Ascension – “Under Ether” (2018)

Artist: Ascension
Title: Under Ether
Label: World Terror Committee
Year: 2018
Genre: Black Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Garmonbozia”
2. “Ever Staring Eyes”
3. “Dreaming In Death”
4. “Ecclesia”
5. “Pulsating Nought”
6. “Thalassophobia”
7. “Stars To Dust”
8. “Vela Dare”

Di pagine ingiallite e consumate da orrori, da quel “With Burning Tongues” del 2009 che tanto velocemente li fece apprezzare al pubblico nonostante fosse nella pratica solo un demo, ne abbiamo sfogliate diverse. Altrettante, se non di più, dall’uscita di quel magico debutto di nome “Consolamentum” con cui i tedeschi Ascension gettarono le più profonde basi del concept attorno all’intero monicker e progetto, radicale ragione vitale del corpus artistico di prim’ordine che ancora oggi illumina la via fatta di visioni, pavimentandola d’oro e terrore verso altezze imperscrutabili, degli enigmatici mitteleuropei. Ormai, a ragion veduta, definibili dei veri titani nel loro genere.

Il logo della band

La meticolosità quasi chirurgica con cui si erano addentrati nel profondo per la composizione e produzione del nerissimo “The Dead Of The World” nel 2014 aveva alzato le aspettative in modo decisivo, coniugando alla perfezione opprimenza ed incredibile gusto melodico, aumentando in un solo colpo sia la profondità di scrittura, che feeling ed immediatezza, consacrando l’ormai personalissimo blend e le atmosfere uniche create dalla formazione come superiori non solo all’interezza della cricca occulta di casa World Terror Committee, che li supporta da prima degli esordi ufficiali, ma anche a gran parte del Black Metal moderno in circolazione – abbia taglio esoterico o meno.
E se il secondo full-length fu per certi versi un successo annunciato, data l’eloquente anticipazione dell’EP “Deathless Light”, non si può dire lo stesso oggi per via del silenzio di morte in cui si sono avvolti gli Ascension dopo la sua pubblicazione. Quasi quattro anni di oblio, incomunicabilità e segretezza, che hanno senz’altro aumentato il fattore sorpresa per l’arrivo di “Under Ether”.

La band

La paura. Concepita come un percorso sensitivo, pone ancora una volta in musica processi di espiazione e purificazione personale mediante i quali poter comprendere e vedere. “Under Ether” è un altro portale per il mondo invisibile, raggiungibile dopo aver accettato le proprie ferite, ancora aperte e parlanti, traendo conoscenza e forza superiore proprio dal ricordo fobico che ne deriva e dagli indizi di vuoto che gettano con sospiri maliziosi e sibillini. Tutto si apre come in un sogno interrotto. Non ancora un incubo, al momento. L’introduzione affidata al titolo di “Garmonbozia” è tutto tranne che avara di significati per chi si è mai avvicinato alla nota serie creata dall’universo mentale di David Lynch. Un distillato di paura, essenza sotto forma di liquido che cola disperdendosi nell’aria, nell’etere. In quella sostanza aerea ed imponderabile che nell’antica cosmologia greca era ravvisabile in ogni corpo provvisto di materia. Esattamente come la paura in ogni essere vivente.
Il compito d’iniziare a incrinare il velo che separa l’esistenza materiale da questa parte più luminosa e pura (dagli antichi, e fino all’Ottocento, considerata l’effettivo mezzo di propagazione della luce) è dell’irrequietezza viscerale e paranoica di “Ever Staring Eyes” che, in cinque minuti di enorme ricchezza compositiva, tra lampi e allucinazioni mostra già una spiccata propensione all’impulsività ritmico-estetica che lega a modo di fil rouge l’intera opera. L’influenza Death Metal nei ranghi Ascension potrà non essere novità, per dirne una, ma lo è senz’altro l’oppressione che il rinnovato approccio attorno a tale materia comporta in “Under Ether”. Modello immediatamente più emblematico in tal senso sono le invocazioni di “Dreaming In Death”, che mostrano la maggior parte dei richiami musicali più evidenti del caso (inaspettata disarmonia ribassata alla Morbid Angel covenant-era su tutti, non più solamente negli episodi solisti), perorando all’estreme conseguenze la causa di un riffing decisamente più diretto, vivo e pulsante rispetto a quello dei dischi predecessori – maggiormente votati a fluide e cristalline sovrapposizioni. I primi dieci minuti di album chiarificano infatti tutta l’apocalittica natura del lavoro, sanguigna, sporca e meno precisa di quanto gli Ascension non avessero abituato in precedenza, parallela ad un cantato più impulsivo, genuino ma tremendamente espressivo. Ciononostante, allo stesso tempo, il tutto è solo sottile membrana che avvolge frattali di composizioni ancora più cesellate, raffinate per intuizioni melodiche e talentuosa scrittura. Le canzoni, anche quando hanno le strutture più variegate, sono sempre culminanti in una presa solida sull’ascoltatore grazie ad un songwriting straordinariamente sviluppato (chorus e refrain eccezionali che toccano picchi in apparizioni come “Stars To Dust”).
E se le velleità atmosferiche che i vari layer chitarristici distendevano in passato, tra effettistica e feedback, sono per approccio allontanati in favore di materiale molto più ragionato e a suo elegante modo aggressivo, non lo è l’indubbia capacità della band di creare i migliori mid-tempo -in assoluto- in circolazione. “Ecclesia” ne è il primo malato esempio, ed è anche uno degli episodi dal carattere più maledetto, esoterico, unico e affascinante dell’intero disco. Vengono introdotte letture campionate per aumentare mediante recitazione il pathos degli abissici rallentamenti che preludono i macigni più feroci, così come accade parimenti in “Pulsating Nought”, per squarciare definitivamente il velo conoscitivo in vista della rivelazione annichilente di “Thalassophobia”, che inghiotte l’ascoltatore in un oceano di vastissime, terrificanti partiture estreme e insostenibilmente nere. Torna l’aspetto più vorticoso del rinomato sound Ascension, ipnotica anticipazione di una più melodica “Vela Dare”, interrotto prima dall’eclettismo compositivo quasi Rock di “Stars To Dust” (con una strizzata d’occhio alle sperimentazioni parallele dei Secrets Of The Moon di “Sun”). Il finale è maestosa rilettura dell’apocalisse secondo Ascension: attorno a noi solo la gloriosa tempesta, un coro di tuoni illumina la notte e il respiro si mozza, paura di rettile monta orribile nell’aria, perché il viaggio negli anfratti del sé è giunto innanzi ai suoi orrori più indicibili. Ma il vascello corporeo è ormai stato abbandonato e la strada percorsa data alle fiamme.

Un’ulteriore nota di merito non può essere evitata alla splendida produzione, opera magna di un non esattamente nuovo Michael Zech che si supera, aiutato da un altrettanto noto V. Santura, nel creare un suono fortemente analogico e perfettamente caldo, così da restituire fedelmente tutte le sensazioni più ruvide e aggressive del disco, ricco di suoni medi che permettono alla musica di respirare in fessure e ferite, dettagli e frequenze, senza mai diventare rumorosa, complice lo studiato chitarrismo con un personalissimo suono al limite del crunchy e della poetica Rock, in realtà inaspettatamente calzante sia nei momenti più schiaccianti che in quelli arpeggiati.
Senza preamboli, senza distrazioni, senza inutili parole, gli Ascension regalano quindi l’ennesimo disco di enorme caratura, capace di spaventare realmente e di porli un gradino più in alto, allontanandoli da ogni paragone per misto di profondità e orecchiabilità sottocutanea, ormai a un dito dall’etere: il mezzo tramite cui si propagano fenomeni elettromagnetici e sensoriali; portatore sano di fobia recondita e arcana.
E se prendiamo atto di quanto diceva David Herbert Lawrence in un suo romanzo, analizzando la paura come diffusione epidemica tramite l’aria e tramite il sangue, inoculata tra individui attraverso i pori della pelle, allora ascoltare “Under Ether” è un po’ come affogare alla sua mercé mentre i suoi picchi più profondi turbinano nelle orecchie con il gorgoglio del terrore più puro. Il suono di un disperato urlo muto.

Matteo “Theo” Damiani

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