Saor – “Aura” (2014)

Artist: Saor
Title: Aura
Label: Northern Silence Productions
Year: 2014
Genre: Atmospheric/Folk Black Metal
Country: Scozia

Tracklist:
1. “Children Of The Mist”

2. “Aura”
3. “The Awakening”
4. “Farewell”
5. “Pillars Of The Earth”

Ci sono dischi che, in un contesto ben definitamente underground o supposto tale, escono nell’indifferenza generale e ad essa sono probabilmente destinati fin dal principio (non necessariamente per difetto qualitativo).
Ci sono dischi, invece, che escono in un contesto underground ma riescono a trovare subito una nicchia di ascoltatori voraci che, in breve tempo, si trasforma in una vera e propria folla.

Il logo della band

Il giovane scozzese Andy Marshall ce l’ha messa tutta per rimanere nell’anonimato e relegare il suo progetto alla prima condizione: in principio sciogliendo gli Askival, poi usando il monicker Àrsaidh cambiato un solo anno dopo in Saor (“libero”, in gaelico).
Non una mossa commercialmente particolarmente azzeccata, potrebbero asserire giustamente alcuni (i più maliziosi, d’altro canto, potrebbero invece trovare in questa stramba genesi un ambiguo modo per differenziarsi e spiccare se non altro in particolarità extra-musicale), ma andiamo per ordine…
Andrew Marshall crea il suo primo progetto solista nel 2006, chiamato Askival, con il quale sfornerà un solo full-length intitolato “Eternity” nel 2009, prima di accantonare il tutto (apparentemente in via definitiva) per concentrarsi sul sovvenuto impegno con i connazionali Falloch.
Corre l’anno 2012, però, ed il nostro polistrumentista dichiara di aver rimesso mano al progetto Askival, sempre in solitudine, tuttavia con un disco che uscirà a nome Àrsaidh per la tedesca Darker Than Black Records (che si era occupata anche di “Eternity” quattro anni prima) nel 2013, con sonorità molto più cupe, mature e tendenzialmente Black Metal che nel precedente impegno musicale.
Il disco ottiene ampio favore di critica, pubblico e addetti ai lavori, donando un discreto risvolto in ambito underground al progetto, ma Andy Marshall -per qualunque sia la vera ragione- decide di cambiare un’ennesima volta nome alla one-man-band, annunciando un nuovo album ed il nuovo monicker: Saor.

Andy Marshall

Nel 2014, a seguito di un solido contratto con l’attenta (ma non certo celebre tra le masse) Northern Silence Productions, esce quindi “Aura”: terzo lavoro solista sulla lunga distanza di Andrew, secondo a detta sua (considera i soli Àrsaidh e Saor come un’unica entità, escludendo -non chiedetemi per quale ragione- Askival), e primo se si considera invece unicamente il nuovo monicker.
A discapito del mal di testa fornito a coloro che li seguivano dal principio, i Saor (in questa sede Andy si è avvalso di Austin Lunn dei Panopticon per le parti di batteria e Bodhrán, nonché altri collaboratori esterni di cui parleremo più avanti) confezionano un prodotto semplicemente fuori portata per la maggioranza degli artisti nel genere.
Tutta l’esperienza accumulata in anni di release (e cambi di nome) è ben udibile ed innegabile, quanto lo è ancora una volta un leggero cambio di direzione rispetto a “Roots” dell’anno precedente: “Aura” si presenta immediatamente più arioso e longilineo rispetto al debutto, rientrando nelle coordinate ancor più atmosferiche di “Eternity” pur non dimenticando la forte componente Black Metal sporcata di Shoegaze, Noise e riverberi, retaggio di “Roots”.
Tuttavia il riffing è ben più definito, anche merito di una produzione molto diversa che nel recente passato, con gli strumenti folkloristici (specie i fiati) posti in risalto, ora vero perno delle composizioni che si presentano più varie e dinamiche, segnando un punto favore in quanto a maturazione dal precedente full.
La componente Black Metal, come detto, è ridotta rispetto a “Roots” a favore di una libertà stilistica e compositiva maggiore, con cambi di tempo più frenetici ed esaltanti, senza perdere di vista l’atmosfera sognante e naturalistica presente alla base del viaggio musicale dei Saor.
Le lunghe cavalcate rappresentate dai cinque brani sono spesso e volentieri lasciate strumentali per lo scorrere dei minuti; scelta azzeccata dato che lo screaming se non altro particolare (ma adeguato al contesto) di Andy Marshall alla lunga può tendere a risultare poco incisivo se non dosato con la giusta attenzione lungo l’incedere dei pezzi: questo garantisce alle linee vocali di presentarsi come veramente indispensabili ed emozionanti in ogni passaggio, senza inutile e dannoso abuso.
Le parti più drammatiche, affidate quindi alle harsh-vocals, sono spesso impreziosite dai tocchi di violino ad opera di Johan Becker sulle accelerazioni ritmiche, mentre troviamo anche la viola suonata in “Farewell” per quello che risulta essere -dopo vari ascolti- uno dei momenti più emozionanti dell’intero platter, anche mediante il sentito testo ripreso dal poema “My Heart’s In The Highlands” di Robert Burns (1789).
Facendo riferimento a varietà stilistica e maturazione non possiamo non citare un altro dei momenti più alti del disco: la precedente “The Awakening, con i suoi cori quasi presi in prestito ad un episodio come “Land Of The Dead” degli austriaci Summoning, ne rievoca le sensazioni di splendente libertà (il nome del monicker si rivela quantomai azzeccato in questo momento) pur senza mai risultare un plagio o stucchevolmente poco personale.

Il disco, con la sua ora di durata circa, si mantiene vivo in ogni sua sfaccettatura scevro di passaggi a vuoto o evitabili momenti di stanca, grazie ad un songwriting ispirato e più immediato che in passato (rete messa a segno dall’inserimento dei fiati in evidenza nel missaggio, rispetto al più enigmatico “Roots”), stupendo l’ascoltatore per via dei soli dodici mesi trascorsi dal precedente lavoro.
Che si parli dell’assalto fornito dall’opener “Children Of The Mist” (anche resa disponibile come singolo in anteprima agli ascoltatori), della malinconia ed atmosfera della title-track, o della splendida ieraticità della conclusiva “Pillars Of The Earth” con il suo finale mozzafiato, poco importa: “Aura” è un viaggio da assaporare nella sua interezza d’intenti, la rievocazione di paesaggi, emozioni e bellezza della natura, perché William Wordsworth e la sua Recollection In Tranquillity non sono forse mai stati così efficacemente trascritti sul pentagramma.
Romanticismo in musica.

“Lascia che la natura sia il tuo insegnante.” (William Wordsworth)

Matteo “Theo” Damiani

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