Arkona – “Yav” (2014)

Artist: Arkona
Title: Yav
Label: Napalm Records
Year: 2014
Genre: Folk/Black Metal
Country: Russia

Tracklist:
1. “Zarozhdenie”
2. “Na Strazhe Novyh Let”
3. “Serbia”
4. “Zov Pustyh Dereven'”
5. “Gorod Snov”
6. “Ved’Ma”
7. “Chado Indigo”
8. “Yav'”
9. “V Ob’Jat’Jah Kramoly”

Dal principio, rimanere coerenti nel proprio credo.
Poi, crescere e maturare.
Infine, raggiungere in dodici anni picchi qualitativi semplicemente impensabili per un genere apparentemente stagnante e per linguaggio quasi fisiologicamente impossibilitato alla novità -o quantomeno privo d’innovazione- come il Folk Metal.

Logo
Il logo della band

Un gruppo Folk non realmente destinato ad appassionati del sottogenere: ecco cosa, con la continua ascesa stilistica e qualitativa (apparentemente inarrestabile) degli ultimi quattro dischi, sono rapidamente diventati i russi Arkona.
Come detto nell’incipit, dodici anni sono passai dalla formazione della band di Mosca capitanata dalla carismatica Masha Arkhipova. Una decade esatta, invece, dal debutto sulla lunga distanza intitolato “Vozrozhdeniye” che vedeva una giovanissima (e a tratti inesperta) band farsi strada in un genere ancora non sdoganato a livello mondiale, con un’identità precisa e forte, che sarebbe stata ribadita -e superata- nel secondo disco del medesimo anno, “Lepta”, che vedeva affinarsi le doti di scrittura dei Nostri e la qualità generale compositiva alzarsi di livello.
Ma sarà, giustamente, il terzo lavoro in studio intitolato “Vo Slavu Velikim!” (ancora relegato, nel 2005, ai confini nazionali della Sound Age Productions) a destare l’interesse dell’attenta Napalm Records.
La band aveva infatti raggiunto il traguardo della terza pubblicazione rilasciando il disco che, a conti fatti, sanciva quello che sarebbe stato -seppur in costante evoluzione- il sound del quartetto.
La storia recente della band (2007-2014) vede la nascita degli ultimi quattro lavori in casa Arkona: tutti co-prodotti dalla Napalm Records che fortemente li ha desiderati (ed infine ottenuti) nel suo roster, e per il mercato est-europeo dall’etichetta russa che li ha battezzati discograficamente.

La band

Il Folk Metal dalle tinte slave fortemente semplicistico è un lontano ricordo: “Yav”, ritorno discografico dopo l’ottimo “Slovo” del 2011, conferma ciò che è stato fatto dalla band negli ultimi tre/quattro lavori (e solo iniziato nel terzo capitolo “Vo Slavu Velikim!”).
L’ascoltatore si ritrova sempre più innanzi ad atmosfere cupe ed oscure, a tratti sciamaniche e fortemente minacciose, smorzate ad ogni modo spesso e volentieri dalla vitalità della strumentazione folkloristica -a fiato e corde percosse- sempre presente, tuttavia molto meno in primo piano nel missaggio rispetto al passato, per quella che vuole essere sempre più una visione d’insieme delle capacità elevate del combo e sempre meno un mero sfoggio di melodie accattivanti fine a sé stesso.
Infatti “Yav” rappresenta il lavoro senz’altro più maturo e di difficile assimilazione dei quattro moscoviti: le influenze, molteplici ed aumentate non solo di numero rispetto al passato, si dipanano per tutta l’ora abbondante di tempo riservato alle articolate e complesse composizioni; l’opener “Zarozhdenie” mette dal principio in guardia l’ascoltatore in questo senso: “Yav” non è un disco allegro o giocherellone (lo sono mai stati gli Arkona, in fin dei conti?), e possiede un approccio molto più vicino al Black Metal di stampo atmosferico che non in passato, pur rimanendo il metal estremo solo una faccia (alla base) del variegato mix proposto.
Le influenze più progressive sfocianti nel Jazz o nel Rock psichedelico settantiano (Gentle Giant, il nome che salta in mente per primo ascoltando attentamente “Zarozhdenie” o la successiva “Na Strazhe Novyh Let”, usata anche come singolo e anteprima pubblicitaria del disco) sono garantite dal nuovo acquisto della band: Andrey Ischenko sostituisce infatti il dipartito Vlad.
Il drumming fantasioso, progressivo e dispari, si mescola alla perfezione con le atmosfere sempre più introspettive e cupe del platter, pur non risultando mai fuori contesto o sconvolgente per gli abitué al sound degli Arkona.
Le tastiere sono non meno presenti, ma meno sinfoniche o in evidenza che in passato: garantiscono vari strati di fondo nel missaggio che -tra pianoforti di vario tipo, sintetizzatori e moog– rendono il suono finale dei pezzi comunque sempre ricco e completo.
“Serbia” è probabilmente il pezzo più simile al passato (recente e non) della band anche se, è bene dirlo fin da subito, in questo disco manca totalmente la canzone à la “Jarilo” o “Stenka Na Stenku”.
Il tutto è infatti complesso e per nulla immediato, anche se la qualità generale dei brani è riscontrabile da un primo (ma non veloce o disattento) ascolto, fattore confermato dalla lunghezza media molto elevata dei brani (plauso alla monumentale title-track da più di 13 minuti, in cui i Nostri danno sfoggio di tutta la qualità del loro songwriting) e dalla presenza di moltissime parti chitarristiche sovrapposte, il che potrebbe inizialmente fornire perplessità sulla resa on-stage dei pezzi di “Yav”, cosa che ad ogni modo non è da valutare nella maniera più assoluta in questa sede.

Pezzi come “Chado Indigo”, e le sue particolarità come passaggi di riffing dal Black Metal all’Hard Rock, non fanno altro che confermare gli Arkona come uno degli act più versatili, di classe e talentuosi, che questo genere abbia avuto il piacere e l’onore di partorire.
Rinnovarsi pur rimanendo profondamente sé stessi: non è impresa da tutti, ma il quartetto proveniente da Mosca è tornato vittorioso per l’ennesima volta (stupendo anche chi -come il sottoscritto- credeva che la maturità effettiva della band fosse stata raggiunta con i due eccelsi lavori precedenti).
E dopo sette dischi di questo calibro, sommati ad una carriera sempre in salita e fuori dal comune nel genere, è ormai assolutamente impossibile predire cosa i Nostri sapranno proporci d’ora in avanti.
Pollice alzato, ancora una volta…

Matteo “Theo” Damiani

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