Sodality – “Benediction, Part I” (2023)

Artist: Sodality
Title: Benediction, Part I
Label: Norma Evangelium Diaboli
Year: 2023
Genre: Black Metal
Country: Polonia

Tracklist:
1. “Possession”
2. “Rapture”
3. “The Nativity, Aka Heathen Angel”
4. “With Faithful Voice I Make My Supplication”

“‘Tis… The most terrible thing!”

La devozione, tale da essere una fissazione morbosa al pari di un feticismo. La benedizione, un impuro premio per la costante abnegazione masochistica, così difficile da distinguere da un marchio che attesti altresì una propensione al brutalmente peccaminoso. Non vale semplicemente a dire che ogni medaglia possiede due volti, spesso ardui da riconoscere tra loro: bensì che vi è sempre una simbiotica e malsana sovrapposizione tra le due facce, a ben guardare, avvicinandosi o forse piuttosto facendo qualche passo indietro in modo da poter osservare meglio la figura complessiva – una sorta di strana, onirica foto sgranata, monocromatica e dalle tinte color seppia che non si comprende bene se sia un effettivo scatto, un vero sogno filtrato nell’iride addormentata, un incubo liberato in terra o addirittura soltanto un disegno abbozzato a china, il più naturale degli scarabocchi istintivi come riflesso incondizionato di un candore già imbrattato. Insomma: la spinta religiosa, quello zelo e la fervenza tipica del più autentico dei credo possono nascondere -o persino evidenziare, all’occhio perspicace- il più puro, latente ed inadulterato, primitivo ed originale dei mali?

Il logo della band

Una domanda certamente retorica, quella appena vergata e letta; un dibattito forse intellettualmente non nuovo (benché sicuramente non sterile nonché lontano dall’essere esaurito) nemmeno per chiunque non abbia mai sondato o studiato particolarmente oltre la più banale superficie l’essenza duale di gran parte di ciò che esiste, privilegiando in tal senso le componenti non solo sociologiche ma anche e soprattutto psicologiche del credere e della totale sottomissione religiosa. E nondimeno, il ritratto del fenomeno che i Sodality dipingono e offrono in musica è di una lucidità davvero peculiare, inaspettata, anche disappannante in quanto difficile da concepire con una tale intelligenza e sensibilità all’argomento che sembra toccato con mano piagata dalle stigmati di una santità che è putrida. Il balordo figlio creativo del sodalicja di ugola e mente dei Cultes Des Ghoules con il quasi tuttofare degli ultraviolenti Lucifyre, nato con il “Gothic” cullato e consigliato al novero Norma Evangelium Diaboli dal compianto Timo Ketola nel 2020, è infatti quel che si dice un fermoimmagine fedelmente sgranato di un particolare abisso, quella spirale discendente che rispecchia i paradossi e le maliziose contraddizioni sottintese nella dedizione portata all’estremo, all’eccesso, verso quella che resta spolpata come l’essenza massima e più etimologicamente stringente del concetto di credente.
E l’oscurità strisciante che i Sodality arrivano a tangere nel loro secondo full-length è pertanto ancor più grande ed eclettica, duale ed elicoidale nella sua eccellente congiunzione di direzioni (spesso anche opposte tra loro, corentemente con gli obiettivi dichiarati e non del progetto) rispetto a quella trovata nel debutto o nell’altro complesso in cui i due originari polacchi hanno collaborato tra il 2015 ed il 2019, accompagnati dal Menthor anche di fama Aoratos e Nightbringer, con i lavori culminati ad oggi nell’ambizioso brano da mezz’ora di “Matka Na Sabacie”. “Benediction, Part I”, dal canto suo tutto meno che un capitolo a cui serva realmente una seconda parte per poter essere appieno compreso, ha difatti tutta l’originalità stentorea della retroguardia per concetto: dell’antichità che non conosce tempo né prezzo per essere creata, nel medesimo istante obsoleta e freschissima come una lastra di brina condensatasi al pari di ruggine nelle prime, fredde ore della notte nel silenzio mortale di un campo santo o di un confessionale vuoto, lontano dagli occhi indiscreti degli altri fedeli ma vicino alle orecchie e al cuore di qualcosa che non può essere visto.

La band

Doppie esposizioni da leggere su più livelli, allusioni musicali in decomposizione dove volti umani si trasformano smaterializzandosi in colonne di fumo e polvere spesse e piene di un nero vuoto, rigurgitando dall’interno ombre come in una visione mefistofelica che fa da ponte tra il mondo materiale con il regno degli spiriti e delle ferite della mente, dei cosiddetti traumi, rivelando una dimensione sconosciuta dove il male si nutre e banchetta; una che resta solitamente celata sotto il velo della triviale banalità di ogni giorno. L’ambiguità misteriosa ed opprimente, schiacciante anche nel suono deliziosamente gravido di una granularità virulenta, del comunque tagliente ed abrasivo Black Metal claudicante di “Benediction, Part I”, è una presenza marcatamente sinistra quanto quella di decrepite figure che, in un coro di colli rotti ad accompagnare i rintocchi subdoli di una campana, instillano il terribile dubbio nelle membra: che parlano al subconscio con espansiva amichevolezza paternale, un sermone incomprensibile per gli analfabeti a cui è rivolto, espandendosi però in crepe come quelle da cui fuoriesce ogni peripezia vocale, ogni acrobazia canora di una teatralità inumana, più che spettrale davvero posseduta, rapita e stregata.
Nulla di nuovo sotto il sole che cerca invano d’illuminare l’interno della cappella tramite una piccola vetrata istoriata, sembrerebbe fin qui a giudicare dai nomi coinvolti benché il progetto in sé sia tutto sommato novello; e nondimeno l’occulta ed erboristica frenesia spiritica dei Cultes Des Ghoules indaga ora un altro tipo di devozione, tutto un altro tipo di maligno che vi viene celato – più subdolo e forse anche meno innocente di quello dichiaratamente all’ombra delle corna, ma in fondo tutt’uno con esso. Una danza maledetta condotta dallo zompare del basso (“Possession”), così pulsante e presente come a voler tributare col suo fare le grandi interpretazioni di Necromantia, Mortuary Drape e Master’s Hammer, intuitivo, centrale e in fronte al mix così da avvolgere la restante parte degli strumenti con strabiliante apertura, e ribadire d’altro canto che l’esperimento è davvero nuovo, esagerato, enfatico a modo tutto suo ed unico: la produzione è aspra, pungente, acida nella sua profonda aggressività come ordita dagli attacchi di una gilda segreta, una setta esoterica o una confessione religiosa eretica di dita e lingue color della fuliggine; eppure sempre squisitamente coinvolgente e ampia sia quando la musica tira (si pensi a gran parte dell’intensa “Nativity, Aka Heathen Angel”) che quando rallenta come fosse messa in slow-motion, prediligendo i toni ruvidi ma nitidi sulle frequenze alte, lasciati ricchissimi di corpo negli ultimi passaggi di rifinitura sonora per preservare così ipnoticamente droning e vaganti quelle basse frequenze che, al contrario, nei momenti più schiaccianti, reiterati e Doom (la terrificante e sempre più magnetica “Rapture”), forniscono una pazzesca potenza di fuoco ad accordi malsani e violenti come pugni nelle viscere mentre fulmini solistici in un caoticismo che è salsa Death Metal illuminano le trame musicali che si stagliano a loro volta nel padiglione auricolare aguzze e spuntate come le guglie di un muto film dell’orrore a tema religioso. Ma al netto di una propensione alla cacofonia monotona per scatenare e stuzzicare nella mente l’assurdo che vi dimora, con il loro Black Metal deviato e occulto, maledetto, trascurato e negletto eppure sempre carico di ragionato spessore e ricchissimo d’atmosfera (si pensi al finale della già citata “Nativity” o ancor di più allo sviluppo d’invocazioni nella notevolissima e persino raffinata “With Faithful Voice I Make My Supplication”), i quattro lunghi atti sono in primis come alla fine di ogni possibile descrizione una dedica convulsa al potere strabiliantemente malefico della fede: come il movimento di una coda ruvida e perniciosa in una pletora di riff punitivi quanto scudisciate, quando non ambigua nel suo muoversi nervoso da serpe, non troppo dissimile al modo in cui una preghiera sgorga irrefrenabile da labbra che a stento riescono a trattenere la voce rotta dalla commozione.

Infinitamente più, dunque, di una esplorazione concettualmente diversificata dei Death Like Mass privati d’un membro, così com’è più di una mera alternativa alle codifiche negli ultimi quindici anni di misfatti dei Cultes Des Ghoules, tanto quanto non si tratti d’un divertissement più Black Metal-oriented o banalmente atmosferico dei polacchi d’albione autori di “The Broken Seal” (dove comunque, e va ricordato, il nostro inconfondibile Mark Of The Devil ha messo lo zampino cavo dalle retrovie), il lavoro dei Sodality prosegue da un lato il discorso iniziato col forse troppo poco considerato -ma nettamente inferiore- “Gothic” benché non senza l’esplicitata volontà al tempo stesso di intraprendere un nuovo ciclo di pubblicazioni di cui il qui presente “Benediction” rappresenta soltanto la prima sebbene interessantissima parte, oltre a confernare, dopo l’uscita doppia dei mini “Eyes Of Satan” e “Deeds Without A Name” come dell’ultimo in casa Lucifyre, il legame sempre più forte tra i suoi due musicisti interpreti e la congrega d’intelletti dietro al fortunato circolo di pensatori NoEvDia.
In attesa fervida del secondo capitolo, non sarà comunque tanto difficile lasciarsi conquistare dalle latenti immagini e percezioni qui diabolicamente nascoste: in questa tela di brani che è pianto e supplica di lebbrosi, storia sfaccettata di penitenza e di sottomissione, di punizione dello spirito – e proprio qui emerge quel paradosso che, come un primo punto di sicurezza raggiunta, traghetterà verso il prossimo passo: mortificare lo spirito per una pratica che dovrebbe essere spirituale in essenza; rimanerne quindi vuoti ed impossibilitati con sincerità a dedicarsene nuovamente, perché a differenza della sua presunta convinzione religiosa, il corpo del credente non è eterno. Qui, nel doppiofondo della scatola della fede, l’inganno ed il male annidato, la coercizione impari del sinistro sottinteso nell’atto di apparente ed interessata benevolenza. Mentre l’ombra di un bacio, della tenerezza e dell’amore che simboleggia quello schiudersi di labbra, si confonde con il profilo nero di una lingua biforcuta in cui ogni certezza svanisce.

“God didn’t enter me… The Devil has!
For my only longing was to become a saint…”

Matteo “Theo” Damiani

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