Uada – “Devoid Of Light” (2016)

Artist: Uada
Title: Devoid Of Light
Label: Eisenwald Tonschmiede
Year: 2016
Genre: Black Metal
Country: U.S.A.

Tracklist:
1. “Natus Eclipsim”

2. “Devoid Of Light”
3. “S.N.M.”
4. “Our Pale Departure”
5. “Black Autumn, White Spring”

Portland, Oregon: il nome degli Agalloch riecheggia oggi ancor più di ieri inattaccabilmente leggendario, tuttavia -pur essendo chiaramente i più famosi- non sono gli unici.
Nei primi mesi del 2016 degli sconosciuti Uada fanno la loro comparsa direttamente con l’annuncio di un full-length di debutto in uscita tramite la nota Eisenwald, supportati e promossi a gran voce proprio dagli ormai ex-componenti del celebre quartetto concittadino.
Premesse esplosive, accostate ad una cura dell’immagine promozionale molto minuziosa (ricercate foto di Peter Beste dal day 1, tanto per dirne una) che verrà confermata dalla produzione tutt’altro che dilettantistica dei video ufficiali che al lancio del disco sarebbero usciti.

Il logo della band
Il logo della band

Inevitabilmente, come sempre accade in casi simili, l’entusiasmo general generatosi è stato caldo e vasto. A dispetto di un singolo d’anteprima (l’ottimo “Black Autumn, White Spring”) ampiamente snobbato dai più, l’uscita di “Devoid Of Light” nella sua interezza ha invece riscosso ottimi consensi di critica e pubblico.
Non mi si fraintenda, il disco è effettivamente bello. Se si fa esclusione di un paio di momenti di calo, tranquillamente trascurabili ed imputabili al fattore debutto, le premesse gettate (notate da ben pochi) con i nove minuti d’anteprima del citato singolo sono state non solo confermate ma in alcuni casi anche superate.
Saltando preamboli, ancor prima di analizzare il disco nelle sue fattezze musicali (quel che conta, no?), è lecito domandarsi se scevri dalla grande cura (e, mi si permetta, furbizia con particolare attenzione alle richieste puramente estetiche del mercato) donata all’aspetto mediatico-promozionale gli Uada avrebbero comunque raccolto quanto stanno -in buona parte meritatamente- raccogliendo.
La risposta è sicuramente negativa, tuttavia “Devoid Of Light” rimane un gran bel debutto che merita di essere trattato, nonché ascoltato più volte.

La band
La band

Innanzitutto la breve durata (trentatré minuti per un totale di cinque bei pezzi) stimola l’ascolto continuo, permettendo di far girare il disco nello stereo anche un paio di volte in una sola ora di tempo libero. Mi ripeterò, per chi avesse letto i miei ultimi scritti, ma mi si permetta di asserire che, di questi tempi in cui le tendenze decisamente pretenziose dei più spopolano (incomprensibilmente con largo successo e riscontro), come partenza si tratti di un fattore nemmeno troppo trascurabile.
Ovviamente, si parla di un aspetto totalmente secondario qualora non vi siano buone idee e capacità di scrittura. Abilità di cui il nostro giovane quartetto è in definitiva sicuramente provvisto. “Natus Eclipsim” apre il platter a dirla tutta in modo ingannevole rispetto allo snodarsi dei restanti pezzi: il tono di chitarre per nulla indicato inficia in parte l’apporto melodico del brano, che nei suoi sei minuti trova spazio per ampi rimandi allo stile svedese del Black Metal della seconda metà ’90. Di positivo c’è che gli Uada non assomigliano particolarmente a nessuno, godono di una discreta dose di personalità e suonano tutt’altro che datati o vecchi, soprattutto nei successivi pezzi.
Segue la title-track, sorprendente cambiamento dopo l’opener e probabile pezzo più vario e migliore del disco. Si è fatto un gran parlare di come la band assomigli ai Mgła. La verità è che gli avventori dimostrano anche qui (come in tanti altri casi recenti: MyrkurUlver dice niente?) di basarsi più su quel che vedono piuttosto che su quel che ascoltano. Ammesso lo facciano. Il rimando del riffing iniziale, se vogliamo, è diretto agli ultimi Inquisition più che a chiunque altro. L’accelerazione fulminea e lo stacco dal gusto Rock ‘N’ Roll (ben lontani dalla grigia atonalità polacca) catturano poi l’ascoltatore evitando ogni possibile reazione d’indifferenza.
Le melodie sono ancora una volta ottime (i ragazzi ci sanno palesemente fare sotto questo aspetto, non fanno che confermarlo anche le successive, e dannatamente catchy, “S.N.M.” e “Our Pale Departure”), così come le variazioni e modulazioni vocali sono tutte splendidamente piazzate e riuscite.
Infine, è doveroso spendere almeno un paio di parole sul pezzo conclusivo: “Black Autumn, White Spring”, con i suoi inaspettatamente melodici nove minuti abbondanti di durata, a colpi di intrecci e stop ritmici snocciola uno per uno gran parte degli aspetti compositivi già propri della band (insieme alle loro influenze più lampanti), andando a gareggiare per il podio direttamente con la brillante “Devoid Of Light” o la mistica “S.N.M.”.

Il primo album degli americani si palesa dunque come un ottimo e curatissimo biglietto da visita, sicuramente di livello non comune tra debutti sulla lunga distanza nel genere, magari lontano dalle critiche sperticatamente entusiastiche ricevute all’immediata uscita (già drammaticamente ridimensionatesi nel giro di qualche mese) ma sicuramente degno del nome rapidamente consolidato.
E non basta indossare cappucci e coprirsi il volto per assomigliare ai Mgła. Per quanto siano senz’altro un gruppo fortunato, gli Uada dimostrano di poter già oggi vantare un affinabile talento che va ben oltre la semplice copia.

Matteo “Theo” Damiani

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