime voci pur rimanendo coinvolgente e sempre vigile (anzi, favorendo senza dubbio la dote immersiva del viaggio).
Da ultimo per presenza, il comparto vocale viene infatti rivisto come accompagnamento celeste quando rifratto in cori mistici o maestosi, rimaneggiato come sussurro misterioso ed elettronico ove si raggiungono i momenti più sinistri e oscuri (l’inizio di “Nebeleste”), mentre il ricorso alle harsh-vocals viene circoscritto con raffinatezza ai momenti più estremi dell’album (“Anthosmos”, “Mahagma” e il finale di “Haallucinählia” su tutti), comunque non rari e carichi di depurata astrazione nonostante abbandonati ai blast-beat più crudi o alle cavalcate più sognanti di una batteria che è la più incalzante, piena, ma soprattutto espressiva mai avuta dal gruppo (“Sybelius” spinge mentre “Nomos Nebuleam” e “Cosma Procyiris” aprono e chiudono il disco all’insegna della trascendenza) – prima catalizzatrice estetica di un’aprica dinamicità che mai in passato è stata congegno di un progetto il quale, invece, ha sempre fatto dell’orrore plumbeo e dell’asetticità dogmatica il suo mantra veicolare più irrinunciabile.

In conclusione, “Hallucinogen” regala all’ascoltatore una colonna sonora di pregnante originalità (in suono, approccio e anche commistioni) per viaggi interiori personali e relative visioni ad occhi aperti; ma proprio nel suo carattere intrinseco risiede l’arma a doppio taglio che diviene croce e delizia del disco – s’è vero infatti che la scelta di una rarefazione così estrema del comparto vocale gioca a favore dell’amalgama di volatili allucinazioni che procedono indisturbate in direzioni ad oggi inesplorate, è altrettanto innegabile che, in seno ad una proposta quanto mai carica da parte dei Blut Aus Nord (sanguigna, persino, senza farsi umana) una maggiore incisività o presenza della voce nei cospicui momenti di tiro ed apprensione emotiva avrebbe garantito una riuscita ancora più longeva durante gli ascolti attenti e -pertanto- confacente all’enorme potenzialità della rinnovata, brillante intuizione dimostrata. È inconfutabile che del trasmettere senza usare la parola, della destrutturazione semantica, il collettivo abbia fatto l’arma più tagliente del suo espressionismo ed astrattismo; ma se una simile cifra funziona oltremodo in episodi come “The Desanctification” o “Cosmosophy”, per gli stessi ribaltati motivi che risiedono nel prezioso equilibrio tra mezzi e risultato, non riesce a rendere in perfetta misura nel contesto maggiormente Metal di “Hallucinogen” (ne è esempio particolarmente calzante la sopraffina “Anthosmos”).
Inutile quindi negare che, in quanto tra i parti più belli dell’ultima decade in musica, il corpus 777 sia qualitativamente ancora difficile da raggiungere –quando non superare– ma con “Hallucinogen” i Blut Aus Nord, reinventandosi novelli studiosi e calanti uno degli album di più facile assimilazione e minore ostilità della discografia, e con ciò lontanissimo dall’essere un bluff, si pongono finalmente su una strada nuova e non meno promettente o fresca ritrovando il carattere di unicità che sembrava in spegnimento; il percorso intrapreso è dunque di verginità non ancora mappata e, se perseguito ed esplorato, promette di far estrarre nuove carte d’imprevedibilità ancora tutte da mostrare nel loro più vincente seme. Esattamente per questo il tavolo dello stupore artistico su cui disporle con la giusta formula e poi scoprirle per rivelare la rotta d’infiniti altri viaggi è a sua volta a portata di giocata – che da questa possa quindi scaturire e dispiegarsi il raggiungimento di nuove frontiere di realizzazione altrettanto (e ancor più) ambiziosa.
D’altronde l’art n’est pas de ce monde, mais il est une guide précieux pour qui aime se perdre dans tous les autres. *

[* L’arte non è di questo mondo, ma è una guida preziosa per coloro i quali amano perdersi in tutti gli altri, -NdR]

Matteo “Theo” Damiani

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