Shining – “X: Varg Utan Flock” (2018)

Artist: Shining
Title: X: Varg Utan Flock
Label: Season Of Mist Records
Year: 2018
Genre: Depressive Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “Svart Ostoppbar Eld”
2. “Gyllene Portarnas Bro”
3. “Jag Är Din Fiende”
4. “Han Som Lurar Inom”
5. “Tolvtusenfyrtioett”
6. “Mot Aokigahara”

Discussi, chiacchierati, ferocemente criticati, talvolta amati, se l’imperativo nel 2018 è “bene o male, purché se ne parli”, agli svedesi Shining di Niklas Kvarforth tanto male in venti e passa anni di carriera sembra non essere tutto sommato andata.
Incontestabilmente tra gli alfieri mondiali del filone Depressive Black più scenico, iniziatori in quanto a sdoganamento del vocabolario pro-grammatico nei suoi noti termini e progressivamente allontanatisi, ciononostante la fama del gruppo a conti fatti verte oggi molto più sull’immagine caotica della persona che ne incarna la mente, piuttosto che sulla musica. Cosa curiosa, quando il talento fino pare non essere mancato nemmeno per un istante e grazie ad esso si è stati in grado di scrivere dischi che vantano non solo l’iniziale maiuscola, ma una longevità a tratti insperabile.

Il logo della band

Il Metal è un genere in cui l’apparenza visiva è sempre contata più della musica. Possiamo anche negarlo agli altri, ma non lo negheremo mai a noi stessi riuscendo nell’impresa di non ridere guardandoci in faccia allo specchio. Ed è quanto mai un peccato in alcuni casi.
Gli Shining sono uno di questi. Se nel 1996, ad un Niklas Olsson allora dodicenne alle prese con la formazione della sua prima band, aveste detto che questa sarebbe durata ventidue anni e che avrebbe rilasciato dischi, senza interruzioni, tra cui sarebbe campeggiato peraltro un notevole totale di ben dieci full-length, ci sono buone probabilità non vi avrebbe creduto. Come dargli torto, conoscendo in retrospettiva quella che sarebbe stata la storia del gruppo di quel dodicenne. Certo, i gregari (parola fondamentale, ci torniamo in chiusura) sarebbero cambiati infinite volte, con picchi di celebrità anche internazionale tra le file, ma l’essenza centrale? Del resto, se state leggendo questo scritto oggi è proprio perché la band, o se preferite quella sua essenza centrale, ha rilasciato il suo decimo album in studio intitolato “Varg Utan Flock” (preceduto -come da tradizione- dal numero ordinale romano, X).
“X”, peculiarità numerale interrotta solo con “Redefining Darkness” che, in qualche modo anche simpaticamente consapevole, per la prima e ad oggi unica volta aveva dato evidenti segni di cedimento nella direzione evolutiva della creatura di Kvarforth. C’è oscurità in qualunque cosa, ci disse lui, tradendo però il diktat nel momento stesso della sua formulazione in quel disco che, ben poco emblematicamente, iniziava proprio con un pezzo intitolato “tu, mio capolavoro” e fu lontanissimo dall’esserlo, o dall’essere anche solo oscuro, fortunatamente superato ed onorato il paradigma con bravura nel successivo e coraggioso “IX – Everyone, Everything, Everywhere Ends” che ha riportato l’evoluzione al centro grazie al suo approccio tossico di blues e bluegrass acustico in piena poetica rivoluzionaria applicata al malleabile linguaggio Black Metal. “Varg Utan Flock”, volente o meno, non riprende dalle caratteristiche di chi l’ha preceduto, spostando invece gran parte del suo tiro più aggressivo e barcamenandosi tra passato e presente in modo discretamente inaspettato ma, soprattutto, incredibilmente efficace.

Niklas Kvarforth

Annunciato come il diretto seguito spirituale dell’acclamato “Halmstad” (quinto capitolo discografico degli Shining del 2007), in realtà “X” ne ricalca solo superficialmente le gesta essendo totalmente provvisto di una dinamicità tutta sua all’interno del corpus produttivo del gruppo. Torna però quella che era stata una costante nella quasi totalità dei dischi che l’hanno preceduto: le sei tracce, innanzitutto, una delle quali un intermezzo che trasporta -solitamente- verso la fine del disco. Non fu così tre anni fa in occasione del penultimo album dove trovammo un’introduzione, ma riprende ad esserlo qui in modo naturale con “Tolvtusenfyrtioett” (reinterpretazione della notturna in G minore di Chopin, sprovvista dell’originale coda, brillantemente eseguita dal talento finlandese Olli Ahvenlahti – che qualcuno avrà già avuto occasione di apprezzare al gran piano in “From Afar” degli Ensiferum nel 2009) e specchio di una grandiosa ispirazione nei restanti ed effettivi cinque brani.
Si prenda come ottimo esempio il fuoco inestinguibile di “Svart Ostoppbar Eld”, con la sua modernità ritmica e carica irrefrenabilmente Rock ‘N’ Roll, in cui sotto agli irresistibili cambi e passaggi groove Black Metal è proprio il nostro Kvarforth a sigillare la prima prova vocale stratosferica dell’album per interpretazione. Ugola totalmente graffiante, ma è solo la prima di una serie ininterrotta fino alla fine del disco. Non si tarda affatto ad accorgersene, perché “Gyllene Portarnas Bro” (la traccia con il carattere più autonomo del lavoro, merito anche del cantato iniziale sporco e grattato dalle frange alternative che riprende le gesta del precedente disco) in un sali-scendi di liquidità acustica e non, graziata da una melodia luttuosa e penetrante, al picco di una progressione magistralmente tormentata esplode aggredendo l’ascoltatore con vocals che rigettano acidità e autentica misantropia senza limiti, (in?)felicemente incastonate su composizione e scrittura da brividi. Le sorprese continuano con l’oscurità interiore esternamente ed estremamente riversata dall’annichilente “Han Som Lurar Inom”, dall’incedere profondamente storto che con disarmonia schizzata butta l’occhio in atmosfere Industrial per opprimenza e ripetizione ritmico-meccanica, ma che al netto di un piglio implacabilmente straniante non ci risparmia nemmeno un sorprendente break dal sapore hip-hop da parte dell’istrione svedese. L’introspezione culmina in calma apparente nell’animo con la già accennata “Tolvtusenfyrtioett” (numero 12.041 in svedese, mimica dell’86.400 -i secondi in un giorno- che in “Halmstad” fu invece la reinterpretazione della celebre Sonata al Chiaro di Luna di L.V. Beethoven) ma lo zenit dell’intero “Varg Utan Flock” non può non essere riscontrato proprio sul finale adagiato sulle inizialmente caute ali di “Mot Aokigahara” (dopo l’ambivalentemente noto Golden Bridge del secondo pezzo, il riferimento è qui più chiaramente scoccato alla foresta dei suicidi giapponese) che, finito il necrologio platonicamente narrato del protagonista, lascia in ammirazione per la schiacciante violenza dell’intensità ritmica e dello sdegno rigurgitato dalle laringi con cui si conclude.

Curato da Andy LaRocque dei King Diamond nei suoi Sonic Train Studios (ospite inoltre con il secondo assolo sulla catchy “Jag Är Din Fiende”), la cristallinità iperprodotta dei suoni non è certo una novità in un disco degli Shining da ormai più di undici anni, ma risulta in questa particolare occasione incredibilmente funzionale nel mettere in risalto ogni minima sfumatura tecnica dell’ensemble di musicisti usati dal “toolbox” di Kvarforth che, nonostante siano (un paio di loro fossero, al momento della stesura dello scritto) parte integrante della band, sono semplicemente “impiegati” nel disco. L’interpretazione della dicitura è senz’altro duale, ma solo in prima e sfortunata analisi vi è mera mancanza di rispetto da parte del compositore svedese. “Varg Utan Flock” si manifesta infatti come uno dei suoi lavori più dichiaratamente personali e non stupisce ulteriormente (previo ascolto) il fatto che sia stato annunciato, pur non assomigliandogli particolarmente, come il seguito di “Halmstad”, che è tra i più cari a Kvarforth a suo stesso dire, che porta il nome della sua città natale e che, come sottotitolo, è finanche riferimento diretto alla sua nuda persona (“Niklas parla di Niklas”). Ed è bene rimarcare che il celebre album del 2007 non viene qui musicalmente imitato dal momento che -ad esempio- anche solo il calore acustico delle scale su cui si reggeva per la prima volta il suddetto (e replicato invece in quasi tutti i capitoli precedenti al decimo) è totalmente evitato in favore di pattern stilistici molto più freddi e tecnici. Pregio quindi di non voler superare con lo stesso gioco un disco in particolare, e -in autentica fatica di Sisifo- a tutti i costi la direzione tanto riuscita quanto sui generis del predecessore, “Varg Utan Flock” dà un colpo alla botte e uno al cerchio riassumendo in una quarantina di minuti gran parte dello stile multiforme dell’opera Shining, cesellandola sotto molti aspetti, pur non rimandando in modo distinto a nessuna parte di essa, creandosi dunque la sua personale e cruda nicchia con un set di canzoni dal grandissimo songwriting che lo ergono come minimo ad una tra le prove più riuscite dell’intera carriera.
C’è oscurità in qualunque cosa? In “Varg Utan Flock” decisamente sì.

Matteo “Theo” Damiani

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