Nokturnal Mortum – “Verity” (2017)

Artist: Nokturnal Mortum
Title: Verity
Label: Oriana Music
Year: 2017
Genre: Folk/Black Metal
Country: Ucraina

Tracklist:
1. “I’ll Meet You In Ancient Darkness (Intro)”
2. “Molfa”
3. “With Chort In My Bosom”
4. “Spruce Elder”
5. “Song Of The Snowstorm”
6. “Wolfish Berries”
7. “In The Boat With Fools”
8. “Wild Weregild”
9. “Lira”
10. “Black Honey”
11. “Night Of The Gods”
12. “Where Do The Wreaths Float Down The River? (Outro)”

È quantomeno arduo riproporti agli ascoltatori con una nuova prova su full-length, la tua sesta in oltre vent’anni di carriera, quando l’ultimo vero e proprio album in studio porta con sé il terrificante peso di un disco come “The Voice Of Steel”.
Ancora più arduo è farlo se da quel disco sono passati non meno di otto anni e ti chiami Nokturnal Mortum: un nome ormai a dir poco leggendario, dalla carriera artistica talmente splendente da aver praticamente sempre convinto chiunque, su qualunque fronte e mediante ogni disco, prove minori comprese.

Il logo della band

Corretto, “The Spirit Never Dies” dell’anno scorso mostrava già un buon assaggio di materiale inedito composto e registrato nell’arco dei fantomatici otto anni. Tuttavia, si tratta anche di brani dal piglio discretamente più sperimentale e atipico (per quanto eclettico e unico sia sempre stato il percorso evolutivo stesso della band di Kharkiv), cosa a prescindere ben diversa dal trovarsi finalmente tra le mani un’intera nuova prova compiuta e concettualmente ricca: “Verity”, un nuovo attesissimo full-length di ben un’ora e un quarto di durata, prodotto tramite la solita Oriana Music.
S’è vero che otto anni non sono sicuramente pochi, è anche corretto ricordare o spiegare che nel corso degli stessi gli avvicendamenti in casa Nokturnal Mortum non sono stati poi così minimi. Grossi cambi di line-up hanno visto come principale metamorfosi l’abbandono dello storico tastierista Saturious e il ricambio fornito dall’ingresso di Jurgis (già volto noto per essere il frontman dei connazionali Khors), Rutnar e successivamente Hyozt ad affiancare il solido nucleo compositivo del leader Varggoth e del batterista Bairoth.
Nuova linfa sommata all’immodesta propulsione evolutiva di una band come i Nokturnal Mortum ha fatto sì che l’act abbia (come prevedibile) preferito cambiare ancora una volta strada, senza nemmeno provare ad adagiarsi sulle caratteristiche stilistiche ormai proprie ed assodate, cercando nuovi sentieri espressivi. Mossa vincente, nonché in assoluto l’unica possibilmente fruttuosa in un contesto simile: ritentare la fortuna mantenendo il percorso tracciato, provare dunque a superare con gli stessi mezzi il precedente “The Voice Of Steel”, sarebbe stato tanto stupido quanto fuori discussione; motivo per cui la band -dall’alto della sua esperienza ormai pluriventennale- ha per l’ennesima volta proseguito nel mutare forma pur mantenendo, e in realtà sviluppando, tutte le originali caratteristiche dell’universo stilistico totalmente a sé stante che da anni permette loro di distinguersi come avanguardistica punta di diamante nel (sempre più fumoso) genere di riferimento.

La band

A partire dalla breve ma evocativa introduzione, ci si rende immediatamente conto di quanto il complesso e ricco mondo di “Verity” presenti un esoscheletro dal carattere ben più meditativo e prevalentemente cupo di quanto fatto in precedenza dal combo. Laddove le ambizioni Progressive avevano intriso ed innalzato le composizioni battagliere di “The Voice Of Steel”, “Verity” riesce a vivere più che mai di un pigmentato e vivace contrasto di luci ed ombre, ricco di paludose sfumature Dark (con più di un insospettabile gancio, non solo estetico, al capolavoro di Edlund) costantemente ravvivato da un’enorme varietà di mistiche idee e dettagli, umori e sentimenti, in un’idiosincrasia di accenti sillabici, colori espressivi, metriche variopinte e riferimenti stilistici che converge coerentemente in suggestioni misteriose e minacciose.
Gli antichi rituali pagani dagli acquitrini dell’Est-Europa sono al centro delle nuove ieratiche composizioni dei Nostri sin dall’estetica e il mood dell’intera opera gode di un totalmente inedito piglio sciamanico, a tratti trance-induttivo, che porta le armonie di diversi brani come “Spruce Elder” e “Wolfish Berries” a brillare di un’oscurità prima d’ora mai sfiorata dalla band, anche per via di un incremento sorprendente del cupo folklore (non più limitatamente slavonico) insito nella proposta. In questo modo, ruvidi canti di gola mongoli vengono splendidamente impiegati accanto alla maestosa scelta di affidare ottima parte del percussionismo addizionale a tribali trame pittoriche con cangianti motivi provenienti dal Sud del mondo, carichi di un ritmo irresistibile, primitivo e vibrante, reminiscente di atavismo e origini naturali. Di pari passo è immediato riscontrare quanto la cura degli arrangiamenti sia microscopicamente calibrata, in modo da far svettare le caratteristiche etno-vediche di musica e strumentazione tipica dell’estremo oriente, con annesso implemento di arsenale tradizionale asiatico autoctono (l’impiego della bandura è quantomeno originale, si prenda la squisita “Song Of The Snowstorm” come primo esempio) accostato agli ormai più tipici fiati e cordofoni acustici. Le parti di ghironda slava e di drymba (scacciapensieri ucraino) sono più frequenti, curate e varie, ma la vera sorpresa giunge con un ruolo di primordine quasi sempre donato al dulcimer da tavolo, delicatamente appoggiato alle texture melodiche della ritmica, così come alla mandola e alla kobza.
Anche fiati tradizionali come la telynka o il flauto sopilka fanno la loro ampia apparizione accanto ai raffinatissimi e malinconici arrangiamenti di viola, violoncello e violino zigano, quando le atmosfere non stravincono direttamente in ricercato grandeur epico e sinfonico grazie al monumentale utilizzo delle tastiere e degli archi (l’eclettica “Molfa”, “With Chort In My Bosom” e soprattutto la spiritata “In The Boat With Fools” donano alcuni tra gli esempi più splendidi in tal senso).
Tuttavia, la certosina ricerca contenuta nello sfaccettato mondo di “Verity” non esclude chiaramente le sperimentazioni più recentemente impiegate dai Nokturnal Mortum: gli intricati pattern batteristici vengono arricchiti dall’utilizzo sempre più marcato e capace dell’elettronica in chiave “White Tower”, in continuo e dinamico contrasto con i calcificati sentori arcaici del folklore gitano di episodi come “Wild Weregild”, che culminano in sintesi e maestosità nei tratti psichedelici e nei connotati di malinconia eterea e sognante della conclusiva “Night Of The Gods” – un brano dai coerenti twist and turn struggenti, contemplativi e liberatori che davvero pochissimi act possono vantare.

La natura complessa, variegata e curata di “Verity” non si esaurisce nemmeno con la pur maestosa ed ambiziosa musica. Difatti, l’ineccepibile produzione è stata affidata a Greg Chandler (Esoteric, Lychgate) presso i suoi Priory Recording Studios di Birmingham, l’artwork all’opera di un maestro della tela come Kristian Wåhlin e la lista dei musicisti ospiti e dei collaboratori artistici potrebbe farsi davvero lunga.
Più di vent’anni trascorsi a sperimentare continuamente nuovi percorsi hanno portato i Nokturnal Mortum, moderni asceti, ad implementare il bagaglio espressivo di una proposta senza pari, dove non è nemmeno corretto parlare di mescolanza tra un fantomatico apparato folkloristico e l’approccio del metal estremo, talmente interconnessi e inscindibili in modo da creare una continua sensazione di recondito retaggio e risveglio primordiale di mente e sensi, ove il solenne passato si mescola con presente e soprattutto futuro.
Musica incredibilmente originale, a tratti game-changer, etnica, contemplativa e tribale, magica e primitiva, plasmata da un talento obiettivamente fuori dal comune: “Verity” è il disco che ogni band Folk Metal vorrebbe scrivere.

Matteo “Theo” Damiani

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